Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 23-09-2011, n. 34536 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 28 novembre 2008 il G.u.p. del Tribunale di Milano, all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato D. J., X.F. e M.Z. colpevoli dei reati di omicidio in concorso pluriaggravato in danno di V.H. e di illegale detenzione di pistola marca Beretta cal. 9 con relativo munizionamento, e il primo anche dei reati di occultamento di cadavere e di illecita detenzione di venti chili di eroina, e ha condannato D.J., che ha assolto dal reato di occultamento di cadavere, alla pena finale di anni venti di reclusione ed euro quarantamila di multa, e X.F. e M.Z., escluse le circostanze aggravanti contestate, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 116 c.p., comma 2 e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni dodici di reclusione ciascuno.

2. Con sentenza del 2 febbraio 2010 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, appellata dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano e dagli imputati X.F. e M.Z., ha escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 116 c.p., comma 2 e ha rideterminato la pena nei confronti dei predetti appellanti e appellati in anni quindici e mesi quattro di reclusione ciascuno, confermando nel resto la sentenza impugnata.

3. La vicenda processuale, che riguarda le suindicate imputazioni, è ampiamente riportata nelle decisioni di merito.

L’omicidio di V.H. è stato commesso in (OMISSIS).

Secondo l’imputazione contestata, D.J., X.F. e M.Z., agendo in concorso tra loro e al fine di agevolare l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti operante tra l’Italia e l’Albania, avevano concordato di attirare con un pretesto, presso l’appartamento occupato dal D., V.H., ritenuto responsabile di avere sottratto alla indicata associazione circa venti chili di eroina, per acquisire informazioni sul luogo dove la droga trafugata era stata occultata. La vittima, accompagnata sul posto da M.Z., era stata uccisa da D. J. e X.F..

3.1. Alla predetta contestazione si era giunti all’esito di attività investigativa iniziata quando, all’interno dell’abitazione che conduceva in locazione, sublocata al connazionale D.J., la cittadina (OMISSIS) K.T. aveva trovato, chiuso in un sacco di plastica nera, il cadavere di un uomo.

Nel corso della perquisizione domiciliare, effettuata a seguito del detto rinvenimento, era stata trovata una pistola semiautomatica Beretta cal. 9 corto.

D.J., rintracciato dalla Polizia Giudiziaria attraverso un appuntamento combinato con la collaborazione della K., era stato arrestato in flagranza del reato di detenzione illegale dell’arma e, in sede d’interrogatorio reso il 10 ottobre 2007 dinanzi al Pubblico Ministero, aveva ammesso di conoscere la vittima, che indicava nel connazionale D.J., da circa sei mesi, di avere sparato contro lo stesso il precedente 1 ottobre 2009, a seguito di una colluttazione nata per motivi economici, utilizzando l’arma persa dalla vittima durante la stessa colluttazione, e di avere nascosto nell’appartamento il cadavere, avvolto in coperte e sacchetti di plastica, in attesa di disfarsene anche sezionandolo per mezzo di sega, pure rinvenuta in sede di perquisizione.

In sede di udienza di convalida del fermo, nel corso dell’interrogatorio dinanzi al G.i.p., il D. aveva modificato le precedenti dichiarazioni solo con riguardo alla pistola utilizzata per uccidere il V., precisando che era sua e non della vittima.

3.2. Dalla svolta attività investigativa, condotta in particolare attraverso intenso servizio di ascolto, ampiamente riportato in sentenza, era risultato che l’omicidio andava ricondotto alla sottrazione, avvenuta alla fine del mese di (OMISSIS), di circa venti chili di eroina, affidati in custodia al D. da una organizzazione criminale albanese, con la quale erano in collegamento, oltre allo stesso D., fiduciario della compagine criminale, anche X.F. e M.Z., e all’attribuzione di tale sottrazione da parte del D. al connazionale V.H., poi compiutamente identificato in T. A..

Dalla ricostruzione delle attività strettamente preliminari all’omicidio, compiuta attraverso le conversazioni telefoniche intercettate il 30 settembre 2007 e lo studio della localizzazione dei telefoni cellulari, era risultata l’esistenza di numerosi contatti tra V.H. e tali T. e Z., di seguito rispettivamente identificati in X.F. e M.Z., ed era emerso che il gruppo, composto da uno dei capi dell’organizzazione, Da., giunto a (OMISSIS) dall’Albania, da D.J. e dai predetti T. e Z., aveva elaborato un piano che prevedeva l’accompagnamento di V.H. all’interno dell’appartamento del D., diretto a verificare in via definitiva la destinazione dello stupefacente asportato, e demandava tale verifica soprattutto al D., iniziale custode della sostanza, senza che fosse maturato un orientamento chiaro circa il contenuto della rappresaglia.

Tale piano, organizzato come "un vero e proprio processo" nei confronti dell’individuato vero responsabile dell’ammanco, in vista della resa dei conti, prevedeva che M.Z. doveva accompagnare, senza destare sospetti, V.H. nell’appartamento del D.. Tale accompagnamento era, poi, avvenuto e nel detto appartamento, come programmato, c’erano ad attenderli il D. e anche X.F., nascosto in una piccola stanza, mentre era giunto, quando erano tutti presenti, Da..

