Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 23-09-2011, n. 34543 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1, In data 14 ottobre 2010 il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l’appello proposto da A.F. avverso l’ordinanza emessa il 7 giugno 2010 dal G.i.p. dello stesso Tribunale, che aveva rigettato la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, previa retrodatazione dei medesimi ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3. 1.1. Il provvedimento impugnato evidenziava le seguenti circostanze:

– con ordinanza del 29 aprile 2010 il G.i.p. del Tribunale di Catanzaro aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di A.F. per i delitti di concorso in omicidio aggravato (capo A), detenzione e porto in luogo pubblico di arma da guerra (capo B) e distruzione e soppressione di cadavere (capo C), tutti aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 e commessi in Cassano allo Jonio in data 8 giugno 1999, e per il delitto di concorso in omicidio, aggravato dallo stesso art. 7 (capo D), commesso in Cosenza il 29 luglio 1999;

– con precedente ordinanza del 23 ottobre 2003, A. F. era stato sottoposto ad altra misura cautelare della custodia in carcere in relazione a numerose ipotesi omicidiarie, oltre a delitti in materia di armi;

– con ordinanza del 7 giugno 2010, il G.i.p. del Tribunale di Catanzaro aveva respinto la richiesta di dichiarare la perdita di efficacia della misura applicata con ordinanza del 29 aprile 2010 ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 303 cod. proc. pen., non ricorrendo i presupposti per l’operatività della cd. contestazione a catena.

1.2. Il Tribunale di Catanzaro, pronunciandosi in sede di appello, ha sottolineato l’insussistenza della violazione, nella specie, del divieto di contestazione a catena previsto dal codice di rito.

Dopo aver richiamato i precedenti e gli arresti giurisprudenziali in materia, e condotto un’analisi delle fattispecie, cui era applicabile l’Istituto della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare disciplinato dall’art. 297 c.p.p., comma 3, individuate da questa Corte anche a S.U. con sentenze n. 21957 del 22 marzo 2005 e n. 14535 del 19 dicembre 2006 e dalla Corte cost. con sentenza n. 408 del 24 ottobre 2005, il Tribunale rilevava, in particolare, che:

– nella specie i fatti per cui era cautela (risalenti al 1999) erano anteriori rispetto all’epoca di emissione della prima ordinanza custodiate (ottobre 2003);

– tuttavia, pur ricorrendo tale requisito, non poteva ritenersi operativa la contestazione a catena poichè emergeva in modo inequivocabile dagli atti che gli elementi fondanti la prognosi di penale responsabilità dell’appellante, nel procedimento nel quale era stata emessa la seconda ordinanza, costituiti dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, erano stati acquisiti negli anni 2005 (19 ottobre), 2007, 2008 e 2009, e quindi, dopo l’adozione dell’ordinanza cautelare e dopo l’emissione del decreto dispositivo del giudizio (8 aprile 2005) nel procedimento cd. (OMISSIS), e l’esistenza di "elementi fluidi di indagine", antecedenti a detta data, non aveva consentito alcun apprezzamento prognostico della piattaforma indiziaria, posta poi a base del successivo provvedimento restrittivo;

– in particolare, con riferimento ad entrambi gli omicidi contestati, in danno di C.P. e di Br.Fr., alle dichiarazioni del chiamante in correità B.F. del 2001, antecedenti al primo titolo custodiate, avevano fatto seguito le dichiarazioni di D.F., a partire dal 22 febbraio 2007, e quelle di Sc.Do. del 19 ottobre 2005, limitate queste ultime alla ospitalità chiesta a B. e all’ A. da C.P. per sottrarsi alle ricerche di polizia nei suoi confronti e alla sua successiva scomparsa, mai denunciata dai familiari, mentre le dichiarazioni di A. F. del 2 dicembre 2002 e di D.D.A. dell’11 e 12 giugno 2003 erano state di poco anteriori alla data di emissione della prima ordinanza (23 ottobre 2003) ed erano, quindi, da valutare comparativamente agli altri elementi fondanti il coacervo probatorio, mentre la conversazione n. 601 del 9 giugno 2000 atteneva all’omicidio di F.A. e alle specifiche posizioni di A.N. e B.A..

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, A.F., che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a).

