Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-05-2011) 23-09-2011, n. 34601 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che con ordinanza del 16 settembre 2010, il Tribunale della libertà di Catanzaro, ha rigettato il riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di una costruzione e relativa area di pertinenza, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Lamezia Terme il 5 luglio 2010 nei confronti di O.E.B., indagato per i reati di cui agli artt. 55 e 1161 c.n., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e art. 734 c.p., in quanto, a seguito di indagini della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia, era stata accertata l’occupazione di un’area di mq 4078, di cui 1949 di area demaniale marittima e mq 2129 di acque, occupazione risultata abusiva poichè era emersa la mancanza di titoli giustificativi, atteso che la predetta Capitaneria aveva rigettato l’istanza dell’ O. per la concessione demaniale marittima, relativa al mantenimento dei manufatti adibiti a civile abitazione e deposito ed inoltre il predetto aveva eseguito opere edilizie senza titolo, nonostante parte delle opere ricadessero nel lago La Vota Grande, area dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 12 agosto 1967;

che l’indagato, tramite i propri difensori, ha presentato ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per la violazione dell’art. 649 c.p.p., in quanto, come già eccepito con l’istanza di riesame, non sarebbe possibile sottoporre a sequestro un immobile nel 2010 quando lo stesso immobile, oltre ad essere stato posto sotto sequestro nel 1974, era stato poi dissequestrato nel 1978, a seguito di sentenza di assoluzione, nel merito, per il reato di cui all’art. 1621 c.n., e per intervenuta prescrizione per le altre ipotesi di reato, nell’ambito di un processo avente ad oggetto gli stessi fatti e le stesse ipotesi delittuose. Dalla sentenza passata in giudicato emergerebbe che la costruzione in oggetto è stata realizzata nel 1950 (per cui risultano decorsi i termini prescrizionali), ed insiste su suolo demaniale marittimo dato in concessione a T. A., per la costruzione di un manufatto del tipo agricolo, poi realizzato dal padre dell’indagato, il quale aveva poi continuato ad abitarla "iure ereditario". La sentenza passata in giudicato avrebbe interrotto la permanenza del reato che si contesta e, quindi, il reato sarebbe comunque prescritto; che il ricorrente ha precisato che il principio della preclusione processuale, derivante dal divieto del "ne bis in idem" è principio di carattere generale dell’ordinamento processuale (come SSUU, con sentenza n. 34655 del 2005) quando c’è identità del fatto, che va riferita alla perfetta sovrapponibilità tra elementi costitutivi (condotta, evento, rapporto di causalità) ed autori, in relazione alle medesime circostanze di tempo e di luogo della commissione dell’unico fatto-reato. Il principio è stato confermato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 318 del 2001 e 39 del 2002) che ha stigmatizzato l’eccesso di potere processuale che si manifesterebbe nel caso di nuovo procedimento in presenza di divieto di ne bis in idem, in violazione del principio del giusto processo e della parità delle armi ex art. 111 Cost.;

Considerato che le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo sono ricorribili per cassazione solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, (così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta) e che non possono pertanto essere censurati in questa sede presunti vizi di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento alle circostanze di fatto;

che nel ricorso non è stata minimamente messa in discussione, nè contestata, l’attualità dell’occupazione dell’area del demanio marittimo come sopra descritta, nè è stato eccepito l’eventuale possesso di un titolo concessorio dell’occupazione e neppure dei titoli abilitativi necessari per procedere ai lavori di manutenzione straordinaria effettuati nel manufatto ad uso civile abitazione situato, per di più, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico;

che il ricorrente si è limitato a censurare l’inizio dell’attività di indagine eccependo il "ne bis in idem", asserendo che l’attività prodromica all’esercizio dell’azione penale sarebbe inibita dalla pronuncia di una sentenza, passata in giudicato, relativa allo stesso fatto;

che questo Collegio osserva che la sentenza in oggetto – divenuta irrevocabile il 6/10/1979 – emessa nei confronti del medesimo indagato, fu pronunciata, quale giudice di appello, dal Tribunale di Lamezia Terme il 21 luglio 1978, il quale dichiarò estinti per prescrizione i reati di abuso edilizio e di occupazione abusiva di demanio marittimo, accertati in Gizzeria Lido il 12 dicembre 1974, rigettando l’appello dell’ O. che aveva richiesto l’assoluzione piena nel merito (essendo stato assolto in primo grado dal pretore con la formula "per insufficienza di prove") e che i giudici, nella parte motiva, diedero atto che il manufatto adibito a civile abitazione avrebbe dovuto essere invece un manufatto di tipo agricolo, come stabilito dall’originaria concessione edilizia rilasciata al T.; che il giudicato che si è formato con tale pronuncia impedisce di certo che l’ O. possa essere sottoposto a procedimento penale per lo stesso fatto, ossia per i reati edilizi ed anche per il reato permanente di occupazione abusiva, che vennero commessi fino alla data della sentenza di primo grado, ma non può certo impedire l’incriminazione di condotte illecite poste in essere dall’ O. successivamente a tale data;