In detto appartamento, quando tutti l’avevano lasciato dopo essersi trattenuti dieci – quindici minuti, a eccezione del D. e di V.H., quest’ultimo era stato ucciso con un colpo di pistola, vista sul tavolo dell’appartamento da M.Z. e da X. F., prima di lasciare l’appartamento.

4. La Corte d’appello, che ha ripercorso lo sviluppo delle indagini, la ricostruzione della vicenda operata dal primo Giudice e le censure mosse contro la sentenza dal Pubblico Ministero con il ricorso per cassazione, convertito in appello, e dagli imputati X. e M., confermava la sentenza di primo grado nei confronti di D.J., ritenendo insussistente la premeditazione, già esclusa in primo grado, e oggetto della doglianza del Pubblico Ministero, e riformava parzialmente la sentenza nei riguardi degli imputati X. e M., escludendo, in accoglimento dell’impugnazione sul punto del Pubblico Ministero, la sussistenza del cd. concorso anomalo di cui all’art. 116 cod. pen., essendo ravvisabile per entrambi la consapevole rappresentazione e accettazione del rischio che la progettata azione potesse sfociare nell’omicidio della vittima, la cui eventualità, non ponendosi la morte come evento atipico, eccezionale e imprevedibile, potevano rappresentarsi facendo uso della normale diligenza.

4.1. In particolare, la Corte riteneva che M.Z. aveva accettato senza riserve di fare da intermediario, perchè voleva mostrare la sua buona fede in ordine alla sparizione della droga, e nell’accordo doveva sfruttare la fiducia che nutriva verso di lui la vittima per portarla, senza sospetti, a casa del D.; aveva potuto notare la presenza della pistola e del nastro da imballaggio sul tavolo all’interno dell’appartamento; si era allontanato dal detto appartamento, lasciando all’interno il D. al suo destino con V.H., e recandosi al bar con Da. e X.F., dove erano raggiunti dopo circa venti minuti dal D. che aveva detto sconvolto di avere ucciso V.H..

Tale condotta dell’imputato che aveva accompagnato la vittima all’incontro, aveva visto la pistola, aveva accettato il rischio e aveva previsto l’evento integrava, ad avviso della Corte, il concorso ordinario di cui all’art. 110 cod. pen..

Integrava tale concorso, secondo la Corte, anche la condotta di X.F., che si era incaricato dei contatti tra i capi dell’organizzazione, e in particolare il Da., proprietario del lotto di droga sottratto di ingente valore e dal quale era il primo e diretto referente, e V.H.; era pienamente partecipe del piano che prevedeva l’accompagnamento del V. presso l’abitazione del D.; era presente sul luogo dell’omicidio il giorno del fatto;

aveva visto, come dallo stesso ammesso, la pistola sul tavolo; aveva accettato il rischio del suo utilizzo e aveva previsto l’evento, sia pure nella forma del dolo eventuale.

5. Avverso la predetta sentenza, divenuta irrevocabile il 21 maggio 2010 nei confronti dell’imputato D.J., hanno proposto ricorso per cassazione M.Z. e X.F..

5.1. M.Z. ricorre per mezzo del suo difensore, avv. Mauro Mocchi, e chiede l’annullamento della sentenza sulla base di quattro motivi.

5.1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) sul rilievo che la Corte di merito ha eluso le richieste difensive di assoluzione, avanzate con i motivi d’appello, con riguardo all’ipotesi di concorso anomalo e di detenzione in concorso dell’arma.

Quanto alla prima ipotesi si deduce che – a fronte delle doglianze svolte tra le pagine due e nove dei motivi di appello – nella sentenza impugnata non vi è alcuna motivazione in merito all’assenza di elementi, sia probatori sia indiziari, dai quali desumere che la vittima era stata condotta dal ricorrente con l’inganno nell’abitazione, e in merito a tutte le circostanze attinenti al tempus e al locus commissi delicti, e quindi in ordine alle svolte argomentazioni difensive che escludevano la sussistenza in capo al ricorrente di qualsiasi condotta qualificabile ai sensi dell’art. 116 cod. pen..

Quanto alla seconda ipotesi si assume che la sentenza, contraddicendosi, ha ritenuto che l’omicidio è stato determinato da dolo d’impeto e che la codetenzione e l’esposizione della pistola erano finalizzate alla commissione del "prevedibile e previsto" reato di omicidio.

5.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere ritenuto sussistente a carico del ricorrente l’ipotesi concorsuale di cui all’art. 110 cod. pen. nella commissione del delitto di cui all’art. 575 cod. pen..

