Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-02-2012, n. 1632 Sanzioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’arch. B.E. adiva il Tribunale di Forlì nei confronti del Comune di San Mauro Pascoli impugnando due sanzioni disciplinari e il licenziamento disciplinare con preavviso comunicatogli con nota del 4.6.2001 da tale ente.

Il Tribunale dichiarava la nullità delle due sanzioni disciplinari per la mancata affissione del codice disciplinare e rigettava l’impugnativa del licenziamento.

La Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto dall’arch.

B.E..

La Corte, dopo avere rilevato che l’impugnazione non riguardava la dichiarazione di nullità delle due sanzioni disciplinari, ricordava che, quanto al licenziamento, la condotta contestata al B. era quella di avere inviato la memoria difensiva in data 4.12.2000, da lui presentata a giustificazione di quanto oggetto di una precedente contestazione disciplinare – e cioè di avere inviato una denuncia alla Procura della Repubblica, alla Prefettura e alla competente Soprintendenza ai beni architettonici, circa pretese illegittimità commesse dall’amministrazione comunale senza la formalizzazione del passaggio al protocollo comunale -, a soggetti estranei all’amministrazione comunale ed al procedimento disciplinare, tenendo un comportamento contrario all’obbligo di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. – da coordinarsi con i principi generali di correttezza e buona fece di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. -, in quanto, stante il contenuto della memoria stessa, diretto a gettare discredito su detta amministrazione, come già rilevato dal giudice di primo grado con motivazione condivisibile e convalidata dalla documentazione prodotta.

La Corte in particolare, assodato che tale comportamento era idoneo a sorreggere la giustificazione del licenziamento, escludeva la rilevanza del riferimento a specifiche ipotesi della contrattazione collettiva. Faceva, infatti, riferimento al principio secondo cui in presenza di comportamenti illeciti del prestatore lavoro non inerenti a prescrizioni strettamente collegate all’organizzazione del lavoro, ma di per sè contrari agli interessi dell’impresa o degli altri lavoratori, non è necessaria la specifica inclusione del codice disciplinare, poichè il potere sanzionatorio deriva dirittamente dalle norme di legge sul licenziamento per giusta causa o giustificato motivo. Ricordava anche che la nullità o inidoneità di alcune contestazioni non esclude la possibile legittimità del provvedimento sanzionatorio sulla base delle altre contestazioni.

In relazione poi alla tesi della rilevanza della intervenuta dichiarazione di nullità delle due precedenti sanzioni conservative, osservava che solo in via subordinata, e con motivazione aggiuntiva, nella lettera di licenziamento si era fatto riferimento all’adozione di quest’ultimo in riferimento all’ipotesi contrattuale di recidiva in mancanze precedentemente specificate e di per sè non sanzionabili con il licenziamento.

Con riferimento specifico alla sussistenza dei presupposti del licenziamento, la Corte, di nuovo aderendo ai rilievi del giudice di primo grado, osservava che il lavoratore, inviando la memoria del 4.12.2000 ad estranei all’amministrazione comunale, aveva violato il criterio della pertinenza della notizia, ponendo in essere un atto esorbitante dalle finalità del procedimento disciplinare, e quello della correttezza delle espressioni usate, adombrando anche presunti illeciti dell’amministrazione idonei a screditarla e della cui veridicità, anche solo putativa, non vi era prova. Inoltre la posizione occupata dal B. di capo ufficio nell’ambito del settore tecnico, cui specificamente inerivano le notizie riportate nella memoria difensiva in questione, attribuiva particolare rilievo anche dal punto di vista soggettivo al comportamento contestato.

L’arch. B. ricorre per cassazione con tre motivi. Il Comune resiste con controricorso. Memoria del ricorrente.

Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia violazione dei principi e delle norme in materia di gradualità e proporzionalità, buona fede, correttezza, non discriminazione e ragionevolezza nell’applicazione delle sanzioni disciplinari, nonchè dell’art. 25, comma 1, lett. e) e g) del CCNL 6.7.1995 per il comparto regioni e autonomie locali.

Ricordato che la richiamata lett. g) del testo contrattuale, a cui era stato fatto riferimento nella lettera di licenziamento, autorizza il licenziamento in caso di comportamenti tali da non consentire la prosecuzione del rapporto se valutati secondo i criteri di cui all’art. 25, comma 1, menzionante, tra l’altro, la sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti con particolare riguardo al comportamento del lavoratore e ai suoi precedenti disciplinari nel biennio e al comportamento verso gli utenti, si lamenta l’omessa considerazione da parte del giudice di appello della avvenuta dichiarazione di nullità delle due precedenti sanzioni disciplinari e quindi della mancanza di quella recidiva costituente il presupposto dell’espresso giudizio di notevole gravità della violazione disciplinare.

