Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 23-09-2011, n. 34535 Attenuanti comuni

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29 gennaio 2009 il Tribunale di Reggio Calabria ha dichiarato S.I.C. e E.M.B.H.E. K. colpevoli dei reati di tentato omicidio pluriaggravato e di sequestro di persona aggravato in danno di El.Il., e, concesse a entrambi le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e ritenuta la continuazione, li ha condannati ciascuno alla pena di anni dieci e mesi sei di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale durante l’esecuzione della pena, confisca di quanto in sequestro, sottoposizione alla misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore a tre anni e condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio civile.

2. Con sentenza del 21 gennaio 2010 la Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della decisione di primo grado, ha escluso per entrambi gli imputati l’aggravante dell’uso del mezzo insidioso e ha applicato alla sola S. la circostanza attenuante di cui all’art. 56 c.p., comma 4, riducendo la pena inflitta a quest’ultima ad anni sei e mesi sei di reclusione e al coimputato ad anni nove e mesi sei di reclusione e la durata della libertà vigilata per entrambi ad anni due.

3. In base alla contestazione formulata, S.I.C. e E.M.B.H.E.K., in concorso tra loro e con Se.

C., separatamente giudicato, hanno compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco, a cagionare la morte di El.

I., colpito con calci e pugni e oggetti atti a offendere, quali sedie o parti di esse, da E.M.B.H.E.K. e da Se.Ch. e con acido muriatico sul viso dalla S., hanno lasciato agonizzare la vittima per oltre dieci ore, accordandosi tra loro per sbarazzarsi del corpo in fin di vita, e non sono riusciti nell’intento per l’intervento delle Forze dell’ordine, che hanno trasportato la vittima in ospedale, dove è stato riscontrato che la stessa, ricoverata con prognosi riservata, aveva riportato trauma cranio-facciale con politraumismo confusivo e con frattura della nona costola destra, dell’ulna destra e delle ossa nasali.

Agli imputati sono state contestate le circostanze aggravanti di aver agito con crudeltà e utilizzando mezzo insidioso, ed è stato anche contestato in concorso il delitto di sequestro di persona per avere chiuso dall’esterno con lucchetto la porta dell’immobile, in loro uso, nel quale hanno lasciato agonizzare la vittima, aggravato dal nesso teleologia) con il reato di tentato omicidio.

4. I Giudici di merito ritenevano provata la responsabilità degli imputati per i delitti ascritti in concorso sulla base dei seguenti elementi probatori:

a) dichiarazioni rese nel corso dell’incidente probatorio da El.Il., che aveva ricostruito l’aggressione subita la sera del (OMISSIS), quando era stato condotto da E.M.B. H.E.K., che aveva riconosciuto in udienza, presso l’abitazione, situata nel rione (OMISSIS), di Se.Ch., che pure aveva riconosciuto, nonostante le sue titubanze per avere avuto con quest’ultimo un precedente litigio.

El.Il., dopo aver bevuto la birra offertagli e aver perso le forze in dipendenza della sostanza medicinale nella stessa disciolta, mentre era nel cortile esterno all’abitazione, era stato percosso violentemente da E.M.B.H.E.K., che con una testata gli aveva rotto il setto nasale, da Se.Ch., che l’aveva colpito sul collo con un bastone, e da altri due (OMISSIS) mai visti, nè incontrati successivamente, che l’avevano colpito con pugni e calci, mentre erano presenti Ca.An. e S. I.. Quest’ultima, quando il predetto era stato trascinato per i piedi all’interno dell’abitazione, gli aveva lanciato contro acido muriatico, dicendogli, nella convinzione che egli avesse una relazione con la sorella S.V., "ora voglio vedere se ti vuole qualcuno".

El.Il., che non aveva mai perso conoscenza, era stato poi rinchiuso in casa, restando da solo fino all’arrivo di S. S., fratello di S.I., dei poliziotti e dei vigili del fuoco.

