Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 23-09-2011, n. 34539

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 11 giugno 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 21 maggio 2010 dal G.i.p. dello stesso Tribunale nei confronti di P.F. cl. (OMISSIS), sottoposto a indagini per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., contestato al capo 1) della Imputazione provvisoria, con riguardo alla partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrina Pesce, operante in Rosarno e zone limitrofe, con il ruolo di collegamento e trasmissione delle comunicazioni e degli ordini tra i vertici del sodalizio in stato di detenzione (in particolare Pe.

A. cl. (OMISSIS), detto (OMISSIS), zio dell’indagato) e gli altri associati (primo fra tutti P.G., detto (OMISSIS), padre dell’indagato).

2. Il Tribunale premetteva che P.F., unitamente ad altri coindagati, era stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto, disposto dalla Procura D.D.A. di Reggio Calabria il 26 aprile 2010, eseguito il 28 aprile 2010, e che il G.i.p. del Tribunale di Palmi, che non aveva convalidato il fermo per l’insussistenza del pericolo di fuga, con ordinanza del 1 maggio 2010 aveva disposto la custodia cautelare in carcere, ravvisando nei confronti dell’indagato indizi di colpevolezza con riferimento al delitto contestato, e aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio, trasmettendo gli atti al P.M. presso il Tribunale di Palmi per i provvedimenti di sua competenza ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen..

Detta ordinanza era stata confermata in sede di riesame, e il 21 maggio 2010 il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria aveva disposto, a seguito delle richieste del P.M. distrettuale in sede del 5 e 12 maggio 2010, l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, con valutazioni, quanto alla gravità del quadro indiziario e alle esigenze cautelari, perfettamente coincidenti con quelle già espresse dal G.i.p. del Tribunale di Palmi.

3. Tanto premesso, il Tribunale, dopo aver richiamato i principi di diritto regolanti il riesame della misura cautelare, rilevato lo stretto collegamento e la complementarietà tra il provvedimento restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame, e analizzati elementi caratterizzanti la fattispecie associativa prevista dall’art. 416-bis cod. pen., argomentava la decisione, ritenendo l’infondatezza delle richieste difensive volte a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari, per essere specifici e gravi gli elementi indiziari circa la sussistenza della fattispecie criminosa oggetto di addebito e la sua riferibilità all’indagato, e ricorrenti le esigenze cautelari.

3.1. La vicenda sottoposta ad esame era inquadrata nel contesto, ampiamente descritto, della esistenza e operatività della ed. cosca Pesce e della accertata esistenza di una confederazione di ‘ndrine (essenzialmente le famiglie Piromalli, Molè, Pesce, Bellocco), volta al controllo, con metodo mafioso, del territorio del Porto di Gioia Tauro, e della progressiva ascesa criminale di Pe.An. cl.

(OMISSIS), detto (OMISSIS), che, alla morte dello zio P.G. cl.

(OMISSIS), aveva assunto di fatto le redini della cosca, e che, grazie al prestigio e al potere mafioso goduto fra la popolazione locale, aveva fruito durante il decennale periodo di latitanza, terminato il 7 febbraio 1993, di protezione e favori negli ambienti della malavita e di appoggi economici. Tale potere di direzione della "ndrina Pesce era stato esercitato dal predetto anche durante la sua detenzione carcerarla, continuando a mantenere il ruolo di "capo carismatico del gruppo", per mezzo di direttive Impartite ai familiari sulla gestione dei più importanti affari di interesse della cosca e con interventi volti a dirimere gli accesi contrasti insorti, all’interno del clan, tra i diversi soggetti aspiranti a ricoprire un ruolo verticistico, ovvero il figlio F. cl. (OMISSIS), pure detto (OMISSIS), e i fratelli, G., detto (OMISSIS), e V., detto (OMISSIS).

3.2. Gli elementi indiziari a carico di P.F. cl. (OMISSIS), compendiati essenzialmente nella informativa integrativa dell’11 aprile 2009 del RONO dei Carabinieri di Reggio Calabria, erano costituititi da alcuni colloqui intercettati tra il medesimo e lo zio detenuto P.A., che dava al nipote ordini e disposizioni da portare all’esterno, e in particolare:

– il colloquio del 25 gennaio 2007, intercorso tra P.A., suo figlio F. cl. (OMISSIS), il nipote P.F. cl. (OMISSIS) (odierno indagato) e Gi.Ro..

