Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 23-09-2011, n. 34540

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 9 giugno 2010 dal G.i.p. dello stesso Tribunale nei confronti di C.D., sottoposto a indagini per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen,, contestato al capo A, in esso assorbito il delitto di cui al capo H, della imputazione provvisoria, in relazione alla partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, e in particolare della sua articolazione territoriale denominata cosca Condello.

2. Il Tribunale argomentava la decisione, partendo dall’inquadramento della vicenda nel contesto più ampio della inchiesta avviata dopo la cattura del latitante C.P., oggetto di numerose pronunce giudiziarie anche per reati associativi, e degli accertamenti condotti con riguardo alle principali cosche storiche dominanti nel territorio della città di Reggio Calabria (i Libri, i De Stefano e i Condello), che, dopo essere state contrapposte durante la sanguinosa guerra di mafia, avevano costituito, nella loro evoluzione, una confederazione associativa, programmaticamente strutturata con ferree regole per raggiungere un "comune programma criminoso" e con un organismo decisionale costituente vertice collegiale della super-associazione, del quale facevano parte in posizione verticistica D.S.G. che, con il grado di crimine, la gestiva in prima persona, C.P., detto I. S., che la cogestiva attraverso il cugino C.D., detto G., e L.P., che la cogestiva e ne era il garante.

A tale ricostruzione il Tribunale era pervenuto richiamando l’analisi condotta dal G.i.p. del materiale indiziario, costituito dagli esiti dei precedenti giudizi a carico di C.P. e della cosca allo stesso riconducibile, e dal nuovo materiale acquisito attraverso le intercettazioni delle conversazioni, ampiamente riportate, intercorse tra i sodali della cosca Buda-Imerti, le dichiarazioni del collaboratore Fi.An., riportate nelle parti più salienti, in merito alla operatività della consorteria e alle sue metodiche e finalità, e la ricostruzione della vicenda estorsiva ai danni di F.D. e F.E., che confermava l’esistenza di una "cupola" di vertice, rappresentata dalla fusione dei precedenti schieramenti di ‘ndrangheta operanti in Reggio Calabria, e la configurazione consorziata dell’associazione mafiosa.

2.1. Nel settore delle estorsioni la nuova organizzazione criminale era risultata, in particolare, caratterizzata dalla gestione monopolistica delle attività estorsive senza limiti territoriali e con rigidi criteri spartitorì dei proventi illeciti tra le famiglie che erano state in lotta, incompatibili con scelte discrezionali dei singoli, individui o gruppi familiari; con imposizioni di pagamenti sistematici secondo percentuali prestabilite dell’Importo dei lavori, incompatibili con semplici regalie o gesti di rispetto; senza sconti per alcuno, anche se legato da rapporti di parentela alla stessa organizzazione, suscettibili di creare disuguaglianze in grado di degenerare, e con diffuso e reiterato compimento di azioni intimidatorie, tali da superare la necessità della formulazione di specifiche richieste estorsive e da prevenire rischi per la criminalità organizzata.

2.2. In tale contesto l’esistenza di un serio quadro indiziario a carico dell’indagato C.D. era individuata nella vicenda estorsiva ai danni di F.D. e F. E., che, non direttamente attribuita all’indagato, era ritenuta significativa espressione dell’indicato assetto consorziato dell’organizzazione mafiosa, della esistenza della diffusa, pianificata e istituzionalizzata attività estorsiva nel territorio e delle sue logiche spartitorie e della gravità del ruolo dallo stesso rivestito.

In particolare, secondo il Tribunale, che richiamava la ricostruzione della vicenda già avallata dal G.i.p., ritenuta condivisibile e valutata alla luce dei rilievi rappresentati dalla difesa, C. D. era risultato appartenere all’organizzazione criminale e addentrato nei meccanismi pattizi, con il ruolo di soggetto portatore delle regole e degli equilibri che tentava di tramandare e spiegare al suocero, M.U., e di garante della loro osservanza, nell’ottica del rafforzamento del sistema di controllo mafioso del territorio.