Il predetto, che aveva anche chiarito che nella cultura islamica l’uso dell’acido è sintomatico di sentimento di disprezzo, aveva anche precisato di non avere indicato nella immediatezza la compartecipazione ai fatti della S., perchè dalla stessa minacciato durante il suo ricovero in ospedale, dopo la promessa, in cambio del silenzio, di una somma di denaro che avrebbe ricevuto da una truffa ai danni di una società finanziaria;

b) dichiarazioni rese da uno degli operatori di polizia intervenuti, C.G.B., che aveva riferito di aver trovato l’abitazione chiusa dall’esterno con un lucchetto, forzato dai vigili del fuoco, e nel suo interno sedie spaccate, vetri in frantumi, tracce di acido e macchie di sangue soprattutto nella stanza in cui avevano rinvenuto riverso in terra El.Il., con il volto livido e coperto di sangue, e di avere appreso dallo stesso di essere stato aggredito da quattro persone;

c) esiti delle conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza mobile in uso a S.I. il 12 settembre 2007 – progr. n. 54 e n. 72 e il 6 ottobre 2007 – progr. n. 727, che, trascritte dal perito nominato dal Tribunale, avevano riscontrato le dichiarazioni della parte offesa;

d) esiti degli accertamenti investigativi sui luoghi dell’aggressione e medici sulle ferite riportate dalla vittima, che avevano dato integrale conferma al racconto della vittima (rottura del setto nasale, presenza di sedie rotte e vetri in frantumi, rinvenimento di flacone rosso con acido muriatico e tracce di acido sul pavimento, schizzi di sangue pestati, segni del trascinamento del corpo ferito da una stanza all’altra, abbandono della vittima riscontrato dalle forze dell’ordine e dai vigili del fuoco che avevano segato il lucchetto, assenza di lesioni a carico di E.M.B.H.E. K. e di Se.Ch., riconosciuti dalla parte offesa come autori del pestaggio);

e) contraddittorie e divergenti versioni offerte dal coimputato S.C., sentito ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., dall’imputata S. e dalla teste Ca.An. sulle modalità di svolgimento degli accadimenti, sulla presenza dell’imputato E.M.B.H.E.K. e sul fine del suo intervento, e sul momento dell’allontanamento della S. dall’abitazione di Se.Ch.;

f) dichiarazioni rese da S.S.V. alla Polizia Giudiziaria, non superate dalle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento, ritenute prive di credibilità;

g) esiti della consulenza tecnica svolta dal dott. M.M. in ordine alla idoneità delle lesioni, delle modalità e della dinamica dell’aggressione, dei mezzi utilizzati e delle parti del corpo colpite a provocare l’insufficienza respiratoria, e quindi la morte della persona offesa, se la stessa fosse rimasta senza assistenza.

5. La Corte d’appello, dopo aver ampiamente ripercorso gli elementi di prova e le considerazioni svolte dal primo giudice, ha, in particolare, ritenuto, alla luce delle ragioni di doglianza difensive, sviluppate con i motivi di appello, non fondate:

– le censure, ampiamente esaminate, in ordine all’attendibilità della persona offesa, costituita parte civile, e delle sue dichiarazioni, valutate dal primo giudice, prudentemente, alla luce del contesto in cui la vicenda era maturata e della personalità dei protagonisti della stessa, e coerentemente con le risultanze istruttorie, come logiche, coerenti, non contraddittorie e ampiamente riscontrate e supportate nella loro valenza probatoria;

– la considerazione svolta dall’appellante S. con riguardo al difetto di prova del lancio da parte sua dell’acido muriatico, desunto, per esclusione, dalla parte offesa per l’estraneità dello sfregio al volto con l’acido alla cultura sua e dei suoi connazionali, atteso che dal completo esame delle dichiarazioni della parte offesa risultava che l’attribuzione della detta condotta non era stata fatta dalla medesima in forza di detta conclusione logica, ma per aver visto la predetta S. prendere la bottiglia di acido muriatico e lanciarle contro il volto il liquido, che era entrato nel suo orecchio, mentre le dichiarazioni della S. erano state del tutto contraddittorie, altalenanti e mutevoli, alla pari di quelle rese del fratello;

– la considerazione svolta dell’appellante E.M.B.H.E. K. in merito allo stesso episodio del lancio dell’acido muriatico, per l’illogicità della frase attribuita dalla parte offesa alla S. ("ora voglio vedere se qualcuno ti vuole") in rapporto alla sua incidenza su future relazioni sentimentali della vittima destinata a essere uccisa, attesa la riferibilità della dedotta incoerenza al comportamento dell’agente e non alle dichiarazioni della vittima;