Nel corso di detto colloquio, P.A. aveva affidato al nipote F. il compito di far pervenire al proprio fratello G., padre dello stesso F., i messaggi inerenti alle modalità di conduzione degli affari della cosca e alla garanzia sui futuri comportamenti rispettosi del figlio F. cl. (OMISSIS).

Tale colloquio rivelava, ad avviso del Tribunale, il ruolo di P. F. cl. (OMISSIS), quale tramite tra lo zio P.A. e il padre P.G.; dimostrava il clima di tensione creatosi all’interno della ‘ndrina Pesce tra il giovane Pe.Fr. cl.

(OMISSIS) e gli zii P.G. e V., emerso nel corso della svolta indagine; confermava il ruolo di capo carismatico della cosca del detenuto P.A., capace di rivendicare a sè la posizione di supremo comando dell’associazione e di evitare l’indebolimento del clan, placando i contrasti interni e inducendo l’esuberante figlio F. a rispettare gli zii; evidenziava l’intraneità al contesto associativo dell’indagato P.F. cl. (OMISSIS), in quanto "portavoce" all’esterno di un importante messaggio per la ricomposizione degli insorti dissidi, affidatogli dal boss, personalmente garante dei futuri comportamenti rispettosi del figlio, e in quanto destinatario di specifiche direttive circa le modalità di conduzione degli affari nell’ottica del potenziamento della già solida struttura economica della "ndrina Pesce; escludeva la fondatezza dei rilievi difensivi volti a ricondurre il contenuto dello stesso dialogo a un colloquio di carattere puramente familiare, a svilire il ruolo di messaggero dell’indagato e a riconoscere tale ruolo a Gi.Ro., pure presente e richiesto da P. A. di fare anche da tramite tra il figlio F. e il fratello G.;

– il colloquio del 12 aprile 2007 tra il detenuto P.A., il figlio Fr. cl. (OMISSIS) e il nipote P.F. cl.

(OMISSIS).

Nel corso di detto colloquio l’indagato aveva dimostrato la perfetta conoscenza delle diverse questioni che costituivano oggetto della preoccupazione dello zio detenuto, e, senza bisogno di particolari spiegazioni, aveva subito afferrato i riferimenti degli altri conversanti alle riferite vicende.

Il comportamento tenuto dal predetto, che aveva continuato a portare avanti la sua funzione di tramite tra lo zio detenuto e l’esterno, attestava "in maniera Inequivocabile" la stretta sudditanza del medesimo alle direttive dello zio, che all’obbediente nipote aveva affidato i messaggi da recapitare al fratello G. in ordine alla gestione dei rapporti conflittuali con il figlio Fr. cl. (OMISSIS), e in ordine a un affare economico, oggetto del colloquio, coinvolgente verosimilmente gli interessi dei fratelli G. e V..

3.3. Da tali colloqui erano desumibili, secondo il Tribunale, elementi tali da far ritenere pienamente Integrato il quadro di gravità indiziaria della partecipazione dell’indagato all’associazione mafiosa, denominata ‘ndrina Pesce, con il ruolo di assicurare lo scambio di informazioni tra lo storico capocosca detenuto P.A. e gli altri esponenti di vertice del sodalizio, tra cui il padre P.G., e con quello di contribuire alla gestione di alcune iniziative economiche di riferimento del clan secondo le direttive dello zio.

4. Le esigenze cautelari trovavano fondamento nella presunzione di pericolosità sociale, posta dall’art. 275 c.p.p., comma 3 nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, superabile con la dimostrazione della stabile rescissione da parte dell’assodato dei legami con l’organizzazione criminosa, nella specie non provata, tenuto anche conto della provata perdurante operatività del sodalizio.

5. Il provvedimento cautelare andava confermato anche nella parte in cui era stato disposto il sequestro preventivo dell’auto Audi A3 TDL, intestata a T.M.C., moglie dell’indagato P. F. cl. (OMISSIS), rispetto al quale erano state avanzate censure incidentali unicamente nella memoria depositata in cancelleria, contestualmente allo svolgimento dell’udienza camerale, dall’avv. Domanico, avuto riguardo alla sicura sussistenza del fumus commissi delicti del reato contestato, alla intraneità dell’indagato alla cosca Pesce costantemente Impegnata nel reimpiego dei capitali illeciti e alla mancanza di contrarie concrete allegazioni in merito alla provenienza del denaro necessario all’acquisto del veicolo.

6. Avverso detta ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, ha proposto due ricorsi per cassazione, per mezzo dei suoi difensori di fiducia, P.F. che ne chiede l’annullamento.