Il secondo motivo denuncia omessa valutazione di un fatto decisivo e in genere vizi di motivazione. La doglianza di cui al precedente motivo è riproposta sotto il profilo del vizio di motivazione, osservandosi che la sussistenza della recidiva era stata valutata dall’amministrazione anche nell’ambito del parametro di giudizio utilizzato in via principale.

Questi due motivi, che vengono esaminati congiuntamente stante la loro connessione, non sono fondati.

Deve rilevarsi, innanzitutto, che ai fini della valutazione in giudizio circa la sussistenza di un illecito disciplinare integrante gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo assumono rilievo i fatti contestati posti a base del provvedimento risolutivo e non le qualificazioni eventualmente operate dal datore di lavoro, sicchè, in particolare, l’erronea indicazione delle disposizioni legali o contrattuali violate non comporta nè l’invalidità della contestazione nè che il giudice debba limitare la sua valutazione all’accertamento che il fatto violi le specifiche norme di cui si alleghi la violazione, competendo invece al giudice la qualificazione giuridica del fatto contestato (Cass. n. 4175/1997 e analogamente Cass. n. 13905/2000, e 758/2006). Deve anche rilevarsi che l’insussistenza di alcuni dei fatti contestati non preclude al giudice di ritenere ugualmente giustificato il licenziamento, in ragione della non decisività del giudizio del datore di lavoro circa la gravità dei fatti (Cass. n. 17514/2010).

Pertanto non è ravvisabile una violazione delle norme di legge, e neanche di quelle del contratto collettivo sulle fattispecie giustificanti l’adozione di un licenziamento disciplinare (e specificamente della disposizione indicata nel primo motivo, costituente una clausola venerale che lascia ampi spazi di valutazione riguardo alla gravità del fatto) per il fatto in se stesso che il giudice di merito, nell’esercizio dei suoi poteri valutativi, abbia ritenuto sussistente una mancanza giustificante il licenziamento pur in assenza di quella recidiva menzionata dal datore di lavoro nella lettera di licenziamento (secondo il testo della stessa trascritto nel ricorso), unitamente ad altre circostanze, quale elemento idoneo a qualificare di gravità l’illecito.

Il terzo motivo lamenta sotto il profilo del vizio di motivazione che nella sentenza manca un’effettiva motivazione sia sull’an che sull’intensità della violazione disciplinare, con particolare riferimento alla asserita divulgazione della memoria difensiva, contestata dall’attuale ricorrente, e al conseguente pregiudizio all’immagine che sarebbe derivato per l’amministrazione.

Questo motivo è fondato, nei termini che seguono.

Deve rilevarsi innanzitutto che la sentenza impugnata ha ricordato, nell’ambito dello svolgimento del processo (e specificamente mediante richiamo della sentenza di primo grado) che al lavoratore era stato contestato di avere inviato la memoria il cui contenuto e la cui diffusione aveva formato oggetto della contestazione disciplinare anche al prefetto, al procuratore della repubblica, alla corte dei conti, ai consiglieri comunali, ai rappresentanti sindacali territoriali interni ed esterni e ai dipendenti comunali, e ha poi riferito che l’appellante ha sostenuto che la medesima memoria in realtà era stata da lui inviata solo a due consiglieri comunali e ai sindacalisti. Sarebbe quindi stata necessaria una motivazione su tale punto di fatto e invece la sentenza non contiene alcuna specifica motivazione al riguardo, limitandosi alla generica affermazione, peraltro equivoca nella sua indeterminatezza, dell’invio della memoria stessa ad estranei all’amministrazione.

Ne consegue, già per questa ragione, la palese inadeguatezza delle stringate affermazioni circa l’idoneità dei fatti addebitati a giustificare il licenziamento disciplinare, che non può prescindere da un accertamento della effettiva natura e portata della diffusione della memoria in questione.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto in accoglimento del terzo motivo, rigettati i primi due, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvio della causa ad altro giudice che dovrà procedere a nuova valutazione in ordine alla sussistenza di un giustificato motivo di licenziamento disciplinare, sulla base anche di un accertamento circa gli effettivi termini della diffusione della memoria in questione.

Allo stesso giudice si demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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