Secondo il ricorrente, che, in relazione al richiamato principio di autosufficienza del ricorso, integralmente riporta in ricorso i motivi del proposto appello, il Tribunale ha omesso di rispondere a censure di carattere sostanziale, attinenti alla sufficienza a supportare la richiesta cautelare per gli omicidi di Br. e di C., al momento della richiesta di applicazione della misura cautelare nel procedimento cd. (OMISSIS), delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia intranei alla cosca Abbruzzese ( D.D. A., B.F., G.G. e S. C.), solo confermate da quelle dei più recenti ( Sc., D., A. e D.N.), consistenti in mere chiamate in reità de relato, e della intercettazione della conversazione del 9 giugno 2000, riguardante l’omicidio di C.P., intercorsa tra B.F. e A.N., coimputato dell’ A. in questo procedimento e indicato dai collaboratori di giustizia come intraneo alla cosca Abbruzzese e componente del cd. gruppo di fuoco.

2.1. Il Tribunale, in particolare, ad avviso del ricorrente, non ha effettuato adeguata disamina con riguardo alla portata indiziaria della chiamata in reità del collaboratore di giustizia D.D., indicato come intraneo alla ipotizzata cosca facente capo al medesimo ricorrente, e di quella del collaboratore B., sotto il profilo della mutual corroboration ex art. 192 c.p.p., comma 2, nè ha considerato la "significanza processuale" e la "prognosi di concludenza e gravità indiziaria" delle dette dichiarazione e di quelle dei collaboratori G. e S., omettendo di rilevare che i verbali contenenti le dichiarazioni dei collaboratori D. D. e B. (chiamate in correità quelle di D.D. e B. per l’omicidio Br., e in correità quella del B. e in reità de relato quella del D.D. per l’omicidio C.) erano nella disponibilità della Procura inquirente nel momento della richiesta di adozione della misura cautelare nel procedimento cd. (OMISSIS) del novembre 2002 e nel procedimento cd. (OMISSIS) del novembre 2003; che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia B., oltre a quelle di G. G., avevano costituito, unitamente al rilevante materiale intercettivo, il fondamento dell’ordinanza cd. (OMISSIS), e che dette dichiarazioni avevano riguardato, unitamente a quelle del D.D., oltre al tema della estorsione dell’autostrada, anche l’accordo programmatico, stipulato a S.A. con il gruppo cassanese, asseritamente facente capo allo stesso ricorrente, finalizzato alla eliminazione dei soggetti che intendevano gestire in proprio le estorsioni, senza "confederarsi al gruppo".

La presenza della contestata aggravante di cui alla L. n. 201 del 1991, art. 7 per tutti i reati è, secondo il ricorrente, la conferma della loro finalizzazione a favorire la medesima associazione mafiosa confederata oggetto del procedimento cd. (OMISSIS), e tale rilievo, unitamente all’utilizzo delle dichiarazioni dei collaboratori B., G., S. e D.D. nelle ordinanze rese nei procedimenti cd. (OMISSIS), che hanno superato il vaglio del Tribunale del riesame, al carattere de relato delle dichiarazioni dei collaboratori Sc., D., A. e D. N., alla collocazione della strategia stragista nel giugno 1999 cui risale l’omicidio C., alla contestualità spaziale- temporale dei delitti (in Calabria, Cosenza e Cassano e zone limitrofe dal 1999 al 2002), alla medesimezza delle modalità di esecuzione (tipiche dell’appartenenza a sodalizio mafioso avente come fine primario i delitti contro la persona) e alla perfetta coincidenza dei soggetti coinvolti nell’esecuzione dei delitti (oltre allo stesso ricorrente, tutti coloro che sono stati ritenuti "vicini, associati e confederati alla presunta cosca Abbuzzese), confermano la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento delle ragioni poste a fondamento della proposta impugnazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, Librato, Rv. 235911) ha ricostruito lo stato della giurisprudenza di legittimità e costituzionale intervenuta in merito all’art. 297 c.p.p., comma 3, partendo dalla decisione delle stesse Sezioni Unite n. 21957 del 22 marzo 2005 (dep. 10/06/2005, P.M. in proc. Rahulia e altri), che aveva ripercorso le vicende dell’istituto della retrodatazione dalla sua introduzione giurisprudenziale, attraverso l’elaborazione di regole per contrastare le cd. contestazioni a catena, fino alla sua recezione legislativa da ultimo con l’art. 297 c.p.p., comma 3, nel testo modificato dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 12, e aveva chiarito che:

– nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento, per lo stesso fatto o per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (Rv. 231057);

– nel caso di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da una connessione qualificata, la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare (Rv. 231058);

– nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo se, al momento dell’emissione della prima ordinanza, esistevano elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza (Rv. 231059).