6.1. Con il ricorso presentato per mezzo dell’avv. Cacciola, il ricorrente deduce con unico motivo erronea applicazione e/o violazione di legge con riferimento all’art. 273 cod. proc. pen. e manifesta illogicità, contraddittorietà (e travisamento del fatto) della motivazione.

Il ricorrente rileva che, a fronte della formulata contestazione e della lunga e articolata attività di indagine, due sono in assoluto i contatti da lui tenuti con lo zio P.A., senza che siano risultati suoi contatti con gli altri associati, il suo utilizzo da parte dello zio come nuncius per collegamenti criminali/mafiosi con l’esterno e suoi incontri con il padre G., dopo quelli avuti con lo zio.

Secondo il ricorrente tali limitati contatti, occasionali ed eccezionali, privi di alcuna prova del passaggio ulteriore della destinazione all’esterno dell’ordine ricevuto, e quindi del necessario dinamismo del contributo offerto in concreto, dimostrano la carenza strutturale della gravità indiziaria in ordine all’ipotesi criminosa contestata.

Tale carenza è evidenziata, ad avviso del ricorrente, dal contenuto dei colloqui, atteso che:

– il primo del 25 gennaio 2007 contiene un’ambasceria proposta da P.A., attinente a una questione di natura familiare- personale che riguarda i rapporti tra il figlio Fr. cl. (OMISSIS) e il fratello G., e non questioni di natura criminale- mafiosa; tale ambasceria è stata poi dirottata sul solo Gi.

R.; P.A. ha manifestato il proposito di incontrare il fratello, dando ai presenti consigli ed esortazioni verso attività di natura lecita, senza che il ricorrente abbia mai fatto sentire la sua voce che consentisse di desumerne l’assenso o la condivisione delle cose o delle questioni ascoltate;

– il secondo del 12 aprile 2007 contiene il riferimento a una segnalazione fatta da P.A. al ricorrente di altra questione di natura personale e familiare intervenuta con il fratello V., a fronte della quale il fratello G. doveva reagire in un certo modo, e uno scorcio di dialogo "di non facile comprensione". 6.2. Con il secondo ricorso, presentato per mezzo dell’avv. Francesco Saverio Fortuna, il ricorrente articola quattro motivi.

6.2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed c), formale inosservanza dei canoni normativi di valutazione della prova cautelare di cui agli artt. 192 e 273 cod. proc. pen. e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 416-bis cod. pen..

Si assume che il Tribunale ha posto a sostegno della misura cautelare un singolo indizio cautelare, consistente nella mera presenza passiva, quasi di mero ascolto, del ricorrente a due colloqui in carcere con P.A. cl. (OMISSIS) e altri familiari, ritenendolo sintomatico della partecipazione dello stesso a consorteria mafiosa, e che, viceversa, dalla visione e dall’ascolto del "brogliaccio" emerge in modo certo che P.A. si è rivolto durante i colloqui agli altri interlocutori più qualificati, escludendosi In tal modo un ruolo dinamico e funzionale dell’incensurato ricorrente.

Si aggiunge che la gravità del quadro indiziario in ordine al delitto associativo non poteva basarsi solo sulle due isolate captazioni ambientali, in mancanza di ulteriori gravi e convergenti elementi (qualifica di uomo d’onore, precedenti penali e giudiziari, assoggettamento a misure di prevenzione, pregresso coinvolgimento in procedimenti penali), e in mancanza della prova del contributo effettivo e attuale prestato dal ricorrente, con partecipazione psicologica, all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione, attraverso un ruolo continuativo e non occasionale come invece è emerso, e della prova della effettiva trasmissione degli ordini all’esterno e della commissione di reati fine.

6.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed c), erronea applicazione della legge processuale e illogica valutazione della prova cautelare in relazione agli artt. 192, 273 e 266 e segg. cod. proc. pen..

Si assume che il Tribunale ha interpretato il significato delle due captazioni ambientali del 25 gennaio 2007 e del 12 aprile 2007, criptiche anche dopo il loro video-ascolto, in maniera del tutto avulsa dal loro obiettivo significato dando un risultato contrario agli atti del procedimento, ai criteri della logica e alle massime di esperienza, atteso che:

– nella prima conversazione (dalla durata di un’ora, cinquantasei minuti e trentotto secondi) P.A. si è rivolto tre volte a Gi.Ro., dicendogli di fare da tramite tra il figlio F. e il fratello, e il ricorrente è stato destinatario di esortazioni e auspici da parte dello zio a comportarsi bene e a occuparsi solo di attività lecite;

– nella seconda conversazione il ricorrente è intervenuto con pochissime battute e manca qualsiasi indizio sull’oggetto della conversazione, pervenendosi da parte del Tribunale a conclusioni non giustificabili e non spiegate e senza eliminazione dei dubbi derivanti dalla incomprensibilità del testo, in mancanza di qualsiasi riscontro.