– la deduzione dell’appellante E.M.B.H.E.K. relativamente alla dipendenza della vicenda dalla insorgenza improvvisa del contrasto, all’esterno dell’abitazione, per l’assunzione di notevole quantità di birra, avuto riguardo alle non convincenti e contraddittorie dichiarazioni rese dall’imputata S., dalla teste Ca. e dall’imputato di reato connesso Se.Ch., che, uniformemente modulate sulla riconduzione dell’origine della lite al lancio di una bottiglia da parte della vittima quale "artefice della provocazione", erano divergenti in merito alle modalità di svolgimento dei fatti, al momento del lancio della bottiglia, alla presenza dell’imputato E.M.B.H.E. K. sulla scena del delitto e al suo ruolo nella vicenda, e al momento dell’allontanamento della S. dalla casa, oltre a essere illogiche, incoerenti e inidonee a offrile un serio ausilio alla ricostruzione dei fatti;

– la deduzione dell’appellante E.M.B.H.E.K. circa il suo intervento nella vicenda con intervento pacificatore tra soggetti in lite in preda all’alcool, smentita dai dati di fatto riscontrati;

– le censure svolte dagli appellanti in merito alla valutazione come tentato omicidio delle condotte tenute, attesa la ricostruzione parziale operata dagli stessi con riguardo a due segmenti di condotta (testata da parte di E.M.B.H.E.K. e lancio di acido muriatico da parte della S.), invece conseguenti e integranti il delitto contestato in una sequenza preordinata di atti (persuasione della vittima a raggiungere l’abitazione ove si era verificata l’aggressione, aggressione feroce contro la vittima già stordita con la sostanza sciolta nella birra offertale, segregazione della vittima gravemente ferita), confermati dallo stato dei luoghi e dalle condizioni della vittima, e non contraddette dalle dichiarazioni rese al dibattimento dal teste S., in contrasto con le originarie dichiarazioni e con le accertate oggettive circostanze fattuali, e tenuto conto della idoneità delle lesioni infette, seguite dalla segregazione della vittima senza soccorso alcuno, a cagionare in modo non equivoco la morte della medesima, alla stregua delle risultanze della deposizione del teste M..

5.1. Nell’attuazione del disegno criminoso, E.M.B.H.E. K. aveva concorso convincendo El.Il. ad andare a casa di Se.Ch. e intervenendo nella materiale aggressione e nella segregazione dello stesso, in attesa della sua morte, e la S. aveva concorso all’aggressione con la sua presenza, che aveva rafforzato il proposito criminoso, e lanciando sul volto della vittima, con gesto dispregiativo, l’acido muriatico, nella condivisione dell’intenzione degli aggressori materiali, ed entrambi con l’abbandono della vittima, dopo il pestaggio, all’interno della casa chiusa con lucchetto dall’esterno, e con la rappresentazione della morte della stessa come conseguenza della loro azione.

5.2. Sussistevano anche gli estremi della responsabilità in concorso degli imputati per il reato di sequestro di persona, attesa l’intervenuta segregazione della vittima, contro la sua volontà, per un tempo giuridicamente apprezzabile, con il concorso di entrambi, irrilevante essendo, oltre a non essere provata, la circostanza, rappresentata dalla S. nei suoi motivi di appello, di essere andata più volte a verificare le condizioni di salute della medesima.

5.3. La ricorrenza dell’aggravante della crudeltà verso la vittima, con riguardo al tentato omicidio, e quella del nesso teleologia), con riguardo al sequestro di persona, trovavano sicuro fondamento, la prima, nelle modalità della condotta finalizzata a infliggere alla vittima una lenta agonia, e, la seconda, nella commissione del reato per eseguire il reato di omicidio.

Veniva, invece, esclusa dalla Corte d’appello l’aggravante dell’utilizzo del mezzo insidioso, poichè l’utilizzo dell’acido muriatico non aveva determinato direttamente la morte, essendosi posto come mera modalità dell’azione.

All’imputata S. era riconosciuta dalla Corte la diminuente di cui all’art. 56 c.p., comma 4, per avere con il suo comportamento, attuato sollecitando il fratello a chiedere l’intervento dei soccorsi, interrotto il nesso causale già attivato e idoneo a cagionare la morte.