2.3. Gli elementi indiziari erano, in particolare tratti:

– dalle plurime conversazioni intercettate, il 7 e il 13 settembre 2007, nell’ufficio di M.U., la cui moglie C.A., quale amministratrice della ditta After Fashion, aveva presentato al Sindaco di Reggio Calabria denuncia d’inizio attività per lavori interni da eseguire nel locale negozio sito in (OMISSIS), e che erano stati affidati alla ECADEP s.r.l., della quale era amministratore unico F.D., vittima di richiesta estorsiva, insieme al fratello E. socio della ditta, proveniente da D.S.G., per essere stati avviati i lavori, da parte dell’imprenditore e dello stesso committente, senza preventivo contatto con gli esponenti della criminalità organizzata per il pagamento della tangente;

– dai servizi di osservazione effettuati dalla locale Sezione anticrimine, che integravano gli esiti delle conversazioni e consentivano l’identificazione degli interlocutori;

– dai riferimenti espressi fatti da M.U. a C. D., che, figlio di C.P., era fidanzato della figlia, come di persona da lui interessata prima dell’inizio dei lavori per intervenire, riguardo alla percentuale connessa all’attività di ristrutturazione, presso C.D., che doveva parlarne con C.P., e che gli aveva rappresentato, parlando in prima persona, la nuova situazione criminale e le sue precise regole che prevedevano la necessità, per tutti coloro che eseguivano lavori, di sottostare al pagamento del pizzo e di evitare "incidenti" per essere le cosche consorziate formate da uomini pronti a diffidare gli uni degli altri, impegnandosi tuttavia a fare di tutto per evitare di fargli pagare il pizzo, come da richiesta fatta dallo stesso, tenuto conto dell’amicizia che lo legava al F. e del trattamento che gli stava facendo per il lavoro;

– dal riscontro alle spiegazioni date da C.D. al suocero, costituito da quanto riferito a M.U. da C. D., che, nel confermare l’esistenza delle rigide regole che Illustrava, aveva riferito della loro temperabilità solo per effetto di decisioni condivise, ribadendo che esse riguardavano, in ogni caso non il M., ma l’impresa che doveva lavorare.

Secondo il Tribunale, non ostavano alla operata ricostruzione nè l’assenza di captazioni in danno del C.D., non raggiunto da attività tecnica perchè non ritenuto di interesse operativo, nè l’effettivo investimento di C.D. da parte del M. dell’ambasciata per C.P. e C.D. o la raggiunta destinazione della stessa, avuto riguardo agli acquisiti elementi indiziari.

3. Le esigenze cautelari social preventive e di pericolo di fuga trovavano, secondo il Tribunale, fondamento nella rilevata aderenza dell’indagato a una delle cosche di ‘ndrangheta più affermate e con maggiore controllo di tutte le attività economiche pubbliche e private della zona, e nella sua posizione di stretto parente di pericolosi latitanti, sfuggiti per anni alla cattura grazie all’appoggio di una capillare organizzazione familiare e di soggetti a loro contigui, riuscita a occultarne le tracce e consentirne il continuativo compimento di attività illecite.

4. Avverso detta ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, ha proposto ricorso per cassazione personalmente C.D., che ne chiede l’annullamento censurandola con unico motivo, con il quale denuncia violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e art. 416-bis cod. pen., per essere stato confermato il giudizio di gravità indiziaria della sua intraneità al sodalizio mafioso, in assenza della diretta e univoca convergenza degli elementi indiziari, e per essere stata ritenuta la conducenza degli stessi non derivabile dall’analisi di ciascuno.

4.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale, incorrendo con obiettiva incoerenza ricostruttiva in una vera e propria illogicità motivazionale, non ha logicamente desunto che esso ricorrente non ha fatto parte del sodalizio dalla mancanza di obiettivi riferimenti a un suo contributo nel diffuso richiamo fatto alle dichiarazioni del collaboratore Fi.An. e alle intercettazioni captate nei confronti di soggetti del sodalizio Buda-Imerti, e non ha apprezzato il vuoto conoscitivo nè ha argomentato perchè, nonostante dò, potesse ritenersi la sua intraneità al sodalizio.

