Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-05-2011) 23-09-2011, n. 34634 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 21 maggio 2010 la Corte d’Appello di Torino, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Aosta in composizione monocratica, ha riconosciuto F.M. responsabile del delitto di furto in danno di P.G.. Ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Secondo l’accusa il F., dopo avere sottratto la somma di mille Euro dalla borsa della P. ed essere stato da questa accusato del furto, aveva ammesso la propria responsabilità e promesso di restituire la somma il giorno 27 di quello stesso mese, quando avrebbe riscosso il proprio stipendio; a tanto non avendo egli provveduto, la persona offesa aveva presentato querela.

Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo. Con esso, deducendo illogicità della motivazione, contesta l’attendibilità della persona offesa, che assume animata da gelosia, ed insiste nella propria linea difensiva secondo la quale la somma gli era stata volontariamente prestata dalla P., la quale aveva reagito con la querela una volta saputo che lo stipendio dell’imputato era stato destinato ad aiutare economicamente un’altra donna.

Il ricorso è inammissibile, in quanto basato su motivi non consentiti.

Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

La Corte territoriale, accreditando la versione dei fatti fornita dalla persona offesa, ritenuta attendibile per la costanza, linearità e coerenza delle sue dichiarazioni, ha così ricostruito la vicenda: dopo il ripristino di un rapporto sentimentale col F. precedentemente interrotto, la P. si era accorta che il suo compagno le aveva sottratto la somma di 1.000 Euro, corrispondente all’intero ammontare del suo stipendio mensile, da lei riscosso nel pomeriggio e tenuto nella borsetta fino al termine dell’orario di lavoro, quando l’odierno imputato l’aveva accompagnata a casa; contestatogli il fatto, la P. aveva ottenuto dal F. l’ammissione di responsabilità per il furto e la promessa di restituirle la somma il giorno 27 di quello stesso mese, quando egli avrebbe a sua volta riscosso il proprio stipendio; trascorsa inutilmente tale data, aveva appreso dal F. che lo stipendio da lui riscosso era stato destinato, anzichè alla promessa restituzione, ad un aiuto economico a favore di un’altra donna, che era stata la sua convivente; a tale notizia ella si era risolta a presentare la querela.

A fronte di tale ricostruzione del fatto, sorretta da una linea argomentativa immune da vizi logici e giuridici, il tentativo del ricorrente di accreditare la tesi di un prestito, che la P. gli avrebbe volontariamente concesso, per poi penarsene avuta conoscenza della destinazione della somma, si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Al riguardo non sarà inutile ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. 15 marzo 2006 n. 10951); e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass. 22 marzo 2006 n. 12634).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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