Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-02-2012, n. 1637 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 30.3.05 il Tribunale di Cagliari accoglieva l’opposizione, proposta da B.F. nei confronti dell’INPS e della S.C.C.L. S.p.A. Società di cartolarizzazione dei crediti INPS, al decreto ingiuntivo emesso a carico del B. medesimo per contributi previdenziali ed accessori dovuti alla gestione commercianti, per l’effetto revocando il provvedimento monitorio.

Statuiva il primo giudice l’insussistenza del debito contributivo dell’opponente perchè il contratto di agenzia da lui originariamente stipulato con la C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A. (chiamata in causa e rimasta contumace) nascondeva, per come in concreto svoltosi il relativo rapporto, un vincolo di subordinazione.

Con sentenza depositata il 18.9.06 la Corte d’appello di Cagliari, in totale riforma della pronuncia di prime cure, diversamente apprezzando nel loro complesso le risultanze probatorie rigettava l’opposizione asserendo che dall’istruttoria svolta in primo grado emergeva che effettivamente il rapporto tra il B.e la C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A. si era svolto secondo lo schema di quello di agenzia e non in termini di subordinazione.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il B. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A., che a sua volta spiega ricorso incidentale.

L’INPS ha depositato procure in calce alle copie notificate del ricorso principale e di quello incidentale e ha discusso la causa in udienza.

La S.C.C.I. S.p.A. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

Preliminarmente si riuniscono ex art. 335 c.p.c. i ricorsi del B. e di C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A., avendo ad oggetto la medesima sentenza.

1- Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 342, 414, 416, 420 e 434 c.p.c. e art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione, avendo l’impugnata sentenza riformato quella del Tribunale nonostante che l’appello dell’INPS non avesse investito la valutazione delle prove (solo in un generico inciso aveva definito "insufficiente e contraddittoria" la prova, senza però confutarne analiticamente l’apprezzamento); in realtà – prosegue il ricorso – l’istituto previdenziale si era limitato a dedurre l’irrilevanza della prova vista la possibile coesistenza del rapporto di lavoro subordinato accertato in prime cure con una parallela attività di agente di commercio da parte del B..

Il motivo è infondato, atteso che il contemporaneo appello proposto anche da C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A. aveva esteso la devoluzione anche al concreto apprezzamento delle prove ai fini dell’esatta natura giuridica del rapporto in discorso.

Quanto all’ammissibilità di tale appello (contestata con altro motivo del ricorso principale), v. infra.

2- Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100, 102, 107, 414 e 416 c.p.c. e art. 2697 c.c, nonchè vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare, l’appello interposto da C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A. nonostante che la sua chiamata in causa fosse avvenuta ex art. 107 c.p.c. e non ex art. 102 c.p.c. (non sussistendo ipotesi di litisconsorzio necessario), che nessuno avesse formulato conclusioni nei suoi confronti e che non fosse stata emessa dalla sentenza di primo grado statuizione alcuna a carico di tale società;

in subordine, prosegue il ricorso principale, vista la contumacia in primo grado della C.I.A. S.p.A., la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare la mancata contestazione delle allegazioni contenute nel ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo.

Il motivo è infondato.

La chiamata in causa iussu iudicis ex art. 107 c.p.c. ha l’effetto di rendere opponibile la sentenza al chiamato, di guisa che egli, per ciò solo, è legittimato ad impugnare la sentenza, a prescindere dal fatto che nei suoi confronti siano state formulate conclusioni e adottate statuizioni.

Quanto al principio di non contestazione, è noto che esso si applica solo alla parte costituita e non anche a chi sia rimasto contumace come, in primo grado, la C.I.A. S.p.A. (cfr., ex aliis, Cass. 1M2.09 n. 25281; Cass. 21.8.03 n. 12317; Cass. 19.8.96 n. 7630).

Il richiamo – che si legge nella memoria ex art. 378 c.p.c. del B. – a Cass. n. 2165/03 non è in termini perchè non concerne un’ipotesi di contumacia.

3- Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 437 c.p.c. e degli artt. 1326, 1742 e 2094 c.c., nonchè vizio di motivazione, nella parte in cui l’impugnata sentenza ha qualificato come di agenzia anzichè come di lavoro subordinato il rapporto intercorso fra il B. e la C.I.A. S.p.A., per altro sulla base di un documento – il contratto stipulato il 29.4.91 con integrazione del 20.7.93 – illegittimamente prodotto in appello dalla società, in violazione dell’art. 437 c.p.c.;

prosegue il ricorrente dolendosi del fatto che tale contratto è successivo di ben 13 anni al rapporto di lavoro subordinato costituitosi fra le parti sin dal 1978, come allegato nel ricorso introduttivo di lite e riconosciuto dalla sentenza di primo grado, sul punto non impugnata; la Corte territoriale – lamenta, ancora, il B. – è poi incorsa in difetto di motivazione per non aver considerato il precedente contratto sottoscritto dalle parti il 7.4.78 e per aver valorizzato elementi (come il vincolo di esclusiva, la misura della provvigione, l’indennità di scioglimento etc.) pienamente compatibili con la subordinazione e, infine, per aver trascurato altri elementi indicativi, invece, della subordinazione (come quello del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa – situato, come nel caso di specie, all’interno dell’azienda – dell’utilizzo di strumenti di lavoro di proprietà della C.I.A., della presenza di altri venditori all’interno dell’autosalone e di un loro coordinatore, della mancanza di predeterminazione del settore dì clientela, dell’esercizio del potere direttivo da parte del venditore capo, dell’esistenza d’un piano ferie); la motivazione – conclude il ricorrente principale – è altresì contraddittoria perchè da un lato nega l’esistenza d’un vincolo di orario, dall’altro, poi, lo afferma, valuta erroneamente la deposizione del teste P. e trascura che la mancanza di iniziative disciplinari a carico del B. è sostanzialmente neutra in assenza di concrete infrazioni a lui addebitabili.