2.1. Il nuovo intervento di questa Corte a Sezioni Unite è conseguente alla pronuncia della Corte Costituzionale, che, con la decisione 3 novembre 2005, n. 408, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, "nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza", determinando il sorgere del dubbio circa la possibile applicazione del principio non solo a fatti diversi relativi allo stesso procedimento ma anche a fatti diversi relativi a diversi procedimenti.

La decisione di questa Corte sul punto distingue tra il caso in cui i diversi procedimenti pendono davanti ad autorità giudiziarie diverse da quello in cui i diversi procedimenti pendono davanti alla stessa autorità giudiziaria, e rileva che:

– nel primo caso, la retrodatazione non ha alcuna ragione di operare, poichè la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che, quindi, la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura;

– nel secondo caso, se per i fatti oggetto del secondo provvedimento cautelare il procedimento aveva avuto inizio, o avrebbe dovuto averlo, al momento dell’emissione della prima ordinanza, può ritenersi che l’adozione della seconda misura sia stata il frutto di una scelta del pubblico ministero, pur essendo gli elementi già desumibili dagli atti. In tale secondo caso la retrodatazione opera automaticamente se i fatti sono collegati da connessione qualificata, mentre in mancanza di connessione, non giustifica la retrodatazione il fatto che l’ordinanza emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già presenti nel primo, atteso che in molti casi gli elementi probatori non manifestano Immediatamente il loro significato.

Pertanto, la circostanza che alcuni elementi siano stati in possesso degli organi delle indagini non dimostra che ne fosse stata individuata la portata probatoria, potendo l’elaborazione di alcuni atti di indagine, quali ad esempio le intercettazioni, dare ragione dell’Intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione delle fonti di prova e l’inizio del procedimento.

Le Sezioni Unite hanno, quindi, fissato il principio che "quando in differenti procedimenti, non legati da connessione qualificata, vengono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi, e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima, è da ritenere che i termini della seconda ordinanza debbano decorrere dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se I due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del Pubblico Ministero". 2.2. In modo conforme al detto arresto delle Sezioni Unite, questa Corte ha ripetutamente affermato, che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza idonei a giustificare l’adozione della misura cautelare coincide non con la materiale disponibilità della informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di prova progressivamente acquisiti, ma va riferita al momento valutativo, risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una lettura ponderata del materiale e per mettere in rapporto un determinato dato con le altre risultanze investigative, senza che rilevi il parametro rigorosamente temporale, ossia relativo alla mera presenza in atti di quel dato (Sez. 2, n. 11133 del 12/12/2003, dep. 13/03/2009, Macrì, Rv. 243421; Sez. 5, n. 2724 del 04/11/2009, dep. 21/01/2010, Fracasso, Rv. 2459; Sez. 6, n. 49326 del 21/12/2009, dep. 22/12/2009, Amicuzi, Rv. 245423, e, da ultimo, Sez. 1, n. 1906 del 17/03/2010, dep. 07/04/2010, Cava, Rv. 246839).

3. Di tali principi il Tribunale ha fatto esaustiva ricostruzione, corretta interpretazione e precisa applicazione, evidenziando e correlando logicamente i dati fattuali disponibili e svolgendo un articolato iter argomentativo, non astratto dalle risultanze processuali e dalle argomentazioni difensive sviluppate con i motivi di appello.

3.1. E’ stato, in particolare, evidenziato, quale questione risolutiva per escludere, nel caso di specie, la ricorrenza, dedotta dalla difesa, degli estremi della retrodatazione, che, pur sussistendo il requisito dell’anteriorità, richiesto dall’art. 297 c.p.p., comma 3, in quanto i fatti contestati con l’ordinanza di custodia cautelare in carcere del 29 aprile 2010, di cui è chiesta la retrodatazione, sono anteriori alla data di emissione dell’ordinanza custodiate del 23 ottobre 2003, risalendo al 1999, gli elementi gravemente indizianti posti a base della seconda ordinanza sono stati acquisiti dopo l’adozione della prima nel procedimento cd.

(OMISSIS) e dopo l’emissione del decreto dell’8 aprile 2005, dispositivo del giudizio in detto procedimento.

