Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-05-2011) 23-09-2011, n. 34633 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 6 novembre 2009 la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, così parzialmente riformando – su appello del pubblico ministero – la contraria decisione assunta dal Tribunale di Sassari, ha riconosciuto P.T. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione al fallimento della società Cantieri del Tirreno s.p.a., della quale era stato amministratore dall’aprile 1989 all’aprile 1990; con la stessa sentenza ha confermato la condanna di S.M.C. per bancarotta fraudolenta in rapporto alle condotte di distrazione a lui ascritte, sia per il periodo coincidente con la sua carica di amministratore dal 12 febbraio 1987 al 5 aprile 1989, sia per l’epoca successiva al suo rientro in società.

Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, in concorso con l’imputato non ricorrente So.Fr. il S. aveva dirottato fondi dal conto corrente della società ad un altro conto gestito in via personale, attraverso il pagamento di fatture fittizie e di prestazioni sovrafatturate. Il P. a sua volta, durante la propria gestione, aveva effettuato pagamenti non dovuti – per prestazioni non eseguite e per risarcimento di danni indebitamente posti a carico della società – in favore di altre ditte nelle quali egli aveva interessi propri.

Hanno proposto separati ricorsi per cassazione il S. ed il P., per il tramite dei rispettivi difensori, ciascuno per le ragioni di seguito indicate.

Il P., con l’unico motivo da lui dedotto, lamenta che la Corte d’Appello non abbia tenuto conto di una serie di circostanze, valorizzate invece dal Tribunale nel motivare l’assoluzione, in base alle quali si sarebbe dovuto riconoscere che, durante l’amministrazione del deducente, la situazione economico – finanziaria della società era stata in assoluto equilibrio, essendosi il dissesto prodotto solo dopo il rientro del S.;

sostiene di non aver fatto altro che adempiere alle obbligazioni assunte dagli amministratori che lo avevano preceduto; sottolinea che tutte le operazioni da lui compiute erano passate al vaglio del collegio sindacale.

Il S. denuncia illogicità della motivazione per essersi omesso di considerare che il conto corrente n. (OMISSIS), che secondo i giudici di merito sarebbe stato utilizzato per interessi suoi personali, era invece intestato alla società: tanto che da esso erano stati prelevati i fondi per far fronte agli aumenti di capitale della Cantieri del Tirreno s.p.a., in adempimento agli impegni assunti verso la Insar s.p.a.; con la conseguenza per cui dovrebbe applicarsi il principio giurisprudenziale che esclude la punibilità di una condotta pregressa, quando i suoi effetti siano successivamente annullati per effetto di un’attività di segno inverso. Difende l’utilità di altra operazione, intrapresa nei rapporti con la società Proprietà Asfodeli s.p.a. e rimasta incompiuta dopo il suo recesso dalla società. Contesta l’applicazione, data dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, dell’aggravante del danno di rilevante gravità.

Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono privi di fondamento e vanno, perciò, disattesi.

Per quanto si riferisce al P., va rimarcato che le argomentazioni difensive da lui svolte al fine di accreditare la tesi di una gestione caratterizzata da equilibrio economico-finanziario, nel periodo in cui egli fu amministratore, non sono pertinenti all’accusa contro di lui portata: la quale, come chiaramente espresso nella motivazione della sentenza qui impugnata, non si riferisce a condotte eziologicamente connesse alla produzione del dissesto che diede luogo al fallimento della società Cantieri del Tirreno s.p.a.;

bensì alla condotta distrattiva concretatasi nei molteplici pagamenti effettuati in favore di società – nelle quali egli stesso aveva cospicui interessi – di somme in realtà non dovute, ora per inesistenza delle prestazioni addebitate (fatture Gefina ed El.Cost), ora per insussistenza dell’obbligazione risarcitoria per inadempimento, fatta arbitrariamente gravare sulla Cantieri del Tirreno (fatture Data S s.p.a.).