Dalla circostanza che dall’attività investigativa, svolta in modo capillare ed esteso, non è risultato alcun elemento tangibile nei confronti del ricorrente e della sua anche mera contiguità al sodalizio, l’ordinanza impugnata, limitandosi a ritenere che ciò era dipeso da una scelta degli inquirenti, ha omesso di trarre le conseguenti determinazioni, eludendo in modo illogico e incongruo l’obbligo del necessario apprezzamento di profili determinanti.

4.2. Obiettivamente erronea oltre che non motivata è, ad avviso del ricorrente, soprattutto la valorizzazione del contenuto delle intercettazioni poste a sostegno del giudizio di gravità indiziaria, poichè le dichiarazioni etero-accusatorie, emergenti dalle conversazioni intercettate, avrebbero supposto la preliminare verifica della veridicità di quanto riferito dai conversanti, sotto il profilo della coerenza della narrazione, della verosimiglianza dei fatti e della loro congruenza rispetto ai dati aliunde recepiti dalla Polizia Giudiziaria.

Tale verifica, ove condotta, avrebbe portato il Tribunale a rilevare l’assoluta inattendibilità di M.U. per la situazione di obiettivo imbarazzo in cui si era trovato, per l’avvertita necessità dello stesso di accampare giustificazioni per togliersi da tale condizione e per la natura "ondivaga, tortuosa, incoerente e dunque falsa" delle sue dichiarazioni, emergenti dall’analisi dell’iter narrativo, oltre che per l’obiettiva incoerenza comportamentale rappresentata dallo stesso nell’essersi rivolto a C.D. dopo averne parlato con il ricorrente.

Il contenuto delle intercettazioni è, in ogni caso, obiettivamente inconducente per dimostrare l’intraneità del ricorrente al sodalizio, ritenuta in modo illogico dal Tribunale dopo aver escluso che lo stesso avesse preso parte alla vicenda estorsiva, e senza indicare il meccanismo inferenziale adottato per pervenire alle conclusioni adottate, che, secondo il ricorrente, sono state tratte dalla ritenuta sua conoscenza delle metodiche della operatività del sodalizio, suscettibile di diversa plausibile giustificazione per la mancata dimostrazione della esclusività in capo ai soli intranei di detto patrimonio conoscitivo, per la sua possibile conoscenza nell’ambito familiare e per il suo carattere statico e privo di valenza contributiva rispetto ai fini perseguiti dal sodalizio.

5. In data 14 marzo 2011, il ricorrente, per mezzo dell’avv. D’Ascola, ha depositato motivi nuovi, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 4, con i quali chiede l’annullamento dell’ordinanza a sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 125 e 273 cod. proc. pen. e art. 416-bis cod. pen..

In particolare, secondo il ricorrente, la disponibilità e la conoscenza dei meccanismi criminali, giustificabili peraltro per i rapporti di parentela con il fratello D., dovevano tradursi in condotte specifiche e dimostrative all’esterno della partecipazione con apporto "materialmente afferrarle, effettivo e provato" e della loro incidenza positiva sull’attività dell’associazione, oltre a essere sorrette dall’elemento psicologico del dolo, contraddistinto dalla consapevolezza e dalla volontà di recare un contributo concreto alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione e favorire il sodalizio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Deve premettersi che le valutazioni da compiersi dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di "elevata probabilità di colpevolezza", tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poichè di tipo "statico" e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal Pubblico Ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost, sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).

2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, non è richiesto il requisito della precisione e della concordanza, ma quello della gravità degli indizi di colpevolezza, per tali intendendosi tutti quegli elementi a carico ancorati a fatti certi, di natura logica o rappresentativa, che non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia sono tali da lasciar desumere con elevata valenza probabilistica l’attribuzione del reato al medesimo (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118;

Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv, 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv.

