Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2011) 23-09-2011, n. 34631 Falsità ideologica in atti pubblici commessa da privato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4-6-2010 la Corte di Appello di Palermo confermava nei confronti di S.C. la sentenza emessa in data 4-6-2008 dal Giudice monocratico del Tribunale di Agrigento con la quale l’imputato era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 483 c.p., e art. 61 c.p., n. 2 nonchè del reato di cui agli artt. 48, 479 c.p., commessi in data (OMISSIS), con recidiva, condannato previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla recidiva, alla pena di mesi nove di reclusione.

In fatto si era contestato al S. di aver falsamente attestato – nella dichiarazione di accettazione della candidatura alla carica di deputato regionale nella lista "L’Aquilone-lista del Presidente" per l’elezione dell’Assemblea regionale Siciliana del 28/05/2006 – avente valore di autocertificazione ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 – di non trovarsi in alcuna delle condizioni ostative alla candidatura previste dalla L. n. 55 del 1990, art. 15, comma 1 essendo stato accertato il passaggio in giudicato di sentenza di condanna per reato di cui agli artt. 110 e 323 c.p. emessa dal Tribunale di Palermo in data 15-1-2003 – irrevocabile il 28-1-2004 integrante causa ostativa alla candidabilità di cui alla L. cit., art. 15, comma 1, lett. c. Risultava altresì contestato il reato di cui all’artt. 48 e 479 c.p. perchè con la condotta di cui innanzi l’imputato aveva fatto formare ai componenti dell’Ufficio Centrale circoscrizionale del Tribunale di Agrigento tratti in inganno dalla falsa attestazione, una delibera di ammissione come candidato alle elezioni regionali. Per tali reati unificati ex art. 81 c.p. il primo giudice aveva inflitto – previa concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti e sulla recidivala pena di mesi nove di reclusione, negando il beneficio della sospensione condizionale per i precedenti ostativi.

In sede di appello il S. aveva sostenuto di avere agito in assenza di dolo, avendo sottoscritto analoga dichiarazione per la propria candidatura al Senato della Repubblica.

In secondo luogo l’appellante aveva escluso l’ipotesi di cui agli artt. 48 e 479 c.p.. sostenendo che la sua ammissione non era avvenuta per effetto della falsa dichiarazione, avendo l’Ufficio Centrale Circoscrizionale svolto gli accertamenti attraverso il sistema informatico del casellario giudiziale che avevano dato esito negativo.

Con ulteriore motivo l’appellante aveva censurato l’applicazione della recidiva.

La Corte aveva ritenuto prive di fondamento le suddette richieste della parte appellante, confermando la decisione impugnata.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo;

1 – il travisamento del fatto, oltre la violazione di legge ed il difetto di motivazione. Sul punto rilevava la assenza di motivazione in riferimento all’elemento psicologico del reato,che era stata rilevata in sede di appello.

-A riguardo il ricorrente rilevava che la condotta contestata riguardava una dichiarazione(resa con apposizione di un segno"x" nella casella destinata all’uopo) di non trovarsi in alcuna delle condizioni ostative alla candidatura previste dalla L. n. 19 del 1990, n. 55, art. 15, comma 1, lett. c) precisando che l’imputato si era sbagliato nella interpretazione della normativa richiamata,ritenendo che la dichiarazione dovesse riferirsi alla assenza dei precedenti per delitto come quello ex art. 416 bis c.p. ed altri per i quali fosse prevista la pena dell’ergastolo (ritenendo che le condizioni ostative alla candidatura fossero le stesse previste per le elezioni al Senato).

In merito a tali elementi la difesa rilevava che la Corte di Appello aveva reso motivazione fondata sul travisamento del fatto, osservando che il S., secondo accertamenti effettuati dalla Corte, non si era presentato alle elezioni per il Senato.

A riguardo la difesa rilevava infatti che il predetto imputato non aveva sostenuto di essersi candidato al Senato nell’anno 2006, bensì di avere sottoscritto una dichiarazione di candidatura al Senato, alla quale non si era dato seguito. Sull’argomento dunque la difesa evidenziava l’erronea interpretazione dei predetti elementi richiamando il verbale di udienza del 13/2/2008.

In base a tali rilievi la Corte,secondo il ricorrente aveva affermato l’esistenza del dolo dell’imputato, basandosi su un travisamento delle risultanze menzionate(dichiarazioni rese dal S. in merito al fatto contestato).

2-Con ulteriore motivo la difesa deduceva la violazione degli artt. 48 e 479 c.p. e la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3.