Secondo il ricorrente, la sentenza d’appello che si è omologata a quella di primo grado nel condividere l’esclusione della premeditazione, è incorsa in contraddizione quando, condivisa tale esclusione, ha ritenuto la sua responsabilità per l’omicidio a titolo di concorso ordinario, escludendo l’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen., e, nell’affermare che il fatto omicidiario è stato conseguenza di una condotta volitiva, nella forma del ed. dolo eventuale, di tutti gli imputati, ha ritenuto che la morte della vittima è stata determinata dalla condotta, nella forma del cd. dolo d’impeto, del solo esecutore materiale.

5.1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento all’art. 190 c.p.p., e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), per avere la Corte omesso di indicare le ragioni che escludevano la fondatezza di altra ricostruzione della vicenda, pretermettendo qualsiasi valutazione circa gli elementi addotti dalla difesa e non ponendo la presenza della pistola e del nastro isolante sul tavolo, dichiarata da esso ricorrente e dal coimputato X., in correlazione con le complessive emergenze risultanti dalle dichiarazioni rese e dall’intero incartamento processuale, in contrasto con la novella legislativa in tema di giusto processo.

5.1.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 62-bis cod. pen..

Secondo la difesa, vi è omessa motivazione nella sentenza in merito al diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, non essendosi valorizzati la condotta processuale del ricorrente, l’interrogatorio dallo stesso reso in una "fase del tutto neutra" e al quale il primo Giudice ha riconosciuto valenza, e il memoriale del medesimo, versato in atti in altra "fase del tutto neutra" del processo.

5.2. X.F. ricorre per mezzo del suo difensore, avv. Monica Cappellini, e chiede l’annullamento della sentenza sulla base di unico motivo con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 110 cod. pen. per essere stata ritenuta inquadrabile la condotta tenuta da esso ricorrente nell’ambito del concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen., in assenza di qualsiasi contributo materiale o morale, e denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul medesimo punto.

Secondo il ricorrente, la Corte, che ha escluso la premeditazione e il concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., ha contraddittoriamente ritenuto, utilizzando le stesse argomentazioni, sussistente il concorso ex art. 110 cod. pen. per la sola presenza, alla vista di tutti, di una pistola e di nastro adesivo, su un tavolo, in casa abitata da persona coinvolta in traffici di droga, senza che alcuno si fosse spaventato di quella presenza.

La Corte, condividendo l’inquadramento dell’omicidio come azione del solo D., sorretta da dolo d’impeto, dovuta alla sproporzione delle forze in campo, e ritenendo che era scopo di tutti procedere a un esame – interrogatorio di V.H., anche ponendo in essere una minaccia, per avere notizie sul luogo di occultamento della sostanza stupefacente, dopo il furto, e non di ucciderlo, non poteva ritenere che il ruolo del ricorrente era quello di concorrere a titolo di dolo eventuale in un omicidio, e che lo stesso, uscito dall’abitazione, poteva ragionevolmente pensare alla morte dell’unica persona che poteva rivelare il luogo in cui la sostanza stupefacente era stata nascosta.

La circostanza che l’uccisione del V. non era programmata o preordinata, nè prevedibile, non poteva illogicamente essere ritenuta naturale esito della vicenda ed era desumibile dalle intercettazioni e dall’esame dei tre imputati, evincendosi che, quando il D. era giunto sconvolto al bar e aveva parlato con Da., nessuno aveva compreso che cosa fosse accaduto e il D. era stato lasciato solo a gestire la situazione, non prevista da alcuno, con la presenza del cadavere in casa, nonchè dalla ubicazione dell’appartamento, condotto in sublocazione, in edificio condominiale nel centro di (OMISSIS); dalla circostanza che anche gli operanti in ascolto non erano intervenuti per sventare l’omicidio, non ipotizzabile nella loro mente, come non lo era da parte del ricorrente; dal comportamento tenuto dopo il fatto da quest’ultimo, che era tornato a Rimini dove abitava, si era ricoverato in clinica e aveva conservato lo stesso cellulare utilizzato il giorno del fatto.

In tal modo, secondo la difesa, non è stata fornita una prova logica e rigorosa della esistenza del concorso, con motivata esclusione di decorsi causali alternativi e con attribuzione, al di là di ogni ragionevole dubbio, della condotta al ricorrente, che si era limitato a fare da mediatore tra colui che era stato derubato dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente e la vittima che era sospettata di avere sottratto detta sostanza, senza che tale condotta potesse assurgere a prova della partecipazione morale dello stesso ricorrente all’uccisione, potendo al massimo ricondursi alla figura della connivenza no,i punibile, consistita nella mera presenza sul luogo dove poi era stato compiuto l’omicidio.

A tale ultimo riguardo, la Corte, ad avviso della difesa, ha richiamato giurisprudenza non pertinente di questa Corte, traendo illogicamente dall’episodio della presenza della pistola sul tavolo il consenso preventivo al suo uso, e sostenendo erroneamente che la condotta del ricorrente, i suoi contatti con la vittima, la consapevole detenzione dell’arma, l’accettazione del rischio del suo utilizzo e la previsione dell’evento, nelle forme del dolo eventuale, portassero alla sussistenza del concorso ex art. 110 cod. pen..