217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, deve procedere applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che delineano, pertanto, i confini del libero convincimento del giudice cautelare (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).

2.2. Relativamente alle regole da seguire si è, tra l’altro, affermato che il canone di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applica alle indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate, perchè esse non sono assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona Imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all’autorità giudiziaria e, conseguentemente, per esse vale la regola generale del prudente apprezzamento del giudice (Sez. 1, n. 36218 del 23/09/2010, dep. 11/10/2010, Pisanello e altri, Rv.

248290).

2.3. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e al limiti che a esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglla, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

Il detto limite del sindacato di legittimità in relazione alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

3. Nel caso di specie, è congrua e coerente con le acquisizioni processuali richiamate nella decisione la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale ed è immune da vizi logici e giuridici il convincimento dallo stesso manifestato circa la sussistenza a carico del ricorrente di gravi indizi di colpevolezza, e cioè di una qualificata probabilità della sua responsabilità riguardo al reato ascrittogli, perchè espressione di un percorso argomentativo adeguato e logicamente plausibile, che si sottrae a qualsiasi censura.

3.1. Sono stati, infatti, valorizzati gli elementi indizianti, specificatamente descritti in ordinanza e fondati sugli esiti delle indagini svolte, coerentemente inquadrati nel più ampio contesto degli accertamenti condotti, dopo la cattura del latitante C. P., attinenti alla rilevata confederazione consorziata costituitasi tra le principali cosche di ‘ndrangheta operanti in Reggio Calabria (i Libri, i De Stefano e i Condello), alla loro strutturazione quale super-associazione, all’organismo decisionale collegiale della stessa, formato dai rappresentanti delle cosche confederate, al comune programma delittuoso e alle metodiche di gestione della estesa, diffusa e penetrante attività estorsiva nel territorio, ampiamente descritta dal G.i.p. prima e dal Tribunale poi, e richiamata nella parte in fatto della presente sentenza.

Tale ricostruzione del contesto storico-ambientale criminale è stata accompagnata dall’analisi delle fonti di conoscenza, rappresentate, in aggiunta agli esiti dei giudizi già definiti a carico di C.P. e della cosca di riferimento dello stesso, dalle riportate estese risultanze delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra i sodali della cosca Buda-Imerti e dalle dichiarazioni, riportate per ampi stralci, del collaboratore Fi.

A., ed ha fatto da sfondo, traendone e dandone contestuale conferma, alla vicenda estorsiva ai danni di F.D. e di F.E..

3.2. Da detta ultima vicenda il Tribunale ha tratto elementi, che, evidenziando il ruolo operativo del ricorrente nel gruppo criminale, che gestiva, coordinava e imponeva l’attività estorsiva nel territorio secondo regole prestabilite, rigide e diffuse e con rinnovate forme di equilibrio tra le cosche, quale "soggetto portatore di quelle regole ed equilibri che egli tenta(va) di tramandare e spiegare al suocero" M.U., e quale garante della osservanza degli introdotti meccanismi pattizi, costituiscono la grave piattaforma indiziaria della condotta associativa allo stesso contestata.

A tali conclusioni il Tribunale è pervenuto, procedendo a logica lettura e plausibile interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, il 7 e il 13 settembre 2007, nell’ufficio di M.U., integrato dai servizi di osservazione e controllo, secondo la condivisa ricostruzione in fatto della vicenda già avallata dal G.i.p..

Nell’ordinanza impugnata si è, in particolare, evidenziato, con ampi e significativi richiami alla loro trascrizione, che dalle indicate conversazioni è risultato che C.P. era il "terminale" dal quale il M. si sentiva garantito, l’introduzione delle nuove regole nella gestione dell’attività estorsiva è stata rappresentata da C.D. al predetto M., suo futuro suocero, unitamente alla instabilità del nuovo equilibrio raggiunto dalla cosca che imponeva di evitare "incidenti", l’impresa Frascati, pur eseguendo lavori nell’interesse del M. (dietro il quale vi erano C.P. e la sua famiglia per il richiamato fidanzamento della figlia con C.D.), doveva pagare il "pizzo" come le altre imprese, salvo che uno sconto o un abbuono dello stesso non fosse deciso dai vertici dell’organizzazione.