A riguardo la difesa indicava il contenuto della deposizione resa dal rappresentante dell’Ufficio Circoscrizionale che aveva eseguito le verifiche dei requisiti dei candidati alle elezioni regionali del 2006, evidenziando come fosse stato dimostrato che l’ufficio aveva eseguito i controlli che avevano dato esito negativo.

-In base a tali presupposti la difesa riteneva insussistenti gli elementi costitutivi della ipotesi delittuosa ex artt. 48 e 479 c.p. non essendo stata acquisita la prova del comportamento dell’imputato idoneo a indurre in errore l’ufficio amministrativo, e censurava la motivazione della sentenza impugnata, ritenendola apodittica e priva di riferimenti probatori.

3-Con ulteriore motivo il ricorrente deduceva la carenza della motivazione in ordine alle doglianze dell’appellante per la ritenuta applicazione della recidiva specifica infraquinquennale.

Rilevava che la disposizione enunciata dall’art. 99 c.p. prevede una concreta valutazione dei presupposti che consentono di applicare tale aggravante, e che la sentenza impugnata non aveva fornito alcuna motivazione, se non in senso meramente apodittico.

Per tali motivi concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

-Veniva altresì depositata memoria difensiva,contenente l’enunciazione di motivi aggiunti con i quali si deduceva:

1-la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 483, 48 e 479 c.p. e L.R. n. 29 del 1951, art. 15 e art. 16-bis, comma 7, lett. b).

A riguardo la difesa riteneva insussistenti gli elementi costitutivi del reato evidenziando che secondo giurisprudenza deve ritenersi esclusa l’ipotesi di cui si tratta qualora la dichiarazione del privato non abbia alcuna efficacia e valenza probatoria rispetto all’atto che il pubblico ufficiale ponga in essere, qualora la legge gli imponga autonomi poteri di controllo.

Sul punto veniva citata la deposizione del teste dell’ufficio circoscrizionale e rilevava che il funzionario aveva attestato la insussistenza delle condizioni ostative alla candidatura dell’imputato solo per un errore del casellario del Tribunale di Agrigento che non recava annotazioni ostative.

Inoltre il difensore rilevava che la dichiarazione del privato, nella specie, prevista dalla L.R. n. 29 del 1951 – deve ritenersi dall’iter amministrativo susseguente, che si svolge autonomamente.

Il ricorrente richiamava a sostegno della tesi di insussistenza del reato giurisprudenza di legittimità. (Cass. Sez. 5 – 22-1-2010, n. 11952, CED 246548 – inerente all’ipotesi di un falso documento allegato che non abbia avuto alcun effetto, in quanto privo di rilevanza probatoria.

Con ulteriore motivo rilevava la carenza di dolo e la erronea applicazione in tal senso della legge penale.

A riguardo evidenziava che la Corte territoriale non aveva valutato l’esistenza del dolo generico del delitto di falso, mentre il predetto imputato aveva solo erroneamente ritenuto che le cause ostative alla candidatura fossero analoghe a quelle richieste per candidatura al Senato.

Riteneva dovesse essere escluso il dolo richiamando giurisprudenza di questa Corte, affermando che il fatto era derivato da condotta meramente negligente o per imperizia del suddetto imputato (richiamando gli art. 43 c.p. e art. 47 c.p., comma 3).

La difesa rilevava altresì la illogicità della motivazione per travisamento della prova, avendo la Corte disatteso la tesi difensiva senza dimostrare l’esistenza del dolo. Inoltre deduceva illogicità e contraddittorietà della sentenza circa la sussistenza dei presupposti della induzione in errore del pubblico ufficiale, rilevando che da deposizione del funzionario era emerso che l’ufficio circoscrizionale doveva svolgere controlli per verificare d’ufficio la sussistenza delle condizioni di incompatibilità previste dalla legge elettorale.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.

In ordine alla fattispecie di cui all’art. 483 c.p. deve rilevarsi che correttamente tale reato è stato ritenuto configurabile nel caso di specie, ricorrendone gli elementi costitutivi in conformità della giurisprudenza di questa Corte – Sez. 5 del 18 giugno 2009, n. 25469 – RV 243897 – ove si è stabilito che "Integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico ( art. 483 c.p.) la condotta di colui che, in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attesti falsamente di non avere subito condanne penali, considerato che, in tal caso, la dichiarazione del privato viene equiparata ad un atto pubblico destinato a provare la verità dello specifico contenuto della dichiarazione, ivi compresa l’inesistenza di condanne in capo al dichiarante, con la conseguenza che le false attestazioni al riguardo mettono in pericolo il valore probatorio dell’atto, escludendo perciò stesso l’innocuità del falso".