Motivi della decisione

1. I ricorsi non sono fondati.

2. Quanto ai vizi di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, articolati dai ricorrenti sotto diversi profili, il Collegio ritiene necessaria una premessa di carattere generale.

2.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione deve essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, e di procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944, e, tra le successive conformi, da ultimo Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Capanna e altro, Rv. 248192).

Non integra, infatti, manifesta illogicità della motivazione come vizio denunciabile in questa sede, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, nè la diversa ricostruzione degli atti ritenuta più logica, nè la minima incongruenza, nè la mancata confutazione di un’argomentazione difensiva.

L’illogicità della motivazione deve, invece, consistere in carenze logico – giuridiche, risultanti dal testo del provvedimento impugnato ed essere evidenti, e cioè di spessore tale da essere percepibili ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205621; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074, e, tra le successive conformi, da ultimo, Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Merja, Rv. 248698).

3. Anche in ordine al richiamo, fatto nei ricorsi, al principio per cui il giudice, nel quadro della normativa in tema di giusto processo, pronuncia sentenza di condanna solo se l’imputato risulta colpevole del reato contestato al di là di ogni ragionevole dubbio, deve premettersi che questa Corte ha più volte affermato che, con la previsione di detta regola di giudizio, recepita dalla L. n. 46 del 2006, art. 5 che ha modificato l’art. 533 c.p.p., comma 1, il legislatore non ha introdotto un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice, che faceva riferimento alla sola colpevolezza dell’imputato, ma ha semplicemente formalizzato un principio presente da anni, con sempre maggiore frequenza, nella giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 6, n. 1518 del 08/04/1997, dep. 27/05/1997, P.M. in proc. Moschetto, Rv. 208144; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati, Rv. 212998), e incontestabile anche alla stregua delle Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, per cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale della responsabilità dell’imputato, imponendosi, invece, l’assoluzione quando la prova è incompleta (Sez. 1, n. 20371 del 11/05/2006, dep. 14/06/2006, Ganci e altro, Rv.

234111; Sez. 1, n. 30402 del 28/06/2006, dep. 13/09/2006, Volpon, Rv.

234374; Sez. 2, n. 16357 del 02/04/2008, dep. 18/04/2008, Crisiglione, Rv. 239795).

4. Avendo entrambi i ricorsi posto la questione relativa all’applicazione dei principi in tema di concorso di persone del reato, denunciandosi l’incorsa violazione di legge e/o la non corretta valutazione dei presupposti del concorso ordinario e del concorso anomalo, appare necessario anche sul punto fare una premessa di carattere generale.

4.1. Elementi costitutivi della fattispecie descritta dall’art. 116 cod. pen. sono l’esistenza di un accordo al fine di commettere un reato concordemente voluto, la concreta commissione di un reato diverso e più grave di quello concordato, il nesso di causalità materiale fra la condotta attiva o omissiva del reato voluto e l’evento del diverso tipo di reato realizzato, il rapporto di causalità psicologica fra le azioni degli autori di entrambi i reati.

Secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza di questa Corte, la predetta norma non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, inconciliabile con il principio di colpevolezza, come interpretato dalla Corte costituzionale alla luce della regola della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, comma 1, Cost. (Corte Cost., sent. n. 42 del 1965; sent. n. 364 del 1988), ma un’ipotesi di responsabilità a titolo di dolo rispetto alla condotta del reato – base voluto e meno grave e a titolo di colpa rispetto all’evento non voluto diverso e più grave, consistente nella violazione delle regole di prudenza, "per essersi il compartecipe imprudentemente affidato per l’esecuzione di condotta criminosa al comportamento di altro soggetto che sfugge al suo controllo finalistico".

La responsabilità per concorso anomalo, ossia del concorrente nel reato diverso da quello voluto, è, in particolare, ravvisabile solo quando l’evento diverso e più grave di quello voluto dal compartecipe costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile da un soggetto di normale intelligenza e di cultura media, quale possibile conseguenza della condotta concordata, secondo regole di ordinaria coerenza dello svolgersi dei fatti umani, non spezzata da fattori accidentali e imprevedibili.

L’applicabilità della suddetta norma soggiace, quindi, a due limiti negativi: che l’evento diverso non sia stato previsto come certo o come altamente probabile, e quindi voluto neanche sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale, perchè in tal caso sussisterebbe la tipica responsabilità concorsuale ai sensi dell’art. 110 cod. pen., e che l’evento più grave concretamente realizzato non sia conseguenza di fattori eccezionali sopravvenuti, imprevedibili dall’agente e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base, e non si verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo a escludere il nesso di causalità (tra le altre, Sez. 1, n. 4196 del 12/01/1985, dep. 07/05/1985, Oraci, Rv.

168990; Sez. 1, n. 5002 del 31/01/1986, dep. 05/06/1986, lorelli, Rv.