6.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed c), erronea applicazione della legge penale e motivazione illogica in relazione all’art. 274 c.p.p. e art. 275 c.p.p., comma 3.

Si osserva che l’art. 275 c.p.p., comma 3, pone una presunzione relativa di pericolosità sociale e una assoluta di adeguatezza e proporzionalità della misura, e che il Tribunale ha omesso di motivare sulle ragioni per le quali ha ritenuto irrilevanti le circostanze dedotte dalla difesa in punto di esclusione delle esigenze presunte (risalenza delle condotte, incensuratezza, mancanza di problemi con la giustizia), senza che sia necessaria la prova positiva della rescissione del vincolo associativo.

6.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità In relazione all’art. 111 Cost., art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 292, 309, 321 e 324 cod. proc. pen., e motivazione contraria agli atti del procedimento, rilevando che il Tribunale ha erroneamente affermato che il riesame fosse limitato alla sola misura personale quando invece aveva riguardato anche il disposto sequestro preventivo dell’autovettura Audi A3 TDI, intestata alla moglie di esso ricorrente.

Con lo stesso quarto motivo si censura l’ordinanza, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), per erronea applicazione della legge processuale e per motivazione carente, in relazione all’art. 321 cod. proc. pen., art. 240 c.p.p., comma 2, e art. 416-bis cod. pen., sul rilievo che il Tribunale ha motivato per relationem all’ordinanza cautelare, che nulla diceva in merito al vincolo reale, e ha omesso di motivare sulle doglianze difensive attinenti alla illegittimità del disposto sequestro e sviluppate con la memoria (quanto alla mancanza del nesso di pertinenzialità tra la res e l’indagine, alla mancanza di motivazione del periculum, alla sproporzione tra redditi dell’indagato e bene sequestrato e alla mancata giustificazione della lecita provenienza dello stesso, essendo stato il bene acquistato con contratto di finanziamento con pagamento rateizzato).

7. Nell’interesse del ricorrente sono state depositate brevi note di udienza datate 18 marzo 2011, con le quali, nel richiamarsi al secondo motivo del secondo ricorso, si propone un motivo unico aggiunto, deducendosi, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed c), inosservanza della legge processuale, e in particolare degli artt. 192, 266 e segg. e 273 cod. proc. pen. e art. 416-bis cod. pen., e carenza della motivazione, e, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed c), erronea applicazione della legge processuale e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 274 c.p.p., e art. 275 c.p.p., comma 3, e art. 309 cod. proc. pen..

In particolare, si contestano la gravità del quadro indiziario e la sussistenza delle esigenze cautelari, con richiamo, da un lato, alle risultanze di una consulenza tecnica di parte del 13 novembre 2010, avente ad oggetto la trascrizione delle conversazioni video- ambientali del 25 gennaio 2007 e del 14 aprile 2007 e che, depositata in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, conferma "la posizione meramente passiva di P.F. cl. (OMISSIS) alle indicate conversazioni ambientali" e l’attribuzione da parte del Tribunale del valore di massima di esperienza a mere congetture, non verificate empiricamente, e con richiamo, dall’altro lato, all’Intervenuto decesso del padre del ricorrente nel mese di agosto 2010, incidente sul quadro dell’attualità della pericolosità in rapporto alla condotta contestata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è Infondato.

2. Quanto all’unico motivo sviluppato con il primo ricorso presentato per mezzo dell’avv. Cacciola e ai due primi motivi del secondo ricorso, presentato per mezzo dell’avv. Fortuna, richiamati con le note di udienza e attinenti al quadro indiziarlo di colpevolezza, si osserva che le vantazioni da compiersi dal giudice al fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di "elevata probabilità di colpevolezza", tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poichè di tipo "statico" e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal Pubblico Ministero, e non su prove, ma su Indizi (Corte Cost, sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).

2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, non è richiesto il requisito della precisione e della concordanza, ma quello della gravità degli indizi di colpevolezza, per tali intendendosi tutti quegli elementi a carico ancorati a fatti certi, di natura logica o rappresentativa, che non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia sono tali da lasciar desumere con elevata valenza probabilistica l’attribuzione del reato al medesimo (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118;

Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv.

