Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-02-2012, n. 1461 Licenziamento per giustificato motivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catania, riformando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di B.S., proposta nei confronti della società Barwill Simar, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo dalla predetta società.

La Corte del merito, premesso che il licenziamento impugnato doveva ritenersi intimato non per soppressione del reparto cui era addetto il B., ma per riduzione dei costi, rilevava che siffatta esigenza, determinata da un vistoso calo degli approdi nei porti, trovava riscontro nella documentazione in atti.

Riteneva, poi, la Corte territoriale che le mansioni di operation manager svolte prima dal B. erano state, a seguito del suo licenziamento, espletate dall’amministratore unico Sig. V. e solo in via di sostituzione dal dipendente sig. R.. La predetta Corte, pertanto stante l’impossibilità di una diversa utilizzabilità in mansioni equivalenti del B., come attestato dalla mancanza di vuoti nell’organico della società, considerava come legittimo l’impugnato licenziamento.

Avverso questa sentenza il B. ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la società intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso il B., deducendo nullità della sentenza e violazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 e formulando i relativi quesiti di diritto, denuncia, sostanzialmente, che la Corte di appello nonostante in primo grado la società avesse sostenuto che il licenziamento era giustificato in relazione alla intervenuta soppressione del reparto cui esso ricorrente era addetto e nonostante tale soppressione non fosse risultata provata ha ritenuto, superando tutte le preclusioni al riguardo formatesi, giustificato il licenziamento in base ad altra causale e senza la prova dell’inutilizzabilità della sua prestazione con riferimento all’intera azienda.

Con la seconda censura il ricorrente, allegando nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115, 116, 246, 416 e 417 c.p.c. e concludendo l’argomentazione posta a base della critica con l’articolazione dei relativi quesiti, prospetta che la Corte del merito, nel ritenere giustificato il licenziamento in base a ragioni non tempestivamente dedotte dalla controparte, sia andata ultra petita. Rileva, altresì,il ricorrente che la Corte del merito ha omesso di pronunciarsi in ordine, e alla mancata dimostrazione della inutilizzabilità di esso ricorrente con riferimento a tutta l’azienda,e all’incapacità deporre dell’institore. Sottolinea, infine, il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso di dar conto della diversa lettura, rispetto a quella del giudice di primo grado, delle prove raccolte.

Le due censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico vanno trattate unitariamente, sono infondate.

Mette conto, in primo luogo, richiamare la giurisprudenza di questa Corte, pienamente condivisa dal Collegio, secondo la quale nella nozione di licenziamento per giustificato motivo obiettivo rientra anche l’ipotesi di riassetti organizzativi attuati per la più economica gestione dell’azienda purchè non pretestuosi e strumentali, bensì volti a fronteggiare situazioni sfavorevoli e non contingenti che influiscano decisamente sulla normale attività produttiva, imponendo l’effettiva necessità di riduzione dei costi (V. per tutte Cass. 17 agosto 1998 n. 8057, Cass. 13 novembre 2001 n. 14093 e Cass. 9 settembre 2003 n. 13187).

Conseguentemente è corretta in diritto la sentenza impugnata che postula quale causa legittimante del licenziamento oggettivo anche l’esigenza di ridurre i costi dell’impresa attraverso la soppressione di un posto di lavoro (V. in tal senso Cass. 2 ottobre 2006 n. 21282).

Tanto precisato occorre sottolineare che la Corte del merito nel considerare l’esigenza della riduzione dei costi, quale causa legittimante il recesso datoriale in discussione e non la soppressione del reparto cui era addetto il ricorrente, non è andata ultra petita ovvero ha preso in esame un thema decidendum sul quale non si era formato il contraddittorio. Di contro infatti, vi è non solo il tenore letterale della lettera di licenziamento alla quale lo stesso B. ha fatto riferimento nel ricorso di primo grado – lettera nella quale non vi è nessuna correlazione tra il licenziamento e la soppressione del reparto cui era addetto il lavoratore essendo tale correlazione riferita testualmente a ragioni, come si legge anche nella sentenza impugnata, "inerenti all’attività produttiva ed alla organizzazione del lavoro" conseguenti "alla flessione riscontrata nei porti di Siracusa e Santa Panaria"-, ma anche la stessa difesa svolta, in primo grado, dalla società la quale, come riportato nella sentenza di primo grado, trascritta dal ricorrente nel ricorso per cassazione, si richiama appunto all’esigenza di ridurre i costi. Piuttosto è l’attuale ricorrente che, nel ricorso di primo grado, contesta la legittimità del licenziamento sul presupposto della mancata soppressione del reparto cui egli era addetto e su tale punto la società convenuta si difende assumendo l’avvenuta soppressione della figura dell’operations manager perchè la meno necessaria e la più costosa.

La sentenza impugnata, quindi, pone a base del decisum circostanze ritualmente dedotte dalle parti e valuta in base a tali allegazioni la legittimità o meno del licenziamento verificando, correttamente, la sussistenza della causa legittimante il licenziamento così come risultante dalla lettera di licenziamento che, per il principio dell’immodificabilità delle ragioni poste a base del recesso datoriale (V. Per tutte Cass. 12 marzo 2009 n. 6012) – proprio del regime della disciplina limitativa del licenziamento e, quindi, della denunciata L. n. 604 del 1966 – deve necessariamente essere solo ed esclusivamente quella comunicata al lavoratore.

Nè il giudice di appello omette di accertare la inutilizzabilità dell’attuale ricorrente da parte del datore di lavoro rilevando al riguardo che "nell’organico della società" – e quindi con riferimento all’intera azienda – "non vi erano vuoti idonei ad essere riempiti attraverso uno spostamento del B.".

Della eventuale incapacità a deporre dell’institore non è dedotta la decisività della relativa deposizione nell’iter argomentativo posto a base della sentenza impugnata.

Infondata è, infine, la deduzione secondo la quale il giudice di appello avrebbe l’obbligo di motivare la eventuale diversa lettura delle prove rispetto a quella fornita dal giudice di primo grado.

Al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, infatti, il giudice di appello non è tenuto a valutare la lettura fornita dal giudice di primo grado delle risultanze processuali, essendo invece sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattese per implicito diverse alternative letture.

Con la terza critica il B. deduce vizio di motivazione in ordine a vari punti ed in particolare per omessa e/ o insufficiente motivazione in ordine al conferimento al R. delle mansioni di operation manager e alla non ritenuta inammissibilità di altra causa giustificativa del licenziamento; per contraddittorietà di motivazione con riferimento alla accertata mancata soppressione del reparto operativo cui esso ricorrente era addetto e per travisamento delle risultanze istruttorie. La critica non è condivisibile.

Va premesso che per costante giurisprudenza il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti, in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della "ratio decidendi", e cioè l’identificazione del procedimento logico – il giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis da ultimo: Cass. 6 marzo 2008 n. 6064). Tanto rilevato va osservato che la Corte del merito motiva in modo specifico ed adeguato in ordine al conferimento al R. delle mansioni di operation manager accertando che tali mansioni erano espletate solo in caso di assenza dell’Amministratore unico che aveva assunto tale ruolo dopo il licenziamento del ricorrente.

Sulla dedotta omessa motivazione relativamente ad altra causa di licenziamento è sufficiente ribadire che la Corte del merito correttamente si è attenuta alla ragione del licenziamento posta a base dello stesso nella comunicazione del recesso consegnata al lavoratore.

Quanto alla allegata contraddittorietà di motivazione con riferimento alla accertata mancata soppressione del reparto operativo cui esso ricorrente era addetto è sufficiente rimarcare che la Corte del merito ne ha escluso la rilevanza non essendo il licenziamento fondato su tale ragione.

Il dedotto travisamento dei fatti si sostanzia, nella prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle prove che in quanto tale non è ammissibile in sede di legittimità (Cass. 20 aprile 2006 n. 9233).

Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed oltre in Euro 3000,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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