Non può essere esclusa nella specie, in cui si tratta di una dichiarazione attestante l’assenza di condizioni ostative alla candidatura alle elezioni regionali, la natura pubblicistica dell’atto stesso, così come la funzione di provare lo status del dichiarante al pubblico ufficio.

Peraltro, va evidenziata l’esistenza dell’elemento psicologico del reato ogni volta che si sia in presenza di una condotta cosciente e consapevole del contenuto della dichiarazione, come si desume dai principi giurisprudenziali – Cass. Sez. 2 15-12-2003, n. 47867-RV 227078 – per cui "Il dolo integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 c.p. è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero". Nella specie,la sentenza impugnata rende motivazione da ritenersi adeguata,avendo sottolineato che il soggetto imputato era consapevole e dotato di adeguata preparazione culturale, nè si devono ritenere pertinenti e fondati i rilievi svolti ampiamente, in senso ripetitivo nel ricorso e nella memoria difensiva, tendenti a sostenere che l’imputato sia caduto in errore nella dichiarazione di cui si tratta, atteso che egli era consapevole di aver subito condanna penale passata in giudicato per delitto contro la P.A. e pertanto i rilievi della difesa non richiamano alcun presupposto di fatto che sarebbe stato idoneo a rivelare una condotta puramente colposa del soggetto agente.

Nel caso di specie ugualmente si ritiene correttamente valutata dai giudici di merito la responsabilità dell’imputato in riferimento al reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p. atteso che era stata realizzata parimenti la condotta tesa a trarre in inganno il pubblico funzionario addetto all’ufficio per la emanazione della delibera di ammissione del candidato alle elezioni regionali, delibera ideologicamente falsa. Nè tale fattispecie resta esclusa dalla verifica di rito eseguita dal funzionario addetto al controllo – così come restano ininfluenti le deduzioni difensive tendenti ad assumere che lo stesso imputato si fosse attivato per dar luogo al procedimento,atteso che il reato di falso si configura come reato di pericolo, e nella specie, si era già verificata la condotta consapevole dell’imputato che aveva indotto in errore il destinatario della attestazione sulla assenza delle condizioni che erano preclusive della candidatura.

Come si desume dalla sentenza di primo grado,infatti,secondo la testimonianza resa dal funzionario dell’Ufficio centrale circoscrizionale, preposto alla verifica della regolarità formale delle candidature, si era emanata delibera in data 1-5-2006 dall’ufficio circoscrizionale presso il Tribunale di Agrigento che aveva ammesso tutte le Uste di candidati.

Esiste altresì la legittima affermazione del concorso tra i due reati, secondo giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5 26 ottobre 2001, n. 38453 – poichè nel caso di specie, così come nell’ipotesi contemplata dalla citata massima "la falsa dichiarazione del privato prevista di per sè come reato,è in rapporto strumentale con la falsità ideologica che il pubblico ufficiale in quanto autore mediatola posto in essere".

La decisione impugnata deve ritenersi esente dai vizi di legittimità sia per travisamento del fatto,ovvero per carenza ed illogicità della motivazione, avendo la motivazione della sentenza del Tribunale e quella del giudice di appello che la conferma adeguata analisi dei presupposti dei reati contestati, rispondendo alle deduzioni svolte dalla difesa, specificamente richiamando con puntualità i principi della giurisprudenza fin qui evidenziati.

Nè assume particolare rilevanza il dato che il certificato penale dell’imputato fosse incompleto, avendo il predetto ricorrente conoscenza della sentenza di condanna definitiva emessa a proprio carico.

Risulta dunque verificata l’assenza delle condizioni previste dalla legge per ritenere l’errore scusabile su norma extrapenale, ai sensi dell’art. 47 c.p. (v. sentenza di primo grado a fl.5), avendo l’imputato il dovere giuridico di informarsi sulla condizione giuridica attestata al pubblico ufficio.

Peraltro il primo giudice correttamente aveva citato sentenza delle Sezioni Unite sull’argomento del reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p..

Tali elementi rendono dunque meramente ripetitive le prospettazioni difensive, a riguardo, mentre deve ritenersi adeguata e corretta la motivazione, sia pure sinteticamente articolata dal Giudice di appello, in ordine ai presupposti che impongono la conferma della sentenza emessa dal primo giudice, non sussistendo alcuna carenza della motivazione su argomenti che restino evidentemente smentiti dalla motivazione di primo grado, e si presentino in modo ripetitivo.

Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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