212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Pascola, Rv.

217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511), e la loro valutazione, a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, deve procedere applicando, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che delineano, pertanto, i confini del libero convincimento del giudice cautelare (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).

2.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che a esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

Il detto limite del sindacato di legittimità in relazione alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 dei 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

3. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti e l’indicazione del quadro Indiziarlo a carico dell’indagato, operate dal Tribunale, sono conformi ai principi di diritto suddetti, congrui e coerenti con le acquisizioni processuali richiamate nella decisione, e conformi ai canoni della logica e della non contraddizione.

3.1. Il Tribunale, infatti, esattamente interpretando le norme applicate alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, e dando conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, ha ritenuto sussistente a carico del ricorrente una solida piattaforma indiziaria, con riferimento alla contestata condotta di partecipazione all’associazione criminosa di stampo mafioso denominata ‘ndrina Pesce, e ha ancorato il proprio giudizio a elementi specifici risultanti dagli atti, dalla cui valutatone globale ha tratto un giudizio in termini di qualificata probabilità circa l’attribuzione del reato contestato al predetto.

Sono stati, infatti, valorizzati due colloqui intercettati, Intercorsi tra il ricorrente e lo zio detenuto P.A., e coerentemente inquadrati nel contesto, ampiamente descritto, della esistenza e operatività della ‘ndrina Pesce, dell’interscambio tra i componenti della stessa In stato di detenzione e l’esterno, dell’acceso contrasto apertosi per la copertura di ruolo verticistico in seno allo stesso clan tra Pe.Fr. cl. (OMISSIS) e P. G. cl. (OMISSIS), rispettivamente figlio e fratello di P. A., storico esponente di vertice detenuto, del persistente esercizio del potere di direzione e gestione esercitato da quest’ultimo a mezzo di direttive Impartite ai familiari, e della sua persistente posizione di garante degli equilibri interni alla stessa ‘ndrina.

Il Tribunale, procedendo a logica lettura e plausibile interpretazione del contenuto dei colloqui, ha rilevato che dagli stessi si traggono elementi univoci della intraneità del ricorrente nella ‘ndrina di riferimento, evidenziando, con richiami alla loro trascrizione, riportata nell’ordinanza, che:

– nel colloquio del 25 gennaio 2007 P.A., in presenza del figlio Fr. cl. (OMISSIS) e di Gi.Ro., non solo ha affidato al ricorrente, figlio del fratello G., il compito di far pervenire al padre suoi messaggi in materia di conduzione degli affari della cosca, ma anche di porsi come suo portavoce per confermarne il ruolo di garante nella ricomposizione dei dissidi insorti tra i componenti della famiglia, e in particolare dei rapporti conflittuali tra il fratello G. e il figlio F., in vista del mantenimento inalterato del potere mafioso;

– nel colloquio del 12 aprile 2007 il ricorrente non solo ha dimostrato di essere perfettamente a conoscenza delle diverse vicende, oggetto della conversazione con lo zio P.A. e il cugino P.F., senza bisogno di particolari spiegazioni, ma ha dimostrato di avere margini di operatività con riferimento alle questioni di interesse della cosca, e di essere fedele tramite tra lo zio detenuto e l’esterno, rassicurando lo stesso in merito alla trasmissione da parte sua delle direttive ai destinatari, senza bisogno che il medesimo scrivesse dal carcere.

Tale analisi non è stata disgiunta dalla valutatone delle deduzioni difensive, delle quali è stata esclusa la fondatezza, adeguatamente evidenziandosi, in rapporto al contenuto dei colloqui e delle direttive impartite da P.A., alle preoccupazioni dallo stesso espresse e alle finalità avute di mira, che i contenuti delle conversazioni non erano riferibili a normali affari di famiglia, il suggerimento rivolto da P.A. anche al ricorrente di comportarsi onestamente senza "toccare il codice penale" esprimeva il progetto di intraprendere attività solo In apparenza "pulite" per potenziare la struttura economica della ‘ndrina, evitando le attenzioni delle Forze dell’ordine, il compito di recapitare al fratello G. l’importante messaggio per la ricomposizione dei dissidi interni e per la conduzione degli affari della cosca era stato affidato da P.A. al ricorrente, e il ruolo rivestito da quest’ultimo non era mai apparso meramente passivo nel corso dei colloqui con riferimento alle questioni di interesse della cosca.

3.2. A fronte di detto articolato e logico giudizio espresso dal Tribunale, il ricorrente ha opposto censure, che, pur prospettate come deduzioni dimostrative della violazione delle regole di valutazione del quadro indiziario e della illegittimità e inadeguatezza della motivazione, sono censure di merito volte a prospettare – riconducendo l’ambasceria proposta da P.A. al ricorrente nel primo colloquio e la sua segnalazione fatta allo stesso nel secondo colloquio a questioni di natura familiare- personale e le sue direttive a consigli e auspici verso attività di natura lecita, e considerando il secondo colloquio di non facile comprensione, ed entrambi di significato criptico – una lettura alternativa, parziale e incerta della vicenda processuale e dei dati fattuali, logicamente e ampiamente analizzati anche alla luce della compiuta analisi delle argomentazioni difensive; una diversa interpretazione delle risultanze delle indagini e della specifica consistenza dei dati indizianti attraverso la minimizzazione a mera presenza passiva del ruolo avuto dal ricorrente, l’esclusione del necessario dinamismo del contributo dato e la deduzione del dirottamento dell’ambasceria sul solo Gi.Ro.; una diversa valutazione della loro concludenza, attraverso la prospettazione della inidoneità delle captazioni ambientali a integrare la gravità del quadro indiziario in ordine al delitto associativo.

3.3. Nè l’alternativa lettura dei dati indiziari acquisiti, dei quali il Tribunale ha dato ampio conto, concordando con la coerente valutazione svolta nel provvedimento impositivo, il cui contenuto ha recepito e confermato, e sviluppando, rispetto allo stesso, le valutazioni critiche alla luce delle obiezioni e deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi del riesame, può essere legittimamente introdotta, come proposto dal ricorrente, attraverso la tardiva produzione di una consulenza di parte, a mezzo note di udienza, e attraverso la prospettazione di una possibile diversa analisi delle emergenze del colloquio, in contrasto con la preclusione, in questa sede, di un dissenso di merito di fronte ad una motivazione logicamente e congruamente articolata.

4. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo del secondo ricorso che attiene alla Inesistenza delle esigenze cautelari, riconosciute dal Tribunale, per il ritenuto superamento della presunzione di legge al riguardo.

La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, posta dall’art. 275 c.p.p., comma 3 con riguardo al titolo del delitto contestato, di cui ricorrono i gravi indizi di colpevolezza, postula, infatti, l’acquisizione di specifici elementi perchè possa ritenersi superata, che, nella specie, sono stati ritenuti insussistenti dal Tribunale, tali non potendo ritenersi il periodo di carcerazione sofferto, l’incensuratezza, l’assenza di carichi pendenti, il non essersi dato alla latitanza, e richiedendosi invece specifiche acquisizioni probatorie con riguardo a fatti concreti che siano probativi della rescissione del vincolo associativo.

Il ricorrente, opponendo la non univocità del principio di diritto richiamato dal Tribunale, oppone gli stessi elementi che II Tribunale con logiche e coerenti argomentazioni e valutazioni ha ritenuto inidonei allo scopo. Nè l’incidenza sull’attualità delle esigenze cautelari, riferita, con le note di udienza, all’intervenuto decesso del padre del ricorrente nel mese di agosto 2010, è valutabile in questa sede attenendo a circostanza fattuale, peraltro successiva al provvedimento custodiate, estranea al giudizio di legittimità. 5. Il quarto motivo, che attiene alla misura cautelare reale del sequestro preventivo dell’autovettura Audi A3 TDI, intestata alla moglie del ricorrente, è inammissibile.

La circostanza, rilevata dal Tribunale, che, rispetto al sequestro sono state avanzate censure incidentali unicamente nella memoria depositata in cancelleria, contestualmente allo svolgimento dell’udienza camerale, dall’avv. Domanico, è coerente con le emergenze degli atti attinenti al riesame, poichè il ricorso per riesame presentato dall’avv. Cacciola ha riguardato solo l’ordinanza di custodia cautelare, alla pari della memoria depositata dallo stesso difensore all’udienza del 10 giugno 2010, mentre la memoria dell’avv. Domanico, indicata come contenente il riferimento al sequestro, ha limitato tale riferimento nelle sole conclusioni, chiedendo "l’annullamento dell’ordinanza cautelare e del decreto di sequestro preventivo", senza l’introduzione di alcuna censura e/o argomentazione pertinente alla misura cautelare reale.

6. Il ricorso, infondato nelle sue deduzioni, deve essere pertanto rigettato. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento del Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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