Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-02-2012, n. 1635 Malattia, assicurazione e assistenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 febbraio 2009 la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Pisa del 29 settembre 2006 che ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere a L.C. l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992. La Corte territoriale, per quanto rileva in questa sede, ha motivato tale decisione ritenendo non tardiva la domanda del L. non essendo applicabile il termine di decadenza triennale di cui al D.L. n. 344 del 1996; inoltre la medesima Corte ha affermato che il diritto all’indennizzo in questione è riconosciuto indipendentemente dall’esistenza di eventuali danni funzionali.

Il Ministero della Salute propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su due motivi.

Resiste con controricorso il L.. La Regione Toscana resta intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, come modificato dal D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4, nonchè dal D.L. n. 450 del 1996, art. 2, comma 4, dal D.L. n. 548 del 1996, art. 7 comma 4 convertito in L. n. 641 del 1996 e dalla L. n. 238 del 1997, art. 1. In particolare si deduce che la domanda amministrativa proposta dal L. il 7 dicembre 1999 ed intesa ad ottenere il beneficio di cui alla L. n. 210 del 1992 sarebbe tardiva rispetto al termine di decadenza triennale introdotto dal D.L. n. 344 del 1996, art. 6, comma 4 entrato in vigore il 3 luglio 1996.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 4, nonchè della tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981 e dell’art. 14 disp. gen. di cui al R.D. 16 marzo 1942. In particolare si lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto che l’indennizzo in questione è finalizzato a risarcire la lesione permanente dell’integrità psicofisica indipendentemente dall’incidenza sulla capacità di produzione di reddito, mentre invece la L. n. 210 del 1992 richiama specificamente la tabella A allegata al D.P.R. n. 834 del 1981 che elenca le lesioni ed infermità che danno diritto a pensione vitalizia o ad assegno temporaneo, per cui il riconoscimento del beneficio non potrebbe prescindere dalla sussistenza di una menomazione funzionale.

Il primo motivo non è fondato. In presenza di una modifica normativa che introduce un termine di decadenza che prima non sussisteva, la nuova disciplina entra in vigore con efficacia generale, quindi anche per chi già si trovava nella situazione richiesta dalla legge per far valere il diritto ora sottoposto a decadenza. Per costoro non si determina una situazione giuridica diversa, se non su di un punto specifico: il termine naturalmente decorre dal momento della entrata in vigore della legge che lo ha introdotto. Si tratta di un principio generale dell’ordinamento, che trova riscontro nell’art. 252 disp. att. cod. civ.. Con questa norma il legislatore sancisce che quando per l’esercizio di un diritto (ovvero per la prescrizione o per l’usucapione) il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma con decorrenza dalla entrata in vigore della nuova disciplina. Nel senso della validità generale della norma di sono espresse Corte Cost. nn. 20 del 1994 e 128 del 1996, Cass. 9 aprile 2003 n. 5522, Cass. Sez Un. 7 marzo 2008 n. 6173. Essa è stata anche inserita nell’art. 222 c.c. francese, cpv, novellato dalla L. 17 giugno 2008, n. 561 – 2008, e la dottrina le riconosce l’efficacia di "droit commun", precisando che la creazione di un termine nuovo equivale all’abbreviamento di un termine già esistente. L’argomento comparatistico rafforza dunque la soluzione qui adottata. La decadenza è una forma di sottoposizione dell’esercizio di un diritto ad un termine. Quindi sicuramente il principio vale anche con riferimento a questo istituto. Così come non vi sono ragioni per distinguere il caso in cui la nuova legge riduca il termine per l’esercizio di un diritto, rispetto al caso in cui lo introduca laddove prima non vi era (nel caso in esame si riteneva che operasse la prescrizione ordinaria, mentre la modifica normativa ha previsto la decadenza triennale). In conclusione, se una legge introduce o riduce la durata di un termine per far valere un diritto, la nuova normativa si applica anche a chi era già titolare del diritto, con la sola particolarità che in quel caso la decorrenza opera dal momento della entrata in vigore della modifica legislativa. Nel caso in esame, in particolare, vi sono stati precedenti decreti legge non convertiti, che hanno previsto il termine di decadenza successivamente e definitivamente previsto dalla Legge Conversione n. 238 del 1987. A tale riguardo va affermato che tra gli effetti di un decreto legge non convertito, "fatti salvi" da una legge di conversione di distinto e successivo decreto legge, non rientra il decorso di un termine di decadenza non ancora maturato.

Infatti la mancata conversione del decreto cancella l’onere di impedire la decadenza, gravante sul titolare del diritto. Ne consegue che la stessa decadenza, nuovamente comminata dalla legge, decorre appunto dall’entrata in vigore di questa.

Il secondo motivo è invece fondato. Le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo un contrasto giurisprudenziale creatosi nella materia in esame, hanno affermato che in tema di indennizzo in favore di soggetti danneggiati da epatite post-trasfusionale, la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, letto unitamente al successivo art. 4, comma 4, deve interpretarsi nel senso che prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali, sempre che tali danni possano inquadrarsi – pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare – in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, rientrando nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e con il diritto a misure di assistenza sociale (art. 38 Cost.), la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell’autorità sanitaria (Cass. SS. UU. 1 aprile 2010 n. 8064). Pertanto, in coerenza con tale pronuncia, deve affermarsi che la normativa di tutela dettata dal combinato disposto della L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 1, art. 4, comma 4, riferita ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, che prevede l’indennizzo in favore dei suddetti soggetti, non trova applicazione nei casi di lesioni pur permanenti dell’integrità psicofisica che non hanno però, in ragione dello stato "quiescente" della infermità, incidenza alcuna sulla capacità di produzione di reddito, con la conseguenza che non può essere riconosciuto il diritto a percepire il suddetto indennizzo da parte del soggetto affetto da contagio HCV che, per non presentare sintomi e pregiudizi funzionali attuali, è portatore di una infermità non rientrante in alcuna delle categorie richiamate dalla tabella A annessa al D.P.R. n. 834 del 1981. Nel caso in esame è dunque rilevante l’accertamento dell’eventuale presenza di detti sintomi e pregiudizi funzionali in atto.

A tal fine la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che, in conformità al principio di diritto sopra enunciato procederà al suddetto accertamento, pronunciandosi anche sulle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo:

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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