Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-02-2012, n. 1634 Interessi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Roma, decidendo sulla domanda di B. S.E., volta ad ottenere la condanna dell’INPS al pagamento degli accessori per ritardato pagamento della pensione, ha dichiarato la sopravvenuta cessazione tra le parti della materia del contendere, avendo ritenuto provata, sulla base della documentazione prodotta dall’INPS e della disposta consulenza tecnica di ufficio, che l’Istituto previdenziale aveva corrisposto quanto richiesto in causa per interessi e rivalutazione monetaria.

Di questa sentenza B.S.E. chiede la cassazione con ricorso affidato a 5 motivi. L’INPS resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo, denunciando (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., nonchè degli artt. 1218, 1277 e 2697 c.c. si conclude con un quesito di diritto con cui si chiede alla Corte di dire "se il giudice di merito, ove avesse applicato le norme di diritto prima citate, sarebbe dovuto pervenire a una difforme decisione rispetto alle statuizioni contenute nella sentenza in esame, testualmente sopra riprodotte, ritenendo indimostrato l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria eccepito dall’Istituto, sulla base della mancata prova dello stesso, avendo pure illegittimamente disposto l’ammissione di consulenza tecnica di ufficio in mancanza dei presupposti necessari, nonostante l’opposizione di parte appellante". 2. La censura è inammissibile alla stregua dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile, nella specie, ratione temporis.

3. Ed, invero, il quesito di diritto si risolve in una enunciazione del tutto generica e sostanzialmente tautologica (quindi, in una omessa proposizione del quesito medesimo: vedi Cass. Sez. un. n. 28536/2008; n. 11210/2008; n. 26020/2008), in quanto enuncia le regole di legge (asseritamente) violate, senza, tuttavia, enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse dell’accertamento operato dal giudice d’appello e gli errori da questo compiuti nella loro applicazione alla fattispecie in concreto sottoposta al suo esame, così da essere inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del proposto motivo di ricorso. Ha, infatti, chiarito questa Corte, con giurisprudenza consolidata e condivisa, che il quesito di diritto – richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo – per la funzione che gli è propria, quella cioè di costituire una sintesi logico-giuridica della questione posta al giudice di legittimità (vedi, fra tante, Cass. Sez. un. n. 36/2007;

n. 18759/2008; n. 20409/2008; n. 8463/2009), deve essere formulato in maniera da far comprendere, attraverso la sua sola lettura (non potendosi desumersi il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis. c.p.c.) gli errori di diritto compiuti dal giudice di merito con specifico riferimento alla fattispecie dedotta in giudizio e, tra l’altro, ove – come nel caso in esame – siano denunziate, con unico motivo, diverse e concorrenti violazioni di legge, deve rispecchiare ciascuna di tali articolazioni (cfr. Cass. Sez. un. n. 5624/2009;

Cass. n. 13868/2010). Prescrizioni, queste, nessuna delle quali risulta osservata dalla odierna ricorrente.

4. Nel secondo motivo, con deduzione di violazione e falsa applicazione dell’art. 442 c.p.c. (come integrato dalla sentenza costituzionale n. 156/91), nonchè dell’art. 1219 c.c. si contesta alla sentenza di primo grado di aver considerato rilevante, per la configurabilità della mora dell’INPS, la data di ricezione in Italia della domanda amministrativa di pensione e di aver affermato che, non essendovi prova della data di tale ricezione, non vi era neppure prova del ritardo dell’INPS nella erogazione dei richiesti accessori, per cui nulla era dovuto a questo titolo.

5. Nel terzo motivo, con deduzione di vizio di motivazione, la sentenza d’appello è censurata per non aver preso in esame il modello C 28 in data 24.5.99, allegalo al fascicolo di primo grado, nel quale l’INPS dichiarava di aver accolto la domanda di pensione, così ammettendo di aver già ricevuto in Italia, a quella data, la domanda di pensione.

6. Nel quarto motivo si censura la sentenza impugnata per illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere il giudice d’appello valutato la contumacia dell’INPS in primo grado come elemento utile a comprovare che la domanda di pensione era stata ricevuta nella data risultante dai documenti prodotti dall’odierna ricorrente nel giudizio di primo grado.

7. Questi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente, perchè tutti riferiti alla questione relativa alla configurabiiità o meno di un ritardo dell’INPS nell’erogazione della pensione (e, dunque, di una sua responsabilità ai fini dell’obbligo di pagamento degli accessori) sono anch’essi inammissibili sotto plurimi, concorrenti profili.

8. In particolare, il primo reca censure contro la sentenza di primo grado anzichè contro quella d’appello, oggetto della presente impugnazione (vedi Cass. 15952/2007, n. 13259/2006, n. 5637/2006 e numerose conformi). Gli altri due non ottemperano al principio di autosufficienza che impone al ricorrente per cassazione, il quale intenda denunciare l’omesso esame di censure (asseritamente) rappresentate al giudice d’appello (nella specie, quelle relative alla necessità di valutare il contenuto del Mod. C28 e la contumacia dell’INPS in primo grado, quali clementi dimostrativi del fatto che la domanda di pensione era stata ricevuta dall’Istituto previdenziale in una certa data) di trascrivere nel ricorso la parte dell’atto di appello recante le censure in parola (vedi Cass. Sez. un. n. 15781/2005; Cass. 1732/2006; n. 16752/2006). Al che va aggiunto che si tratta, in tutti i casi, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (vedi, tra tante, Cass. n. 10695 del 1995, n. 9995/1998, n. 11592/03, n. 7375/2010), avendo questa, come riferito in parte narrativa, accertato l’avvenuto pagamento, da parte dell’INPS. di quanto richiesto in giudizio dalla odierna ricorrente per rivalutazione e interessi, tanto da dichiarare cessata tra le parti la materia del contendere.

9. Nel quinto motivo è dedotta (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., quanto alla disposta compensazione parziale delle spese del primo grado di giudizio. La Corte, infatti, doveva considerare l’INPS (sia pure virtualmente) soccombente, avendo l’Istituto eseguito il pagamento dopo la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

10. Questo motivo è infondato.

11. La sentenza impugnata mostra, all’evidenza, che la compensazione è stata disposta ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis), quindi nell’esercizio di un potere che, in presenza dei "giusti motivi" richiesti dalla norma in parola, è legittimamente esercitabile dal giudice, derivando dalla pronuncia di compensazione (totale o parziale) non una condanna al pagamento delle spese in favore della controparte, ma solo la negazione del diritto della parte vittoriosa ad ottenere il rimborso di quelle da essa sostenute.

12. Nella specie i "giusti motivi" sono stati espressamente indicati dalla Corte territoriale ed appaiono del tutto ragionevoli – restando, quindi, insindacabili in questa sede – in quanto consistono in una positiva valutazione del comportamento processuale dell’INPS. per aver spontaneamente provveduto al pagamento delle somme oggetto della domanda giudiziale, sia pure dopo la notifica del ricorso di primo grado ma, comunque, prima della sentenza conclusiva.

13. In conclusione il ricorso va rigettato.

14. La ricorrente non è condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42 (convertito nella L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis (il ricorso di primo grado è stato depositato il 5.12.2002).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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