172989; Sez. 1, n. 3381 del 23/02/1995, dep. 28/03/1995, Parolisi, Rv. 200699; Sez. 1, n. 9273 del 28/06/1995, dep. 30/08/1995, Cocuzza e altri, Rv. 202419; Sez. 1, n. 4894 del 10/04/1996, dep. 15/05/1996, Angeloni e altro, Rv. 204639; Sez. 1, n. 5188 del 14/03/1996, dep. 25/05/1996, Caccavo e altri, Rv. 204665; Sez. 6, n. 7388 del 13/01/2005, dep. 25/02/2005, P.G. in proc. Lauro, Rv. 231460; Sez. 1, n. 8837 del 10/01/2006, dep. 14/03/2006, P.M. in proc. Nika e altri, Rv. 233580; Sez. 1, n. 37940 del 24/10/2006, dep. 17/11/2006, De Cristofaro e altro, Rv. 235427; Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, dep. 27/03/2008, Li e altri, Rv. 240276; Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 19/01/2009, Antonucci e altri, Rv. 241574; Sez. 6, n. 8738 del 29/01/2009, dep. 26/02/2009, Sarno e altri, Rv, 243065; Sez. 2, n. 20885 del 13/05/2009, dep. 18/05/2009, P.G. in proc. Moscato Rv.

244808; Sez. 5, n. 39339 del 08/07/2009, dep. 09/10/2009, Rizza, Rv.

245152; Sez. 6, n. 18489 del 13/01/2010, dep. 14/05/2010, P.G. in proc. Rubino, Rv. 246914).

4.2. Alla rilevanza della verifica se l’evento sia stato escluso o sia stato visto dall’agente come possibile, come probabile o come certa conseguenza diretta della sua azione si ricollega la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che, nel l’affronta re le questioni connesse alla imputazione soggettiva per l’attribuzione della responsabilità nella configurazione delle singole fattispecie incriminatrici, ha affermato che, in tema di elemento soggettivo del reato, possono individuarsi vari livelli crescenti di intensità di volontà dolosa.

Nel caso di azione posta in essere con accettazione del rischio dell’evento si richiede all’autore una adesione di volontà maggiore o minore, a seconda che egli consideri maggiore o minore la probabilità della verificazione dell’evento. Nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, l’autore, invece, non si limita ad accettarne il rischio, ma accetta l’evento stesso, cioè lo vuole con una intensità maggiore di quelle precedenti. Se l’evento, oltre che accettato, è perseguito, la volontà si colloca in un ulteriore livello di gravità e può distinguersi fra un evento voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale e un evento perseguito come scopo finale.

Il dolo va poi qualificato come "eventuale" solo nel caso di accettazione del rischio di un evento, non voluto e anzi escluso, conseguente a una condotta diretta ad altri scopi e realizzata nonostante la rappresentazione della possibilicà di verificarsi di ulteriori conseguenze, mentre negli altri casi il dolo va qualificato come "diretto" e, nell’ipotesi in cui l’evento è perseguito come scopo finale, come intenzionale (Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/01/1994, Cassata, Rv. 195804; Sez. U, n. 3571 del 14/02/1996, dep. 12/04/1996, Mele, Rv. 204167; Sez. 1, n. 12785 del 30/11/1995, dep. 29/12/1995, Ali e altri Rv. 203144, e, tra le ultime, Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, dep. 27/03/2008, Li e altri, Rv. 240276).

Pertanto, il crescente livello della volontà dolosa va dal dolo eventuale fino a quello intenzionale passando per il dolo diretto;

quest’ultimo sussiste quando si entra nel campo della probabilità, cioè quando la realizzazione dell’evento si presenti all’autore del fatto quanto meno come altamente probabile, talchè il medesimo non si limita ad accettare il rischio dell’evento – visto nella rappresentazione psichica dell’agente come una delle possibili conseguenze della condotta, ma non voluto, in concreto, come avviene nel dolo eventuale – bensì accettando l’evento, già rappresentato come altamente probabile, lo vuole, nell’ambito di una effettiva previsione dell’evento mortale, anche se non integra lo scopo finale della sua azione.

E’ evidente che il giudice non può entrare nella psiche dell’uomo, al fine di verificare se l’evento sia stato escluso o sia stato visto dall’agente come possibile, come probabile o come certa conseguenza diretta della sua azione, e che deve, quindi, attenersi a una indagine sintomatica, e cioè agli elementi fattuali indicativi all’esterno della volontà. 5. Poste tali premesse e passando all’esame delle censure specificatamente mosse dai ricorrenti, si rileva l’infondatezza in ogni sua deduzione del ricorso proposto da M.Z..

5.1. Le censure svolte con il primo motivo, attinenti alla dedotta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, si articolano sul duplice versante dell’omessa valutazione da parte della Corte di merito delle doglianze difensive, volte a dimostrare l’insussistenza di qualsiasi condotta qualificabile ai sensi dell’art. 116 cod. pen. per l’assenza di elementi, probatori e indiziari, dell’adesione del ricorrente al reato meno grave del sequestro di persona, e della contraddittoria e illogica motivazione in ordine all’affermata responsabilità per la detenzione in concorso dell’arma per essersi ritenuto determinato l’omicidio da dolo d’impeto.