L’assoluta necessità di rispettare le regole fissate nel nuovo assetto associativo, in vista del mantenimento dell’equilibrio tra le cosche, un tempo rivali e ora consorziate, in una fase ancora instabile, è stata illustrata al M. da C.D., che ne ha parlato in prima persona al plurale riconoscendosi nella cosca e mostrando di teneri alla spiegazione al suocero delle ragioni del suo intervento e della rigidità delle regole, che confermava e reiteratamente comunicava, e alla conoscenza da parte dei capi dell’organizzazione del suo intervento chiarificatore presso il M. in ordine allo stato delle cose.

Tale analisi non è stata disgiunta dalla valutazione delle deduzioni difensive, delle quali è stata esclusa la fondatezza, adeguatamente evidenziandosi, in rapporto alle univoche emergenze delle indicate conversazioni, l’ininfluenza dell’assenza di captazioni in danno del ricorrente, non raggiunto da attività tecnica perchè non ritenuto dagli inquirenti di interesse operativo, e l’effettivo conferimento al predetto da parte del M. dell’ambasciata per C. P. e per C.D., il cui colloquio con il M., oggetto di intercettazione e di osservazione, è stato a sua volta oggetto di articolata analisi ricostruttiva.

3.3. A fronte di detto articolato e logico giudizio espresso dal Tribunale, il ricorrente ha opposto infondate censure, prospettate come deduzioni dimostrative della violazione delle regole di valutazione del quadro indiziario e della illegittimità e inadeguatezza della motivazione.

Tali censure sono del tutto generiche e non correlate alle ragioni argomentate dell’ordinanza impugnata nella parte in cui oppongono l’assenza di riferimenti a elementi riconducibili a una partecipazione di esso ricorrente al sodalizio nelle dichiarazioni del collaboratore Fi. e nelle conversazioni intercettate tra i sodali della cosca Buda-Imerti, richiamate dal Tribunale quali fonti di conoscenza per la ricostruzione del contesto storico-ambientale criminale, che ha fatto da sfondo alla vicenda estorsiva ai danni di F.D. e di F.E., e non per la ricostruzione del quadro indiziario a carico del ricorrente, affidata a elementi specificatamente descritti e analizzati.

Del tutto generica è anche la censura che attiene all’assenza di captazioni in danno del ricorrente, in ordine alla quale il Tribunale ha dato adeguata risposta, accompagnando il rilievo dell’assenza di interesse operativo degli inquirenti nei riguardi dello stesso con l’assorbente considerazione della emersa gravità del ruolo assunto dal medesimo nel sistema dei controlli mafiosi grazie alla vicenda estorsiva, ampiamente e logicamente descritto.

Le ulteriori censure che attengono alla contestata valenza indiziaria del contenuto delle conversazioni intercettate, alla possibile riconducibilità della conoscenza da parte del ricorrente delle metodiche della operatività del sodalizio a un ambito strettamente familiare e ai carattere statico e privo di valenza contributiva del detto patrimonio conoscitivo rispetto ai fini perseguiti dal sodalizio, sono doglianze di merito che, appuntandosi sulla affermata non credibilità del M. e astraendo dal necessario confronto con i dati indiziari acquisiti, con il contenuto e gli interlocutori delle conversazioni intercettate, con il delineato ruolo del ricorrente e con il carattere dinamico del contributo dallo stesso dato al sistema di controllo mafioso, sono volte a prospettare una lettura alternativa, parziale, ipotetica e incerta della vicenda processuale e dei dati fattuali e una diversa interpretazione delle risultanze delle indagini e della specifica consistenza dei dati indizianti, rispetto a quella svolta dal Tribunale in modo del tutto compatibile con le valutazioni richieste nella procedura de liberiate.

4. Il ricorso, infondato nelle sue deduzioni, deve essere pertanto rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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