Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-02-2012, n. 1463 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3 marzo 2008 la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trani del 23 maggio 2005, ha condannato Za.Ri. al pagamento in favore di Z. R. della somma di Euro 34.298,48 a titolo di differenze retributive e trattamento di fine rapporto in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso fra le parti dal luglio 1985 al 5 dicembre 1997. Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ha motivato tale sentenza ritenendo non provato lo svolgimento di lavoro straordinario chiesto dalla lavoratrice e riconosciuto con la sentenza di primo grado, stante la parzialità delle dichiarazioni rese sul punto dai testi escussi e riferite solo a periodi limitati; in ordine al superminimo la Corte d’Appello di Bari ha ritenuto condivisibile il criterio adottato sul punto dal consulente tecnico d’ufficio, secondo cui il superminimo stesso deve essere considerato una elargizione discrezionale del datore di lavoro da assorbire nei miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva.

Z.R. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi.

Resiste con controricorso Za.Ri. che ha presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 relativamente al rigetto della domanda di lavoro straordinario prestato nel corso del rapporto di lavoro. In particolare si deduce che il criterio adottato dalla Corte territoriale nella valutazione delle prove testimoniali sarebbe stato di carattere frazionato ed atomistico, senza alcuna valutazione globale, comparata ed unitaria.

Con il secondo motivo si assume omessa motivazione in ordine al rigetto della domanda relativa al superminimo riconosciuto dal datore di lavoro in basa alle buste paga. In particolare si lamenta che erroneamente la Corte d’Appello avrebbe affermato che sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare la natura di assegno ad personam sorretto da un titolo individuale o da uno specifico patto individuale, senza considerare il comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del contratto ed al succedersi della contrattazione collettiva, e desumibile dalle buste paga.

Il primo motivo è infondato. E’ onere del lavoratore, il quale pretenda il relativo compenso, provare rigorosamente la prestazione del lavoro straordinario che assuma di aver reso, e la misura, almeno in termini sufficientemente concreti e realistici, della stessa ma la valutazione delle prove testimoniali ed il giudizio di attendibilità e credibilità delle singole deposizioni sono rimesse alla prudente discrezionalità dei giudici di merito, involgendo un apprezzamento di mero fatto, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e congruamente motivato e non inficiato da errori logici e giuridici.

Ora, nel caso in esame, il giudice d’appello ha ritenuto che il dipendente non abbia dimostrato l’effettiva prestazione del lavoro straordinario richiesto utilizzando precise indicazioni al riguardo e procedendo al loro raffronto critico, per poi ricercare gli eventuali punti di combaciamento delle deposizioni, e ritenere, quindi, il mancato raggiungimento della prova, ed il mancato assolvimento rigoroso del relativo onere probatorio, sicchè tale giudizio, corretto profilo logico e giuridico, è incensurabile in sede di legittimità.

Anche il secondo motivo è infondato. Il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, che sia stato individualmente pattuito, è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, tranne che sia da questa diversamente disposto, o che le parti abbiano attribuito all’eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore. Nel caso in esame, come correttamente affermato dalla Corte territoriale, la stessa contrattazione collettiva, peraltro neppure ritualmente indicata, sembra prevedere tale riassorbimento, salvo l’esistenza di particolari patti da cui risultino ragioni di particolare merito che giustifichino il superminimo, e la cui prova e dimostrazione incombe comunque sul lavoratore che, nella fattispecie, non vi ha assolto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 30,00, oltre ad Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 dicembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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