Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-05-2011) 23-09-2011, n. 34632 Fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4-12-2009 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza emessa dal GIP presso il Tribunale di La Spezia in data 6-12-2008, appellata da Z.R., dichiarato responsabile del reato di cui alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1 per avere in qualità di amministratore della "DEPSON ITALIA srl" dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di La Spezia in data 4- 6-2002, distratto dei veicoli, e condannato, previa concessione delle generiche, tenuto conto della diminuente del rito, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, pena dichiarata interamente condonata, nonchè con la pena accessoria della inabilitazione dall’esercizio delle imprese e incarichi direttivi per la durata di anni dieci.

In appello la difesa aveva chiesto l’assoluzione per insufficienza degli elementi di prova e la riduzione della pena. Entrambe le richieste erano state disattese, rilevando che sia pure per il periodo di cinque mesi, l’imputato era stato amministratore, e si era reso conto dello stato di insolvenza della società, e non aveva dato comunicazioni al curatore della cessione dei veicoli della ditta.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo la nullità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per carenza della motivazione, nonchè inosservanza o erronea applicazione della legge penale.

Sul punto rilevava che il giudice di appello non aveva dato conto delle ragioni poste a fondamento della decisione, evidenziando che l’imputato ignorava la situazione di dissesto della società, essendosi limitato a sottoscrivere l’atto di nomina come amministratore.

Rilevava altresì che, pur essendo intervenuta rinunzia ai motivi di gravame ai sensi dell’art. 602 c.p.p. tale rinunzia non esonerava il giudice dall’obbligo di motivare nel merito.

2-Deduceva altresì la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con la quale si era ritenuta la responsabilità dell’imputato, pur riconoscendo che egli era un soggetto che fittiziamente appariva quale amministratore.

Pertanto concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

Invero deve rilevarsi che l’imputato dotato della qualifica di amministratore della società fallita (con sentenza dichiarativa del Tribunale di La Spezia in data 4-6-2002) – era stato designato nella carica il 6.12.2001.

Tanto rilevato, appare fondato il giudizio di colpevolezza che risulta adeguatamente motivato – in fatto e diritto dai giudici di merito, e specialmente da quello di primo grado – la cui motivazione resta sostanzialmente richiamata da quella resa dalla Corte territoriale, che si è soffermata sia pur sinteticamente sui punti essenziali dedotti dal difensore, atteso che la giurisprudenza di questa Corte ritiene sufficiente ad integrare il dolo del delitto di bancarotta la generica consapevolezza della esistenza della consistenza patrimoniale della impresa e delle conseguenze che si verificano ai danni del ceto creditorio a seguito di eventi distrattivi.

Vale sull’argomento richiamare l’indirizzo giurisprudenziale consacrato dalla sentenza Sez. 5 – del 11-11-1999 (ud.6-10-99) – RV 214863 – ove si enuncia il principio per cui "In tema di bancarotta fraudolenta, l’elemento psicologico desumibile da tutte le componenti che caratterizzano la condotta dell’imputato, consiste nel dolo generico cioè nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino o "possano cagionare", danno ai creditorie questo anche nel caso in cui l’agente pur non perseguendo direttamente il risultato, tuttavia lo preveda e, ciò nonostante agisca, consentendo, in tal modo, il suo realizzarsi (dolo eventuale) … "Dunque resta da ritenere corretta la motivazione della sentenza impugnatale ravvisa i presupposti del delitto contestato evidenziando come l’attuale ricorrente, pur essendo stato amministratore della ditta per breve tempo, ossia per cinque mesi e 28 giorni – aveva avuto tutte le possibilità di accertarsi della situazione patrimoniale dell’azienda e di informare la curatela fallimentare della destinazione dei veicoli in contestazione, cosa non avvenuta, mentre tali veicoli non erano stati più reperiti dal curatore.

La condotta sia pure negligente dell’amministratore, che abbia consapevolmente omesso di controllare l’esistenza dei veicoli di cui si tratta tra i beni dei quali la società disponeva e che come tali avrebbero fatto parte del patrimonio aziendale destinato al soddisfacimento delle pretese creditizie, costituisce espressione di quell’elemento psicologico idoneo ad integrare il delitto contestato.

Ed invero, pur accettando la carica formale di amministratore, come prospettato dalla difesa, fin dal giudizio di merito, il soggetto palesa di essere consapevole e di volere assumere su di sè condividendole nel contenutole attività in essere del contesto aziendale, essendo posto nella condizione di totale verifica della esistenza di tutti i beni esistenti.

I predetti rilievi sono sostanzialmente recepiti nella motivazione resa dalla Corte territoriale, che illustra correttamente i profili di legittimità del reato ascritto al prevenuto, pervenendo alla conferma della decisione impugnata. Nè assume rilevanza il riferimento alla rinuncia dell’appellante ai motivi di merito, che resta superata dalle esaurienti argomentazioni svolte dal giudice di appello a sostegno della dettagliata motivazione resa dal Tribunale.

Va anche ritenuta l’inammissibilità della censura attinente alla condanna dell’imputato (che era stato ammesso al patrocinio gratuito) alla rifusione delle spese di custodia cautelare e al pagamento delle spese processuali, non essendo stata allegata documentazione specificamente attinente a tale censura, per cui trattasi di censura generica.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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