La richiesta, avanzata dall’imputato E.M.B.H.E.K., di concessione in regime di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, già concesse in primo grado con giudizio di equivalenza, era rigettata avuto riguardo alle modalità cruente della condotta e alla intensa efferatezza del modus operandi.

6. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.

6.1. S.I.C. ricorre per mezzo del suo difensore, avv. Vincenzina Leone, e chiede l’annullamento della sentenza sulla base di due motivi.

6.1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, come desumibile dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti del processo, indicati in atto di appello, non valutati nè esaminati.

La difesa deduce, in particolare, che la Corte ha attribuito un ruolo preminente alle dichiarazioni della persona offesa, non valutandole con il necessario rigore, imposto dalla sua personalità "fosca e oscura", condivisa in sentenza, e dalle contraddizioni emerse con particolare riguardo al tardivo coinvolgimento della ricorrente, sintomatico della determinazione di voler coinvolgere l’ex fidanzata, alle cui spalle aveva vissuto, colpevole di avere lasciato la stessa parte offesa per altro uomo; ha interpretato erroneamente le conversazioni telefoniche successive ai fatti di causa, non tenendo conto dei rammarico espresso dalla ricorrente per l’accaduto, a lei del tutto estraneo; ha affermato la sua responsabilità senza motivare il ruolo dalla stessa rivestito, in contrasto con la disposta esclusione dell’aggravante del mezzo insidioso, integrata dal lancio dell’acido muriatico già attribuitole, e in contrasto con la concessione dell’attenuante di cui all’art. 56 c.p., comma 4 per l’operato recesso attivo che ha scongiurato l’evento morte; non ha tenuto conto della propensione benevola dalla predetta espressa nei confronti della parte offesa, preoccupandosi di soccorrerla e visitarla in ospedale; non ha tenuto conto della non ricorrenza degli elementi costitutivi del tentato omicidio, attesa l’assenza di idoneità e univocità degli atti; non ha considerato che la parte offesa non è stata mai privata della libertà personale, avendo piuttosto beneficiato delle cure della ricorrente.

6.1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge in ordine al criterio sanzionatorio adottato per l’eccessività della pena, che andava, comunque, rideterminata per la sua incensuratezza con la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

6.2. E.M.B.H.E.K. ricorre per mezzo del suo difensore, avv. Vincenzo Priolo, e chiede l’annullamento della sentenza sulla base di due motivi.

6.2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 56, 575, 605 e 62 bis cod. pen. e art. 192 c.p.p., comma 2, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. c), erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione desumibile dal testo impugnato e dagli atti del processo specificatamente indicati nei motivi d’impugnazione e non valutati nè esaminati, con travisamento dei dati processuali documentali.

Secondo la difesa, in particolare;

– con riguardo al ruolo partecipativo attribuito al ricorrente, a fronte della svolta deduzione del difetto di prova della sua partecipazione volontaria alla colluttazione e della contestazione della credibilità della persona offesa, ha attribuito un ruolo preminente alle dichiarazioni di quest’ultima, che non ha valutato con il necessario rigore, imposto dalla sua fosca personalità; dalla diversità delle versioni date sullo svolgimento dei fatti; dalla inverosimiglianza del ruolo partecipativo del ricorrente, individuato nella testata inferta alla parte offesa, che per le sue condizioni non poteva percepire i contributi partecipativi di ciascuno e la volontarietà della condotta attribuita al medesimo; dal suo allontanamento dai luoghi alla fine della colluttazione; dalla mancanza di causate a un intervento diverso dal ruolo di pacificatore da tutti al predetto riconosciuto;

– con riguardo alla ravvisata ipotesi di tentato omicidio, la Corte, ancora individuando quale unica fonte di prova le dichiarazioni della persona offesa, ha omesso di rilevare l’assenza di idoneità e univocità degli atti al fine del conseguimento dell’evento morte, nonchè di valutare il concorso eventualmente offerto dal ricorrente in un "contesto di convergenti attività offensive" e l’assenza del pericolo di vita in dipendenza delle lesioni contusive e delle fratture;

– con riguardo al sequestro di persona, la Corte di merito ha attribuito al ricorrente un contributo finalizzato alla privazione della libertà personale, nonostante la sua presenza limitata sui luoghi e il suo definitivo allontanamento subito dopo la colluttazione, e non ha considerato che la parte offesa non è stata mai privata della libertà personale, nè isolata nell’abitazione, essendo stata solo impossibilitata ad alzarsi per le lesioni, con ritardo nei soccorsi in dipendenza dei timori del fratello della S., in possesso delle chiavi dalla stessa ricevute, di essere coinvolto nella vicenda.