Con valutazioni di merito correttamente argomentate, il Tribunale ha rilevato le emergenze fattuali degli atti esaminati, con riferimento ai due omicidi oggetto dell’ ordinanza del 29 aprile 2010, e ha evidenziato che gli indizi fondanti la prognosi di penale responsabilità del ricorrente per l’omicidio di C.P. sono stati acquisiti, dopo la chiamata in correità di B. F. del 2001, a partire dal 19 ottobre 2005 con le dichiarazioni di Sc.Do., costituenti riscontro di tipo indiretto a detta prima chiamata e a quella successiva di D. F. (dichiarazioni del 22 febbraio 2007, 1 marzo 2007, 24 aprile 2008 e 5 maggio 2009), senza che l’accertata scomparsa della vittima fosse mai stata denunciata dai suoi familiari, e che, con riferimento all’omicidio di Br.Fr., alle dichiarazioni di B.F. del 2001 si sono aggiunte quelle di D. V. a partire dal 22 febbraio 2007, mentre le dichiarazioni di A.F. del 2 dicembre 2002 e di D.D.A. dell’11 e 12 giugno 2003 hanno di poco preceduto l’emissione dell’ordinanza custodiate del 23 ottobre 2003.

E’ dei tutto logico e ragionevole l’iter argomentativo del Tribunale, che ha ritenuto l’inidoneità delle sole dichiarazioni del B. ad assumere valenza dimostrativa in relazione all’attribuzione in termini di elevata probabilità, atteso il contesto incidentale de liberiate, del fatto reato al soggetto destinatario della misura (Sez. U, n. 36267del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, Spennato, Rv. 234598), e ha individuato la desumibilità dagli atti non nella solo conoscenza o conoscibilità di un determinato dato o evento, discendente dalla sua storica esistenza, ma nella condizione di conoscenza degli elementi relativi a un determinato fatto-reato, sulla base di un determinato compendio documentale o dichiarativo, che possano essere processualmente significativi e finalisticamente orientati a valutazioni di natura cautelare, in coerenza con la tempistica richiesta per la necessaria verifica di attendibilità, intrinseca ed estrinseca, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e con la piena leggibilità degli elementi acquisiti alla luce della lettura complessiva delle risultanze investigative.

3.2. Le doglianze svolte dal ricorrente – a fronte dei principi di diritto suindicati e delle articolate valutazioni svolte dal Tribunale – sono infondate. li ricorrente, che ha opposto una lettura parziale dei principi in materia, ha svolto censure che si risolvono in critiche in linea di fatto e di merito, o in censure non collegate alle ragioni argomentate della decisione impugnata.

La censura, che attiene all’anteriorità delle chiamate in correità alla data di emissione della prima ordinanza, non solo è generica nella parte in cui non colloca nel tempo le medesime, delle quali nè rappresenta nè allega il contenuto in contrasto con la necessaria autosufficienza del ricorso, ma si riferisce a questione non risolutiva alla luce dei principi di diritto prima detti e dell’analisi condotta dal Tribunale, rilevante essendo, quando, come nella specie, le ordinanze cautelari siano state emesse non nello stesso procedimento, ma in procedimenti diversi, non la questione dell’anteriorità del fatto o dei fatti di un procedimento all’altro, ma la possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza.

Nè la doglianza svolta con riferimento all’affermazione del Tribunale che gli elementi posti a fondamento della seconda misura non potevano desumersi dagli atti, al momento dell’emissione della prima misura, si pone quale censura idonea a contrastare gli apprezzamenti svolti dal Tribunale sulla necessaria interpretazione, elaborazione e valutazione da parte del Pubblico Ministero degli elementi acquisiti prima di avanzare idonea istanza cautelare.

Il ricorrente ha, infatti, dedotto che le chiamate in correità sopravvenute hanno avuto un contenuto solo indiretto e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie dei collaboratori B. e G. sono state positivamente valutate dal G.i.p. che ha adottato le misure cautelari nei procedimenti cd. (OMISSIS), ma, a parte il rilievo della mera affermazione delle svolte deduzioni, non è neppure dedotto che tali dichiarazioni abbiano riguardato, nei diversi procedimenti, i due omicidi posti a fondamento dell’ultima misura e che dal loro contenuto si desumessero elementi, non in fieri ma in facto gravemente indiziali per emettere la seconda ordinanza già alla data delle precedenti.

4. Pertanto, stante la correttezza logica e giuridica delle valutazioni e delle conclusioni dell’ordinanza, il ricorso deve essere rigettato.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

5. La Cancelleria provvedere all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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