che infatti la giurisprudenza ha affermato che la sentenza di primo grado limita l’oggetto del giudizio in riferimento ad un reato permanente, mentre "la condotta futura dell’imputato trascende necessariamente l’oggetto del giudizio" (cfr. Sez. 1, n. 17265 dell’8/4/2008, Zavettieri, Rv. 239628 e Sez. 6, 4/10/2000, n. 12302, Drago Ferrante,Rv. 217950; in particolare, in relazione alla permanenza nel reato associativo, Sez. 5, n. 4554 del 9/12/2010, Cambria Scimone e altri, Rv. 249263);

che la giurisprudenza ha inoltre precisato che "il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell’imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile e non anche la prosecuzione della stessa condotta o la sua ripresa in epoca successiva, giacchè si tratta di "fatto storico" diverso non coperto dal giudicato e per il quale non vi è impedimento alcuno a procedere" (in tal senso Sez. 3, n. 15441 del 13/3/2001 Migliorato, Rv. 21949) e che, di fatti, è stato precisato che "la contestazione del reato permanente può effettuarsi con provvedimenti diversi, riferiti ciascuno ad un periodo temporale nel corso del quale si sia svolta parte della condotta" (Sez. 1, n. 624 del 5/3/1985, Messina, Rv. 168487);

che, secondo la definizione data in dottrina, il reato permanente è quello che si commette attualmente, ossia quello in cui la condotta dell’autore di esso "permane", continuando in tal modo a recare offesa all’interesse oggetto della tutela, per cui tale reato viene a cessare, dal punto di vista fenomenico e giuridico, solo con l’esaurimento della condotta (per atto volontario dell’autore o per l’intervento di forze esterne);

che in riferimento al reato di occupazione abusiva del demanio marittimo, il protrarsi dell’uso esclusivo e del godimento del demanio continua in ogni caso a sottrarre alla fruibilità collettiva il bene demaniale stesso, (cfr. Sez. 3, n. 6540 dell’1/2/2006, Falcione, Rv. 233314 e Sez. 3, n. 6915 del 12/12/2003, P.m. in proc. Duro e altri, Rv. 227562), tanto che anche un’eventuale accessione dei manufatti al patrimonio dello Stato non incide sulla permanenza del reato (così Sez. 3, n. 9644 del 18/1/2006, Carrea, Rv. 233557) e che del pari nessun rilievo può assumere neppure un’eventuale acquiescenza degli organi preposti al controllo (cfr. Sez. 3, n. 3672 del 30/11/2005, Malatesta, Rv. 233288); che nel caso di specie il reato permanente è caratterizzato da una condotta attiva (occupare senza titolo il demanio marittimo), che era in essere prima dell’accertamento, ed ha continuato ad essere posta in essere nel momento di esecuzione del decreto di sequestro preventivo, e che la stessa potrà dirsi esaurita solo quando l’occupazione cessi ovvero venga rilasciato un titolo legittimo a giustificare l’occupazione (in tal senso, Sez. 3, n. 16417 del 16/3/2010, Apicella, Rv. 246765; per l’affermazione del medesimo principio in riferimento ad altro reato permanente, esercizio abusivo di attività medicosanitaria, si veda Sez. 3, n. 21806 del 18/4/2007 Coluccia, Rv. 236679); che l’ordinanza impugnata risulta congruamente motivata quanto alla sussistenza dei requisiti del fumus delicti ipotizzati a seguito delle indagini svolte e del periculum in mora;

che infatti il Tribunale, dopo aver riassunto la giurisprudenza relativa al reato di occupazione abusiva di area demaniale marittima, ha evidenziato che l’ O. ha goduto, e sta godendo, di un’area demaniale in assenza del provvedimento concessorio, sottraendo tale bene al godimento della collettività e che tale condotta può dirsi cessata solo quando sia venuto meno l’esercizio del potere di fatto sul bene, per cui la permanenza del reato si protrae fino a quanto persiste l’occupazione e cessa con lo "sgombero" ovvero con il rilascio della concessione e non con altri provvedimenti, seppure di natura giurisdizionale, quale la sentenza depositata dalla difesa, che ebbe all’epoca ad interrompere la permanenza in relazione alla delimitazione della contestazione e quindi del fatto storico riconosciuto nella sentenza, quello sì coperto da quel giudicato;

che sussiste un grave quadro indiziario in relazione alla circostanza che l’indagato, dopo la decisione passata in giudicato, abbia protratto – o comunque ripreso – l’occupazione senza titolo, mantenendo l’esclusiva disponibilità dell’immobile e dell’area, per cui il reato di occupazione abusiva risulta "in itinere" ed è necessario il vincolo cautelare per impedire l’ulteriore permanere, od il protrarsi, dell’offesa all’interesse tutelato dalla fattispecie di cui all’art. 1161 c.n.;

che in riferimento al fumus delicti come evidenziato nell’ordinanza impugnata non può quindi spiegare alcun effetto, ai fini dell’applicazione della regola del ne bis in idem, la sentenza relativa ad un’occupazione di demanio marittimo commessa dall’ O. fino al 21 luglio 1978;

che pertanto il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrete, in forza del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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