6.2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge con riferimento al trattamento sanzionatorio e alla dosimetria della pena, avuto riguardo alla severità della pena in rapporto al ruolo secondario svolto dal ricorrente e alla sua incensuratezza, che consentivano anche la concessione delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da S.I.C. è infondato in ogni sua deduzione.

2. Le censure svolte con il primo motivo, attinenti alla dedotta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, si articolano sul duplice versante dell’assoluta inattendibilità della persona offesa El.Il., e della erronea interpretazione del ruolo rivestito dalla ricorrente nella vicenda, in contrasto con le emergenze processuali e con la valutazione condotta dal primo Giudice, in ordine alla esclusione dell’aggravante del mezzo insidioso e alla concessione dell’attenuante del recesso attivo.

Tali censure, che non sono disgiunte da quelle che attengono al contraddittorio contenuto delle dichiarazioni della persona offesa e alla condotta della ricorrente nei confronti della stessa dopo i fatti di causa, sono correlate ai rilievi formulati circa la qualificazione giuridica del fatto, per essere stata ritenuta la sussistenza degli estremi del tentato omicidio, e circa l’attribuibilità alla ricorrente del reato di sequestro di persona.

2.1. Deve premettersi che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la categoria logico-giuridica del travisamento della prova, cui si ricollega la censura attinente alla errata valutazione delle risultanze probatorie, implica la constatazione dell’esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, per essersi utilizzata in sentenza e rappresentata in motivazione un’informazione probatoria rilevante non esistente nel processo, o per essersi omessa la valutazione di una prova decisiva, o per essere una determinata informazione, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, contraddetta da uno specifico atto probatorio processuale.

L’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), nell’ammettere, nella sua vigente formulazione, un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, poichè inerisce al tessuto argomentativo della ratio deciderteli (tra le altre, Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, dep. 27/04/2006, Vecchio, Rv. 233621; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, dep. 22/02/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207;

Sez. 1, n. 35848 del 19/09/2007, dep. 01/10/2007, Alessandro, Rv.

237684; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, dep. 12/10/2009, Belluccia, Rv. 244623), conferendo pregnante rilievo all’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, di cui risultano valorizzati, oltre alla tenuta logico-argomentativa, anche i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa, e rafforzando l’onere di "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" a sostegno del singolo motivo di ricorso, fissato dall’art. 581 c.p.p., lett. c) (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093).

2.1.1. Il vizio di prova "omessa" o "travisata" sussiste, tuttavia, soltanto quando la dedotta distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per l’essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività ai fini del decidere, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una rilettura e reinterpretazione nel merito del risultato probatorio, da contrapporre alla valutazione effettuata dal giudice di merito (tra le altre, Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, dep. 27/02/2007, Ienco, Rv. 236540; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, dep. 28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice di merito.

2.1.2. Questa Corte ha anche affermato che, quando ci si trova dinanzi a una "doppia conforme" e cioè doppia pronuncia di eguale segno, il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio, asseritamente travisato, è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, non potendo superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (tra le altre, Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, dep. 07/02/2007, Medina -2 altri, Rv.

236130; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636).

2.2. Deve anche rilevarsi in via preliminare che, per aversi il reato tentato, l’art. 56 cod. pen. richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto. E’, quindi, elemento strutturale oggettivo del tentativo, insieme alla direzione non equivoca degli atti, l’idoneità degli stessi, dovendosi intendere per tali quelli dotati di un’effettiva e concreta potenzialità lesiva per il bene giuridico tutelato, alla luce di una valutazione prognostica da effettuarsi con giudizio ex ante.

Tale valutazione, da compiersi non dal punto di vista del soggetto agente, ma nella prospettiva del bene protetto dalla norma incriminatrice, deve tener conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, si da determinarne la reale ed effettiva adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione dell’indicato bene (tra le altre. Sez. 6, n. 23706 del 17/02/2004, dep. 21/05/2004, P.M. in proc. Fasano, Rv. 229135; Sez. 6, n. 27323 del 20/05/2008, dep. 04/07/2008, P., Rv. 240736; Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, dep. 24/05/2010, Basco e altri, Rv. 247197; Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, dep. 19/07/2010, Resa e altri, Rv. 248305).