Tali censure non tengono conto delle ragioni argomentate della decisione impugnata, che ha proceduto alla valutazione organica delle risultanze processuali, secondo un ragionamento probatorio coerente ai dati fattuali acquisiti e ai pertinenti principi di diritto, dando adeguata risposa alle deduzioni della difesa e dell’accusa, fatte oggetto delle rispettive impugnazioni.

5.1.1. La Corte, infatti, non si è astenuta dall’affrontare le argomentazioni difensive con il "ragionamento" argomentativo, di cui all’espressione riportata in ricorso, avendo, invece, chiaramente precisato, con detta espressione, di avere essa stessa "già escluso" la ricorrenza del concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., riconosciuto dal primo giudice, e che, per l’effetto, "come già evidenziato", il problema prospettato dalla difesa, in ordine all’adesione al preteso reato meno grave, non si poneva.

Appare del tutto legittimo tale rinvio per relationem, operato dalla Corte, nell’esaminare l’appello dell’odierno ricorrente nella parte relativa alla chiesta assoluzione per non avere commesso il fatto, ritenuta infondata, ai punti della sentenza in cui la responsabilità dell’appellante è stata valutata ai fini della verifica della sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen., ritenuta dal primo Giudice e contestata dal Pubblico Ministero, e della responsabilità del ricorrente ai sensi dell’art. 110 cod. pen., ritenuta dalla Corte.

Ed è coerente a esatta interpretazione della legge penale, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, l’affermazione della superfluità della verifica della ricorrenza dell’adesione dell’imputato al reato meno grave e del nesso psicologico, in termini di prevedibilità, tra la condotta dell’agente e l’evento più grave verificatosi, una volta che il concorso anomalo è escluso per non essersi posta l’uccisione della vittima "quale evento atipico, eccezionale e imprevedibile", avendo il ricorrente, unitamente al coimputato X., visto posata sul tavolo la pistola, poi utilizzata dal D. per commettere l’omicidio, consapevolmente rappresentandosi e accettando il rischio di tale epilogo.

La doglianza difensiva, che omette di formulare una critica sulla motivazione, non omessa, è, pertanto, sul punto aspecifica.

5.1.2. Nè è ravvisabile la dedotta contradaittorietà della motivazione della sentenza che, mentre ha escluso la premeditazione ritenuta in primo grado e ha considerato l’omicidio sorretto da dolo d’impeto, ha valutato la codetenzione e l’esposizione della pistola come finalizzate alla commissione del prevedibile e previsto reato di omicidio.

La Corte di merito ha, infatti, logicamente evidenziato gli argomenti che consentivano di non ritenere esistente l’aggravante della premeditazione, specificatamente esaminando le singole prospettazioni accusatone al riguardo, e ha coerentemente rappresentato, alla luce delle risultanze delle conversazioni telefoniche intercettate, che l’incontro – tranello, che aveva portato la vittima nell’abitazione del D., non era preordinato alla commissione dell’omicidio, non premeditato, ma all’obiettivo di ricevere chiarimenti in ordine alla collocazione dello stupefacente e di pervenire alla resa dei conti, "aperto e condizionato" all’esito dei chiarimenti dati.

In rapporto a tale incontro, non amichevole, e a una resa dei conti finale che poteva concludersi tragicamente, lasciando il ricorrente, unitamente al coimputato X. e al Da., soli nell’appartamento V.H. e il D., aventi non contestata diversa corporatura per la maggiore mole del primo, la rilevanza penale della codetenzione dell’arma da parte anche del ricorrente, che la stessa arma aveva visto, posata sul tavolo, prima di uscire è ragionevolmente collegata alla prevedibilità del suo utilizzo.

5.2. L’infondatezza del secondo motivo che attiene al dedotto vizio della motivazione per la ritenuta sussistenza dell’ipotesi concorsuale di cui all’art. 110 cod. pen. nella commissione del delitto di omicidio è strettamente connessa e conseguente ai rilievi già svolti con riferimento al primo motivo.

La Corte con motivazione compiuta e logica, conforme ai principi giuridici in precedenza enunciati, ha puntualmente indicato le ragioni per le quali, in rapporto alla operata ricostruzione dei fatti nei confronti dell’indagato, non è configurabile il concorso ex art. 116 cod. pen., ma è da ravvisare il concorso ordinario sorretto dal dolo omicidiario diretto o quantomeno eventuale.

La Corte di merito, previa analitica ricostruzione della vicenda processuale, degli elementi probatori rappresentati dalle plurime conversazioni telefoniche intercettate, dalle dichiarazioni degli imputati e dagli esiti della localizzazione dei telefoni cellulari, ha proceduto, infatti, all’inquadramento dei fatti, come indicato in premessa, specificatamente descrivendo il ruolo del ricorrente M.Z..

