Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 15-09-2011) 26-09-2011, n. 34748 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 31.5.2011 il Tribunale di Catanzaro, costituito ex art. 309 c.p.p., confermava il provvedimento emesso dal Gip dello stesso tribunale, in data 17.5.2011, con il quale veniva applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di S. D. in relazione al reato di concorso in tentata estorsione, aggravata anche ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, in danno di M.G.L..

2. Ad avviso del tribunale gli indizi a carico dello S. potevano essere tratti dalle dichiarazioni del M., amministratore della società Brulli Energia s.r.l. che si occupava dei lavori per la realizzazione del parco eolico di (OMISSIS), il quale nel 2009 segnalava ai Carabinieri – prima informalmente e successivamente rendendo sommarie informazioni – di essere stato avvicinato dall’indagato, che era titolare di un’impresa di movimento terra che lavorava per la suddetta società, per avere un incontro chiesto da non meglio identificate persone di (OMISSIS); in occasione di una seconda richiesta per l’incontro lo S. gli aveva detto che le persone volevano somme di danaro per consentire all’impresa di lavorare in tranquillità nel cantiere di Girifalco, alludendo anche a possibili azioni ritorsive. Quando si recò all’incontro accompagnato dall’indagato – che si tenne in un terreno di questi – parlò con tale G. che avanzò le richieste estorsive, mentre lo S. e l’altra persona presente restarono In disparte. Successivamente l’indagato aveva chiesto più volte di conoscere la risposta alle richieste; quindi, nel giugno successivo aveva comunicato che la società non avrebbe pagato.

Ad avviso del tribunale, doveva ritenersi evidente che l’indagato era consapevole della ragione dell’incontro che si era impegnato ad organizzare, avendo, altresì, chiesto al M. insistentemente la risposta alla richiesta che era stata fatta dal B.. Anche le modalità dell’incontro rendevano poco credibile la versione dello S. di aver pensato ad un appuntamento finalizzato ad affari leciti.

Il tribunale riteneva configurabile l’aggravante contestata di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, sulla base delle suddette circostanze ed in specie del significato esplicito della richiesta fatta "per aiutare il territorio"; il B., poi ucciso in un agguato di mafia, annoverava precedenti per reati associativi.

Quanto alle esigenze cautelari, le concrete modalità del fatto e la oggettiva gravità sono espressione di pericolosità, nonostante le deduzioni difensive. Riteneva, allo stato e nella immediatezza dell’applicazione, l’idoneità della misura più grave, anche tenuto conto del disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3. 2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite i difensori di fiducia, lo S. con due distinti atti.

Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, con riferimento all’art. 273 c.p.p., non essendo emersi dagli atti di indagine elementi idonei a configurare i gravi indizi a carico del ricorrente in ordine al reato In contestazione, atteso che questi si è limitato ad organizzare l’incontro tra il M. ed il B.; irrilevante è la presenza all’incontro come le telefonate alla persona che accompagnava il B.; il ricorrente non aveva contezza della conversazione posto che era stato in disparte durante l’incontro.

Alla luce di quanto emerso in atti, non è configurabile, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, il concorso nel reato di tentata estorsione.

Si contesta, altresì, l’utilizzabilità delle dichiarazioni del M. rese informalmente ai Carabinieri è da questi annotate e solo a distanza di tempo trasfuse nel verbale di sommarie informazioni testimoniali.

Il terzo motivo di censura per violazione di legge e vizio di motivazione l’Impugnata ordinanza avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, attesa la portata neutra degli argomenti posti a fondamento della motivazione.

Infine, deduce il vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari; tenuto conto dell’incensuratezza del ricorrente e dell’epoca del fatto, il tribunale non si è attenuto ai criteri di valutazione dell’attualità e concretezza della pericolosità.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Invero, il tribunale ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria, contrariamente alla prospettazione secondo la quale il ricorrente aveva partecipato in assoluta buona fede all’organizzazione dell’incontro, sulla base di valutazioni ancorate alle emergenze del procedimento. In particolare, ha evidenziato che lo S. non fungeva da mero procacciatore dell’appuntamento, ignaro del motivo e del contenuto, bensì, esplicitava al M. che si trattava di incontrare persone di certo tipo. Aveva, altresì, chiesto al M. insistentemente la risposta alla richiesta che era stata fatta dal B. e, benchè, avesse detto al M. che voleva restare estraneo alla vicenda il suo comportamento non era coerente con tale manifestata intenzione.

Doveva, quindi, ritenersi evidente il consapevole contributo dello S. alla condotta illecita ad onta dell’argomentazione difensiva che il ricorrente sin dal 2002 aveva effettuato lavori per conto della ditta amministrata dal M..

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità dello S. in ordine al reato contestato.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p.. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

Infondata, oltre che generica, è la contestazione in ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal M. informalmente ai Carabinieri e contenute in annotazioni di servizio, atteso che sono state trasfuse con integrazioni nel verbale di sommarie informazioni testimoniali.

Le censure relative alla valutazione sulla sussistenza dell’aggravante contestata di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, si sostanziano in valutazioni di mero fatto sulle quali pure il tribunale ha argomentato in maniera coerente e logica, facendo corretta applicazione dei principi di diritto. Tutt’altro che neutra può considerarsi la circostanza evidenziata dal tribunale che la richiesta di danaro era stata fatta "per aiutare il territorio", nè quelle che il B., poi ucciso in un agguato di mafia, fosse soggetto gravato da numerosi precedenti penali anche per reati associativi.

L’aggravante dell’uso del metodo mafioso richiede una condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale della specie considerata. Non è necessario che l’associazione mafiosa, costituente il logico presupposto della più grave condotta dell’agente, sia in concreto precisamente delineata come entità ontologicamente presente nella realtà fenomenica; essa può essere anche semplicemente presumibile, nel senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per sè tale da evocare nel soggetto passivo l’esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso.

Ugualmente deve dirsi per quel che riguarda le contestazioni relative alla valutazione delle esigenze cautelari atteso che, premesso quanto previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 3, il tribunale ha valutato le concrete modalità della condotta e la oggettiva gravità del fatto, mettendo in evidenza che lo S. si era messo a disposizione di soggetti appartenei alla criminalità locale, espressione di pericolosità sociale, ad onta dell’incensuratezza.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *