Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2011) 23-09-2011, n. 34648 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 4 gennaio 2010 il Tribunale di Lecce, Sez. Riesame rigettava l’appello proposto dal difensore di S. G. avverso il provvedimento cautelare emesso dal Tribunale di Lecce in data 30-10-2010,a carico del predetto imputatoci sensi dell’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b) stabilendo il ripristino della custodia cautelare in carcere, avendo il Tribunale emesso sentenza di condanna del prevenuto quale responsabile dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74 alla pena di anni ventisei e mesi sei di reclusione.

In sede di impugnazione la difesa aveva evidenziato che il provvedimento era privo della indicazione delle ragioni per le quali si riteneva sussistente il pericolo di fuga dell’imputato.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo: la violazione ed erronea applicazione dell’art. 307 c.p.p..

Sul punto evidenziava che il Collegio aveva motivato il provvedimento in base agli elementi valutati nell’ordinanza impugnata,quali l’entità della pena inflitta e l’appartenenza del soggetto ad una associazione con probabili collegamenti all’estero da considerare inidonei ai fini del ripristino della misura coercitiva. Peraltro il difensore sottolineava la personalità dell’imputato, che era stato rispettoso degli obblighi inerenti agli arresti domiciliarle riteneva viceversa ininfluente la condanna riportata, sia pure non definitiva, per violazione di obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, essendo tale violazione non suscettibile di far ipotizzare il pericolo di fuga.

Infine evidenziava che il ripristino della custodia in carcere contemplato dall’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b) assume rilevanza di norma eccezionale, costituendo una deroga alla disciplina della durata massima dei termini di custodia cautelare, e che come tale la disposizione richiamata non è suscettibile di applicazione analogica e deve essere applicata in presenza dei presupposti di legge.

In tal senso la difesa riteneva ininfluente la violazione degli obblighi della misura di prevenzione.

-Inoltre il ricorrente evidenziava che l’ordinanza era basata su una sopravalutazione della associazione attribuita allo S., avendo ipotizzato collegamenti internazionali, ed avendo il Tribunale rilevato che l’imputato era a capo di due distinte organizzazioni dedite al traffico di droga.

In tal senso si ritenevano solo astratte le ipotesi paventate dai giudici cautelarle si evidenziava la carenza della motivazione circa le ragioni che imponevano il ripristino della misura restrittiva, osservando che peraltro il predetto S. era detenuto per altra causa.

Infine il ricorrente rilevava che l’eccessiva entità della pena inflitta sarebbe stato un deterrente alla fuga dell’imputato, avendo costui interesse a provare nei successivi gradi di giudizio l’estraneità all’organizzazione criminosa, e che il Tribunale aveva omesso di valutare altro deterrente alla fuga, ossia il distacco dal nucleo familiare (essendo l’imputato padre di un bambino di sette anni).

In conclusione si censurava pertanto l’ordinanza impugnata, chiedendone l’annullamento.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

In primo luogo deve evidenziarsi che le doglianze della difesa relative alla insussistenza del pericolo di fuga e della esistenza di concrete esigenze cautelari, restano smentite chiaramente dalla motivazione del provvedimento l’impugnato, idonea a far ritenere legittimamente emesso il titolo custodiale ai sensi dell’art. 307 c.p.p., comma 2, norma che contiene esplicito richiamo alla necessità del ripristino della misura ai sensi dell’art. 275 c.p.p..

Deve invero evidenziarsi che l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame come giudice di appello, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., risulta specificamente e adeguatamente motivata in relazione alla concreta esistenza del pericolo di fuga dell’imputato,che secondo quanto già rilevato dal primo giudice si desumeva da un insieme di elementi fattuali, quali la posizione dell’imputato, nei cui confronti era stata pronunziata una sentenza di condanna ad una pena elevata,ritenendo il predetto essere a capo di due distinte organizzazioni per delinquere nel traffico di droga.

Sul punto v. Cass. Sez. 1 18-2-1999, n. 460, Terminio, in Arch. Nuova proc. pen. ove si rileva che "Ai fini del ripristino della custodia cautelare contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna,giusta quanto previsto dall’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b) la notevole entità della pena inflitta, pur non costituendo di per sè prova della sussistenza del pericolo di fuga richiesto dalla norma anzidetta, fornisce tuttavia un indizio significativo dello stimolo che può rendere pressante e attuale la tendenza alla fuga,specie in presenza di ulteriori elementi obiettivi dai quali possa ragionevolmente desumersi l’alta probabilità del concreto verificarsi del paventato evento".

Nella specie,risulta evidenziata altresì la natura delle associazioni che si ritengono estese all’estero, donde la possibile esistenza di contatti con coloro che avrebbero potuto agevolare la fuga, e d’altra parte risulta valutata la condotta manifestata dallo stesso imputato, che trovandosi sottoposto alla sorveglianza speciale di ps. aveva violato le prescrizioni allontanandosi ingiustificatamente dal comune di residenza.

Orbene, questa Corte rileva che appare legittimo il riferimento operato dai giudici di merito alla condotta manifestata dal prevenuto anche in ordine agli obblighi derivanti da una misura di prevenzione, non costituendo la diversa natura giuridica di tale misura un elemento che preclude al giudice di valutare la complessiva esistenza di dati rivelatori di comportamento teso a sottrarsi ai rigori della legge.

D’altra parte resta ininfluente anche la circostanza che il soggetto fosse al momento in stato di detenzione per altra causa, data l’esigenza di valutare la globalità delle posizione del predetto ai fini della ordinanza di ripristino della custodia relativa al delitto per il quale era intervenuta condannarne rientra nell’ambito normativo dell’art. 275 c.p.p..

Dunque resta legittimamente emesso il titolo custodiale, in base alla valutazione complessiva delle emergenze rivelatrici della esistenza delle condizioni previste dall’art. 307 c.p.p., comma 2.

Pertanto il ricorso si ritiene privo di fondamento ai fini della censura attinente alla insussistenza dei presupposti che impongono il ripristino della misura restrittiva, avendo il Tribunale rilevato che il primo giudice aveva tenuto conto dell’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, richiamato nel provvedimento impugnato (SS.UU. 11/7/2001, Litteri – RV 219600).

Va quindi pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *