Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-05-2011) 23-09-2011, n. 34639 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 26 aprile 2010 il Tribunale di Cassino in composizione monocratica, confermando la decisione assunta dal locale giudice di pace, ha riconosciuto P.A. e D. M. responsabili del delitto di ingiuria in danno di C. M.; ha quindi tenuto ferma la loro condanna alle pene di legge e, in via solidale, al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

La prova del commesso reato è stata individuata nella deposizione della persona offesa, ritenuta attendibile perchè particolareggiata e coerente, riscontrata per di più dalle deposizioni dei testi estranei A.E. e S.L.. Il giudicante ha invece negato credito alle contrarie deposizioni dei testi D.F. e Ac.Gi., stante la loro contiguità agli imputati per ragioni di parentela e – rispettivamente – di affinità.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione gli imputati, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo, articolato in due censure, i ricorrenti ripropongono innanzi tutto l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per il giudizio di primo grado, perchè contenente un secondo capo d’imputazione (relativamente al quale, è bene subito rimarcarlo, è intervenuta assoluzione già in prime cure) assertivamente generico nella sua formulazione. Eccepiscono, altresì, l’intervenuta estinzione dei reati per maturazione del termine prescrizionale.

Col secondo motivo deducono carenza di motivazione per avere il giudice di appello omesso di confutare in modo completo le molteplici deduzioni ed eccezioni svolte nei motivi di gravame. Lamentano, in particolare, che l’errata valutazione delle emergenze probatorie abbia condotto ad escludere l’applicabilità dell’esimente della reciprocità delle offese.

I ricorsi dei due imputati, confluiti nell’atto d’impugnazione congiuntamente presentato, son inammissibili per le ragioni di seguito esposte.

Il primo motivo ripropone, nella sua prima censura, una questione di nullità che, se fondata, comporterebbe la nullità del decreto di citazione a giudizio nella sola parte riguardante l’imputazione di percosse, di cui al capo b) dell’editto accusatorio; poichè in ordine a tale imputazione è intervenuta pronuncia assolutoria già in prime cure, non sussiste alcun interesse degli imputati a dedurre la nullità.

Quanto alla eccepita estinzione dei reati (rectius del reato di ingiuria, per il quale soltanto è intervenuta condanna), la deduzione dei ricorrenti è manifestamente infondata. In proposito va rilevato che alla durata ordinaria del termine prescrizionale, di sette anni e sei mesi con decorrenza dal 28 luglio 2003, sono da aggiungere i periodi di sospensione determinati da rinvii dell’udienza per impedimento del difensore e – in tre occasioni – per astensione dalle udienze proclamata dall’ordine professionale, per una durata complessiva di 677 giorni; con la conseguenza per cui la data di effettiva maturazione della prescrizione va collocata al giorno 5 dicembre 2012, tuttora appartenente al futuro.

Il secondo motivo è a sua volta manifestamente infondato, là dove si appunta sulla motivazione addotta dal giudice di secondo grado per denunciarne l’inadeguatezza. E’ principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, quello per cui il giudice di appello non ha l’obbligo di prendere in esame ogni singola argomentazione svolta dall’appellante, ma è tenuto unicamente ad esporre, con ragionamento corretto sotto il profilo logico-giuridico, i motivi per i quali perviene a una decisione difforme rispetto alla tesi dell’impugnante, rimanendo implicitamente non condivise, e perciò disattese, le argomentazioni incompatibili con il complessivo tessuto motivazionale. A tanto il giudice di merito si è pienamente attenuto nel caso di cui ci si occupa, avendo acceduto alla versione della persona offesa in base a una motivata valutazione della sua attendibilità e ai riscontri rivenienti dalle deposizioni dei testi A.E. e S.L.. Anche la valutazione negativa circa la credibilità delle testimonianze, favorevoli agli imputati, di D.F. e Ac.Gi. trova ampia motivazione nella sentenza impugnata, onde non vi è alcuno spazio per la critica sotto tale profilo.

Analogamente è a dirsi in ordine al diniego di applicazione della scriminante di cui all’art. 599 c.p., cui il Tribunale è addivenuto sul rilievo dell’inesistenza di una prova concreta (a parte le deposizioni dei testi D. e Ac., ritenuti inattendibili) della pretesa reciprocità delle offese. La valutazione delle prove è compito esclusivo del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile nel giudizio di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. Va ricordato, altresì, che non compete alla Corte di Cassazione stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ma soltanto verifica re se il discorso giustificativo sia compatibile col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 2 dicembre 2003 n. 4842).

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

Spetta alla parte civile la rifusione delle spese di difesa sostenute nel presente giudizio di legittimità; la relativa liquidazione è effettuata in Euro 1.200,00, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla refusione in solido delle spese della parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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