Si è anche osservato che, al fine della qualificazione del fatto quale reato di tentato omicidio, rispetto alla meno grave ipotesi della lesione volontaria, si deve avere riguardo, oltre che alla diversa potenzialità dell’azione lesiva, al diverso atteggiamento psicologico dell’agente. Se nel secondo reato la carica offensiva dell’azione si esaurisce nell’evento prodotto, nel primo vi è un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente (tra le altre, Sez. 1, n. 1950 del 20/05/1987, dep. 15/02/1988, Incamicia, Rv. 177610; Sez. 1, n. 35174 del 23/06/2009, dep. 11/09/2009, M., Rv.

245204; Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, dep. 20/10/2010, Bisotti, Rv. 248550).

2.2.1. Si rileva, infine, che l’ipotesi del recesso attivo, disciplinato dall’art. 56 c.p., comma 4, detto anche, più impropriamente, pentimento operoso, ricorre quando il soggetto, avendo esaurito la condotta tipica, agisce per impedire l’evento e riesce, effettivamente, a impedirlo (Sez. 1, n. 42749 del 02/10/2007, dep. 20/11/2007, Pepini, Rv. 238112; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, dep. 21/10/ 2008, Di Salvo, Rv. 241340; Sez. 6, n. 32830 de 09/04/2009, dep. 12/08/2009, Nord, Rv. 244602), differenziandosi in tal modo, sotto il profilo oggettivo, dalla desistenza ( art. 56 c.p., comma 3), che si ha quando l’agente si arresta nella fase del "tentativo incompiuto", prima di avere posto in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento.

2.3. Esaminata alla luce di questi principi, che il Collegio condivide, la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure mosse dal ricorrente.

La valutazione organica delle risultanze processuali, che si assume illogica e contraddittoria, è stata compiutamente condotta dalla Corte d’appello secondo un iter logico che, sviluppatosi in stretta ed essenziale correlazione con lo sviluppo decisionale la sentenza di primo grado, ha chiaramente argomentato all’esito di un’analisi completa degli elementi probatori, i singoli momenti dell’articolata formazione della prova, illustrando e coerentemente giustificando i dati fattuali acquisiti.

2.4. La Corte di merito, infatti, che ha ampiamente riportato in sentenza le dichiarazioni rese nel corso dell’incidente probatorio dalla parte offesa, ha sottoposto a specifica e articolata analisi valutativa l’attendibilità della medesima e delle sue dichiarazioni, condividendo la prudenza espressa dal primo Giudice nelle valutazioni da compiersi, in rapporto al contesto della vicenda e alla personalità dei suoi protagonisti, e sviluppando, rispetto alla sentenza di primo grado, le valutazioni critiche alla luce delle deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi di appello, cui ha dato adeguata risposta, in coerente correlazione con le ulteriori risultanze istruttorie, che hanno supportato e riscontrato nella loro valenza probatoria le predette dichiarazioni.

La valutazione congrua e ragionevole della Corte non ha sottovalutato le deduzioni difensive in merito alla personalità della parte offesa e ai sentimenti di rancore dalla stessa nutriti verso la S., nè il rammarico e la propensione benevola verso la parte offesa espressa da quest’ultima, ma ha tratto dalla coerente lettura degli atti processuali, e in particolare del contenuto delle conversazioni intercettate del 12 settembre e 6 ottobre 2007, gli sviluppi e le ragioni di detta condotta, omessi dalla ricorrente e rappresentativi dei sentimenti di rancore della medesima nei confronti della parte offesa, di rammarico delle dichiarazioni a proprio carico rese nella immediatezza dei fatti, di consapevolezza delle possibili dichiarazioni della parte offesa a suo carico e di tentativo di condizionamento e persuasione della medesima nelle sue dichiarazioni.

2.5. Nè sulla congruità e logicità del ragionamento probatorio, ulteriormente supportato dai puntuali richiami agli ulteriori elementi acquisiti, non contestati dalla ricorrente quanto alla loro valenza probatoria, incide, come assunto dalla ricorrente, l’esclusione, ritenuta dal Giudice d’appello, dell’aggravante del mezzo insidioso, integrata dal lancio dell’acido muriatico.