In tale descrizione, la Corte ha considerato la posizione del ricorrente in rapporto all’organizzazione albanese e alla necessità per il medesimo, già considerato corresponsabile della sparizione della droga per aver presentato V.H. al D., di mostrare la sua buona fede in ordine alla sparizione della droga, e ha valutato l’attività svolta dal predetto nel contesto del piano volto a portare V.H. al cospetto di Da., giunto dall’Albania, per avere risposte precise sulla partita di stupefacenti sottratta e per la resa dei conti, e nel momento esecutivo del piano e in quello successivo.

La descrizione del ruolo del ricorrente, supportata dai riscontri probatori nei singoli passaggi, dalla conoscenza della vicenda all’impegno assunto verso il Da., dai contatti con la vittima al suo accompagnamento all’incontro designato, dall’ammessa visione della pistola sul tavolo all’accettazione del rischio del suo utilizzo e all’allontanamento dall’appartamento lasciando soli la vittima e il connazionale, coinvolti più di ogni altro nella questione della necessaria resa dei conti, ha coerente nesso, anche alla luce delle dichiarazioni dello stesso ricorrente nel suo interrogatorio del 15 gennaio 2008 e del memoriale del 14 dicembre 2007, con la ritenuta responsabilità dello stesso per concorso ordinario, e non anomalo, nell’omicidio consumato.

Tali valutazioni congrue e ragionevoli, fondandosi su dati coerenti con le risultanze processuali, esprimono l’esercizio dell’attività valutativa demandata al giudice dì merito, che correttamente procedendo alla indagine sintomatica, con riguardo agli elementi fattuali indicativi all’esterno della volontà del ricorrente, come affermato da questa Corte, ha desunto dalle circostanze di fatto indicate, coordinate logicamente, che il ricorrente si era rappresentato l’evento come prevedibile e ne aveva accettato il rischio.

La riproposizione argomentativa delle deduzioni difensive, già adeguatamente valutate dal giudice di merito, esprime un dissenso di merito non legittimamente rappresentabile in questa sede.

5.3. Infondato è il terzo motivo, che attiene alla dedotta violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, non essendo vero che sia stata violata tale regola, in ordine alla cui indifferenza sul piano del giudizio il Collegio richiama e riafferma i principi di diritto prima indicati.

La motivazione della Corte che, attraverso la concatenazione logica dei dati fattuali e degli elementi di giudizio, ha rappresentato il suo convincimento intrinsecamente razionale e congruo alle risultanze processuali, alla esatta interpretazione e alla corretta applicazione delle norme incriminatrici e all’adeguata risposta alle doglianze difensive, ha fornito la certezza processuale della riferibilità del fatto in concorso al ricorrente ai sensi dell’art. 110 cod. pen., a fronte del quale la deduzione di possibili generiche letture alternative non può che ritenersi soccombente.

5.4. E’ manifestamente infondato, da ultimo, il quarto motivo, con il quale è denunciata violazione di legge, con riferimento all’art. 62- bis cod. pen..

Il ricorrente, infatti, censura una carenza di motivazione con riguardo al diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, che non poteva esserci, avendo la Corte di merito confermato la già disposta esclusione delle attenuanti per l’insussistenza di alcun elemento di segno positivo, idoneo a bilanciare i numerosi elementi negativi esposti dal primo giudice.

Richiamando, poi, il contenuto dell’interrogatorio e del memoriale del 14 dicembre 2007, valutati dalla Corte come irrilevante il primo al fine richiesto e influenzato da evidenti intenti difensivi il secondo, il ricorrente si limita a rappresentarne la valenza per la fase neutra in cui il primo è stato reso e il secondo è stato rassegnato in atti, senza indicare elementi positivi dagli stessi traibili.

6. Destituito di fondamento è anche il ricorso proposto da X. F..

6.1. Richiamati i principi di diritto già esposti, pertinenti anche alle doglianze del ricorrente, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, nel suo sviluppo decisionale, ha chiaramente argomentato, all’esito di un’analisi completa degli elementi probatori, i singoli momenti dell’articolata formazione della prova, illustrando e coerentemente giustificando i dati fattuali acquisiti e ha sviluppato, rispetto a quella di primo grado, le valutazioni critiche alla luce delle deduzioni, difensive e accusatone, cui ha dato adeguata risposta.

Tali valutazioni, non disgiunte dalla lettura dei dati di fatto e dalla interpretazione degli elementi probatori alla luce dei pertinenti principi normativi, hanno riguardato, in rapporto alla posizione del ricorrente, il contesto in cui la sua condotta si è inserita e il ruolo assunto nella vicenda per cui è processo.

6.2. La Corte ha, in particolare, considerato che, sulla base del materiale intercettato acquisito e delle dichiarazioni convergenti dei due coimputati, D. e M., non solo è emersa l’inaccettabilità della strumentale spiegazione della casualità dell’incontro nell’appartamento di D.J. nel pomeriggio del (OMISSIS), fornita dal ricorrente X.F., e la non credibilità della sua dichiarata non conoscenza della morte di V.H. fino al momento del suo arresto, ma è risultato che il predetto, fin dal momento dell’arrivo in Italia dall’Albania del Da., è stato dello stesso il primo e diretto referente, fungendo da tramite tra quest’ultimo e V.H., che egli aveva incarico di incontrare, quale emissario dell’organizzazione albanese, al fine di assumerne la versione dei fatti.