In proposito è opportuno ricordare che per la consumazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria (art. 216, comma 1, n. 1 e art. 223, comma 1, L. Fall.) non si richiede l’esistenza di un nesso causale fra la condotta illecita e lo stato di decozione sfociato nella dichiarazione di fallimento, sufficiente essendo che la condotta dell’amministratore si sia concretata nella distrazione di beni, denaro o altre attività, in guisa da sottrarli alla garanzia patrimoniale dei creditori della società successivamente fallita. Conforme a tale modello astratto è la fattispecie al cui accertamento la Corte d’Appello è pervenuta nel presente giudizio, in base a un apprezzamento delle emergenze probatorie insindacabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato. Nè alcun rilievo può riconoscersi, ai fini della penale responsabilità dell’amministratore, al fatto che il suo operato abbia incontrato l’approvazione del collegio sindacale.

Quanto al S., corre l’obbligo di rimarcare che l’assunto difensivo del ricorrente, inteso a dimostrare l’appartenenza effettiva – e non solo formale – alla società Cantieri del Tirreno dei fondi versati sul conto corrente n. (OMISSIS) presso il Credito Commerciale di Milano, in virtù dell’utilizzo fattone per finanziare l’aumento di capitale, nuoce alla difesa dell’imputato più di quanto le giovi.

Basti, invero, osservare che l’aumento di capitale ha l’effetto di incrementare la partecipazione nella società del socio che vi aderisce, così accrescendo il suo patrimonio giuridico nei rapporti con la società medesima: onde costituisce un corollario di tutta ovvietà quello per cui il versamento della quota di aumento di capitale è l’oggetto di un’obbligazione del socio sottoscrittore verso la società, il cui adempimento deve essere effettuato a spese del debitore. Ne consegue che, quando il S. sostiene di aver fatto fronte all’aumento di capitale con denaro tratto dal conto corrente n. (OMISSIS), implicitamente riconosce e conferma di averne fatto un uso personale, nel proprio esclusivo interesse.

Alla stregua di tale constatazione perde ogni significato invocare, come fa il ricorrente, il principio giurisprudenziale secondo cui viene meno l’Illiceità del fatto qualora una condotta fraudolenta risulti annullata per effetto di un successivo atto di segno inverso, capace di reintegrare il patrimonio della società fallita; ed invero, nel caso specifico qui rassegnato l’utilizzo di denaro della società per far fronte all’aumento di capitale sottoscritto dal socio si configura piuttosto come un ulteriore atto di distrazione, comprovante una volta di più l’illecita destinazione del conto corrente a vantaggio personale del S., malgrado la sua formale intestazione alla società.

Quanto alla vicenda contrattuale riguardante l’acquisto di un terreno dalla Proprietà Asfodeli s.p.a., le argomentazioni addotte del ricorrente allo scopo di dimostrare la bontà del progetto non colgono nel segno, avendo la Corte d’Appello ben precisato che non risiede nei – pur motivati – dubbi sulla convenienza dell’affare il nucleo della penale responsabilità del S.; a costui viene, piuttosto, rimproverato di aver dato corso al pagamento di rilevanti importi a titolo di corrispettivo d’acquisto, in denaro contante, senza che neppure si fosse formato un preliminare di compravendita:

esponendo in tal modo la società ad una perdita patrimoniale a tutto vantaggio della controparte contrattuale, tanto meno imprevedibile in quanto la società promittente venditrice faceva capo allo stesso S. ed al coimputato – non ricorrente – So.Fr.. La motivazione così sviluppata dal giudice di merito è immune da vizi logico-giuridici, onde resiste al vaglio in sede di legittimità.

Priva di fondamento è, infine, la doglianza con la quale si contesta la configurabilità dell’aggravante del danno di rilevante gravità, di cui all’art. 219, comma 1, L. Fall.; puntuale è l’applicazione data alla norma dalla Corte territoriale, la quale non ha fatto riferimento all’entità del passivo fallimentare, nè allo sbilancio fra attivo e passivo, ma esclusivamente al valore – determinato in non meno di due miliardi e trecento milioni di lire – delle attività illecitamente distratte: così pienamente attenendosi ai principi dettati dalla giurisprudenza in subiecta materia (oltre a Cass. 23 novembre 2000 n. 12087, citata dallo stesso ricorrente, v. la più recente Cass. 2 ottobre 2009 n. 49642).

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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