Tale esclusione non è stata determinata, come emerge dalle univoche argomentazioni della sentenza, dalla sussistenza di dubbi in merito alla circostanza del lancio dell’acido muriatico, emersa sulla base di univoci e concordanti elementi, non contestati, ma dal suo atteggiarsi come modalità dell’azione delittuosa senza incidenza causale diretta sulla verificazione dell’evento, conseguente al concorso di plurimi e convergenti elementi, congruamente valutati, tra i quali il gesto del lancio dell’acido sul volto della vittima si è atteggiato come dimostrativo della condivisione da parte dell’imputata delle intenzioni degli aggressori materiali.

Si tratta di una valutazione corretta e coerente con la lettera e la ratio della previsione normativa della figura del tentativo, che richiede che la valutazione circa l’idoneità del mezzo utilizzato sia ancorata a una valutazione prognostica con giudizio ex ante, secondo i criteri che presiedono alla configurabilità del delitto tentato, della potenzialità lesiva del mezzo per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, e non all’analisi delle conseguenze che ex post hanno ostacolato la realizzazione dell’evento.

2.6. Nè è dato comprendere l’incidenza negativa sulle conclusioni, in punto responsabilità, della sentenza impugnata della concessa attenuante di cui all’art. 56 c.p., comma 4.

Tale concessione ha fatto seguito al compiuto esame della sussistenza in concreto in capo ad entrambi gli imputati in concorso degli elementi del tentato omicidio, con una valutazione sinergica dei rispettivi apporti giudicati in termini di univocità e non equivocità, essendosi ritenuto che la stessa, successivamente al compimento dell’azione delittuosa, ha impedito con la sua condotta il verificarsi dell’evento morte e tale condotta postuma, consistita nel sollecitare l’intervento del fratello, e quindi dei soccorsi, e intervenuta dopo il decorso di ampio margine di tempo dall’aggressione della persona offesa e della sua segregazione all’interno della casa, ha evitato "l’evoluzione del quadro clinico verso un esito infausto", rilevato dal consulente medico, e non l’annientamento della condotta pregressa, in coerenza con i suindicati principi di diritto.

Nè le deduzioni della ricorrente, quanto ai reati di tentato omicidio e di sequestro di persona, vanno oltre la descrizione astratta del significato della idoneità e non equivocità, quanto al primo, e la negazione della privazione della libertà personale della persona offesa, quanto alla seconda, sfociando nella inammissibilità per la loro aspecificità e per la mancanza di correlazione con le ragioni argomentate della sentenza, che proprio sulle affermate cure e attenzioni della parte offesa da parte della ricorrente si è ampiamente soffermata.

3. Del tutto infondato è il secondo motivo attinente al trattamento sanzionatorio, attesa la genericità dell’affermazione della eccessività della pena e della insufficienza e contraddittorietà della motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte congruamente motivato le ragioni della quantificazione della pena, in rapporto alla gravita dei fatti commessi e alle cruente modalità delibazione, e confermato per le stesse ragioni le già concesse circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con le contestate aggravanti, senza che tale giudizio sia stato oggetto di censura con i motivi di appello.

4. Destituito di fondamento è anche il ricorso proposto da E.M. B.H.E.K..

5. Il primo motivo attiene all’iter argomentativo della decisione impugnata, che si assume mancante, contraddittorio e manifestamente illogico in relazione alle risultanze dello stesso testo della decisione e ai dati processuali documentali, non valutati nè esaminati, con conseguente travisamento della prova.

5.1. Richiamati i principi di diritto sub 2.1., 2.1.1. e 2.1.2., pertinenti anche alle doglianze del ricorrente, deve rilevarsi che la specifica motivazione della sentenza impugnata, strettamente correlandosi con quella di primo grado e coerentemente esaminando le censure difensive, ha analizzato, in modo logico ed esaustivo, le risultanze processuali con riguardo ai tre momenti presi in considerazione dal ricorrente in questa sede, e relativi al ruolo partecipativo attribuito al medesimo, al reato di tentato omicidio e a quello di sequestro di persona.