La ricostruzione del ruolo del ricorrente, supportata dagli esiti delle operazioni di ascolto nella loro storicità temporale, quale "figura fondamentale" tra le presenze, secondo accordo, nell’appartamento del D., i contatti dallo stesso tenuti tra i capi dell’organizzazione e la vittima e con i coimputaii, l’avvenuta pianificazione della riunione al fine di ottenere da V.H., posto in posizione di preordinata inferiorità, informazioni "risolutive sul destino della partita di stupefante asportata", l’ammessa visione della pistola sul tavolo nell’appartamento ancor prima dell’arrivo del V., la logica accettazione del rischio del suo utilizzo e la previsione o logica prevedibilità dell’evento, l’allontanamento dall’appartamento lasciando soli la vittima e il connazionale, coinvolti più di ogni altro nella questione della necessaria resa dei conti, sono stati coerentemente e ragionevolmente valutati come fondanti la ritenuta responsabilità del ricorrente per concorso ordinario nell’omicidio consumato.

6.3. La deduzione difensiva che la Corte, dopo aver escluso la premeditazione e il concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., ha ritenuto sussistente il concorso ai sensi dell’art. 110 cod. pen., utilizzando le stesse argomentazioni e basandosi sulla sola presenza di una pistola e di nastro adesivo, inidonea a far inquadrare, in capo al ricorrente, la codentenzione dell’arma, si scontra con una motivazione nè illogica nè contraddittoria.

Deve, infatti, ribadirsi quanto già rilevato, esaminando analoghe censure prospettate dal ricorrente M., in ordine sia alla logica evidenziazione da parte della Corte delle ragioni argomentate che portavano a confermare l’esclusione dell’aggravante della premeditazione, già ritenuta in primo grado e oggetto delle censure del Pubblico Ministero impugnante, sia alla coerente rappresentazione, sulla base delle risultanze delle operazioni di ascolto, dell’incontro – tranello di V.H. presso l’abitazione del D., alla presenza di quest’ultimo, del ricorrente, del Da. e del coimputato M., come preordinato all’obiettivo dell’acquisizione di chiarimenti in ordine alla collocazione dello stupefacente e "aperto e condizionato" al loro esito, in vista della resa dei conti definitiva, e non alla commissione di un non premeditato omicidio.

In tale contesto, come già rilevato e ora ribadito, coerentemente la Corte ha ritenuto che, in rapporto a tale incontro, non amichevole, e a una resa dei conti finale che poteva concludersi tragicamente, avendo il ricorrente lasciato, unitamente al coimputato M. e al Da., soli nell’appartamento V.H. e il D., aventi non contestata diversa corporatura per la maggiore mole del primo, la rilevanza penale della codetenzione dell’arma da parte anche del ricorrente, che la stessa arma aveva visto, posata sul tavolo, prima dell’arrivo dello stesso V., è ragionevolmente collegata alla prevedibilità del suo utilizzo.

6.4. Non sono neppure fondate le censure di illogicità e di contraddittorietà della motivazione, svolte con riferimento alle cinque ragioni elencate dalla Corte come argomenti che non consentivano di ritenere esistente l’aggravante della premeditazione, sul rilievo che le stesse portavano a escludere il concorso morale del ricorrente.

La rilettura che di tali argomenti fa il ricorrente, in un’ottica di diffuso dissenso di merito, prospettando una interpretazione alternativa della vicenda, già plausibilmente e ineccepibilmente condotta dalla Corte in logica coerenza con le emergenze processuali e con i principi di diritto enunciati da questa Corte in materia di concorso di persone e in tema di valutazione delle prove, si risolve, infatti, in una sovrapposizione argomentativa inidonea a insinuare dubbi o incertezze.

Nè, una volta che è stato ritenuto motivatamente il concorso anche del ricorrente nel reato di omicidio, ai sensi dell’art. 110 cod. pen., dandosi conto senza contraddizioni e salti logici della scelta operata e del privilegio riconosciuto ad alcuni elementi probatori rispetto ad altri, il Giudice di merito aveva alcun obbligo di rispondere a doglianze inconciliabili con la motivata scelta operata.

Nè sono censurabili i richiami fatti dalla Corte ai principi di diritto tratti da decisioni di legittimità, sul rilievo della diversità della situazione fattuale oggetto delle stesse, al di là di quanto espresso dalla richiamata massimazione, poichè, a parte la considerazione che l’interpretazione della norma è attività del giudice, non vincolato nel nostro ordinamento dal precedente, l’applicazione della norma, anche ove sia condivisa la non vincolante interpretazione, deve essere riferita al singolo caso concreto secondo i principi propri del sillogismo giudiziario.

E’ cosa diversa la denuncia della violazione di legge, che, nella specie, non ricorre, nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice di merito applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie), nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte esattamente interpretato le norme applicate.

7. I ricorsi devono essere, pertanto, rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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