Osserva la Corte, quanto alla produzione del contratto del 29.4.91, che la doglianza è infondata, perchè nel rito del lavoro l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale.

Nè gioverebbe al ricorrente principale l’opinione contraria, atteso che la nullità dell’acquisizione d’una prova (documentale, testimoniale, periziale), essendo posta a tutela dell’interesse delle parti, è sempre relativa, sicchè deve essere eccepita subito dopo l’acquisizione della prova medesima o – se ciò non è possibile – nella prima difesa successiva o, al più tardi, nel momento dell’acquisita conoscenza della nullità stessa, in difetto restando la nullità sanata ex art. 157 c.p.c., comma 2 dall’acquiescenza della parte che aveva interesse a farla valere.

Nel caso di specie il B. non allega neppure di aver tempestivamente sollevato tale eccezione.

Quanto all’orario di lavoro, non risponde al vero che la Corte territoriale sia incorsa nella contraddizione denunciata, atteso che si limita ad affermare che il B. non era tenuto ad osservare un orario di lavoro e che, comunque, neppure il tendenziale rispetto di un certo orario di lavoro sarebbe stato di per sè sufficiente ad attrarre il rapporto nell’alveo della subordinazione, assunto – quest’ultimo – rispettoso dell’insegnamento di questa S.C., secondo cui l’esistenza di un orario di lavoro non è di per sè dirimente ai fini della qualificazione del rapporto (nello specifico d’un rapporto di agenzia v., ex aliis, Cass. 23.4.09 n. 9696; Cass. 15.5.02 n. 7087).

Quanto all’assenza della determinazione di una zona, va richiamato il principio, più volte espresso dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui la configurabilità d’un rapporto di agenzia, secondo la previsione degli art. 1742 ss. c.c., non trova ostacolo nella circostanza che l’atto di conferimento dell’incarico non designi formalmente la zona di suo espletamento, ove tale indicazione sia evincibile dal riferimento all’ambito territoriale in cui le parti operano al momento dell’instaurazione del rapporto medesimo (Cass. 4.11.94 n. 9063; Cass. 4.5.81 n. 2720).

Per il resto, le ulteriori censure attengono alla ricostruzione nel merito delle risultanze processuali e richiederebbero, per la loro valutazione, un accesso diretto al materiale probatorio ovviamente precluso in questa sede.

4- Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e L. n. 335 del 1995, art. 3, nonchè vizio di motivazione, per omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione dei crediti azionati dall’INPS, eccezione ritualmente sollevata nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo e coltivata in appello senza che la Corte territoriale la prendesse in esame.

Il motivo è inammissibile.

A riguardo si premetta che, lamentando un’omessa pronuncia su un’eccezione, si deduce un error in procedendo che, per costante insegnamento di questa Corte Suprema, va denunciato – a pena di inammissibilità – ai sensi non già dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (o del n. 3), bensì del n. 4 in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. 11.11.2005 n. 22897; in senso conforme v. ancora, ex aliis, Cass. 27.9.2000 n. 12790; Cass. 7.7.2004 n. 12475; Cass. 26.1.2006 n. 1701; Cass. 14.2.2006 n. 3190;

Cass. 22.11.2206 n. 24856).

Ne consegue che il motivo andava corredato – a pena di inammissibilità ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis nel caso di specie, vista la data di deposito della sentenza impugnata) – da apposito quesito di diritto in forza dell’insuperabile tenore letterale dell’art. 366 bis c.p.c. (cfr.

Cass. 21,2.2011 n. 4146; Cass. 25.1.2010 n. 1310; Cass. 23.2.2009 n. 4329).

5- Con ricorso incidentale la C.I.A. – Compagnia Italiana Automobili S.p.A. si duole unicamente del rigetto dell’eccezione di nullità della notifica della chiamata in causa per mancata indicazione, nella relativa relata, del luogo di consegna dell’atto e perchè la sig.ra B.M. (il cui nominativo figura in detta relata) non è mai stata dipendente od addetta alla ricezione degli atti per conto della società.

Il motivo è infondato, noto essendo nella giurisprudenza di questa S.C. (cui va data continuità) che, accedendo di norma la relata di notifica all’atto notificato, deve presumersi, in assenza di annotazioni difformi, che la notificazione sia stata effettuata nel luogo menzionato nel contesto dell’atto stesso (che va esaminato nella sua interezza, a partire dall’intestazione), con la conseguenza che l’omessa indicazione, nella relata, di tale luogo non determina nullità della notificazione – non comminata dall’art. 160 c.p.c. -, ma mera irregolarità formale (cfr., fra le numerose in tal senso, Cass. 12.5.10 n. 11446; Cass. 17.2.05 n. 3230).

Infine, è onere del destinatario della notifica dimostrare l’insussistenza d’un rapporto (di natura familiare, di servizio, o di impiego) con il consegnatario dell’atto (giurisprudenza costante: per tutte v., da ultimo, Cass. 2.7.10 n. 15798).

6- In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi, il che consiglia di compensare per intero le spese del giudizio tra il B. e la C.I.A. S.p.A., mentre non si ravvisano ragioni per derogare alla regola della soccombenza riguardo all’INPS. Non è dovuta pronuncia sulle spese riguardo alla S.C.C.I. S.p.A., che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra il B. e la C.I.A. S.p.A. e condanna il B. a pagare le spese in favore dell’INPS, spese liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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