La Corte, che, nella valutazione della attendibilità della parte offesa e delle sue dichiarazioni, ha proceduto con la prudenza imposta, e già segnalata e seguita dal primo Giudice, dal contesto della vicenda e dalla personalità dei suoi protagonisti, rendendo conto dei singoli momenti del percorso argomentativo seguito, ha giudicato logiche e coerenti le dette dichiarazioni, ampiamente riportate in sentenza e analizzate, quanto allo svolgimento dei fatti e alla presenza e al ruolo del ricorrente, anche in rapporto agli elementi di riscontro e di supporto, individuati nelle risultanze processuali specificatamente richiamate e illustrate anche in rapporto alla posizione del ricorrente e alle sue deduzioni critiche.

Si tratta di motivazione congrua e ragionevole che, fondandosi su dati coerenti con le risultanze processuali, esprime l’esercizio dell’attività valutativa demandata al giudice di merito.

5.2. In tale contesto è infondata la riproposizione delle deduzioni in merito alla diversità delle versioni date sullo svolgimento dei fatti, alla inverosimiglianza del ruolo partecipativo del ricorrente, al suo allontanamento dai luoghi alla fine della colluttazione e al suo intervento quale pacificatore nella vicenda, già valutate dalla Corte di merito con riferimento alla ricostruzione in fatto della vicenda, alla verifica delle convergenze e divergenze del contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputata S., dalla teste Ca. e dall’imputato di reato connesso Se.Ch., agli esiti degli accertamenti investigativi sui luoghi dell’aggressione e medici sulle ferite riportate dalla vittima e all’assenza di lesioni a carico del ricorrente.

Tale riproposizione argomentativa appare, infatti, chiaramente tesa a opporre una diversa lettura degli elementi probatori e un’alternativa, per il ricorrente più adeguata, interpretazione e valutazione delle risultanze processuali valorizzate dai giudici di merito, senza che il dissenso di merito possa essere idoneo a trasformare questa Corte in ulteriore giudice del fatto.

5.3. La Corte d’appello, conformemente ai principi di diritto affermati da questa Corte, riportati sub 2.2., ha dato anche esaustivo conto della qualificazione del fatto quale tentato omicidio, con le considerazioni esposte in relazione alle modalità e alla dinamica dell’aggressione, alle parti del corpo colpite, alle lesioni e all’esito infausto del quadro clinico evitato per l’approntamento delle cure e terapie infusionali e farmacologiche adatte alle patologie riscontrate, reso possibile dal prestato soccorso, evidenziate dalla consulenza tecnica; con la ricostruzione delle condotte tenute dagli appellanti e dai correi, valutate come "segmenti di condotta", connesse e conseguenti secondo una sequenza preordinata, e con il riferimento alla segregazione protratta per oltre dieci ore della vittima, lasciata in gravi condizioni, senza soccorso.

In logica aderenza alle risultanze emerse, la Corte ha, altresì, ritenuto sussistenti gli estremi del sequestro di persona per l’intervenuta cosciente e dolosa segregazione della vittima contro la sua volontà, gravemente ferita e priva di forze, per un tempo giuridicamente apprezzabile all’interno dell’abitazione chiusa dall’esterno con un lucchetto, e ha ritenuto che tale reato abbia rappresentato la protrazione della condotta nella quale si è sostanziato l’intero agguato perpetrato dagli imputati in danno della vittima, in esecuzione del disegno criminoso parzialmente realizzato, a partire dal convincimento della vittima ad andare in casa del Se., posto in essere dal ricorrente, proseguito nella feroce aggressione e sfociato nella segregazione della vittima, in attesa cha avvenisse la morte.

L’intrinseca razionalità di tale motivazione, che si ricollega alla esatta interpretazione e alla corretta applicazione delle norme incriminatrici, resiste alle cesure mosse dal ricorrente che, mentre non oppone alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato, sviluppa i rilievi, le deduzioni e le doglianze, al di là della prospettazione formale come visi della motivazione, nell’ambito inammissibile delle censure di merito.

6. E’ infondato, da ultimo, il secondo motivo che attiene al trattamento sanzionatone non sussistendo alcuna violazione di legge nella determinazione della entità della pena e della conferma del giudizio di equivalenza tra le concesse attenuanti generiche e le circostanze aggravanti, congruamente motivate in relazione alla gravita dei fatti e alle modalità cruente dell’azione, tali da connotare di intensa efferatezza la condotta.

7. I ricorsi devono essere, pertanto, rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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