Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-02-2012, n. 1621 Liquidazione e valutazione equitativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione ritualmente notificata, O.A. conveniva in giudizio F.S. e le Assicurazioni Generali Spa per sentirli condannare al risarcimento dei danni, in suo favore, a seguito di un incidente stradale verificatosi il (OMISSIS) in territorio di (OMISSIS). In esito al giudizio, in cui si costituiva la compagnia assicuratrice, il Giudice di pace di Nardò accoglieva la domanda attrice condannando i convenuti al pagamento in solido della somma di Euro 10.738,82. Avverso tale decisione proponevano appello entrambi gli originari convenuti ed in esito al giudizio, il Tribunale di Lecce con sentenza ex art. 281 sexies, depositata in data 23 giugno 2010 in riforma dell’impugnata decisione condannava gli appellanti al pagamento della minor somma di Euro 3.914,64, oltre la metà delle spese dei due gradi di giudizio, nonchè l’ O. al rimborso di quanto maggiormente percepito in esecuzione della sentenza di primo grado. Avverso la detta sentenza l’ O. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi e svariati sub-motivi.

Motivi della decisione

Il ricorrente ha proposto le seguenti doglianze: 1) violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, essendo la sentenza impugnata affetta da nullità assoluta in quanto non farebbe "alcun cenno alle ragioni di fatto e di diritto quanto meno del giudizio di primo grado". 2) violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto l’omessa esposizione riguarderebbe anche le ragioni di fatto e di diritto relative all’appello.

3) omessa pronuncia su tutte le eccezioni e le questioni pregiudiziali sollevate dall’appellato nel giudizio di secondo grado, riguardanti in particolare il difetto di procura alle liti in favore degli avv.ti Brudaglio Alberto ed Enzo, la decadenza del F. e delle Assicurazioni Generali da ogni richiesta istruttoria formulata con l’appello e non più riproposta, la nullità dell’ordinanza ammissiva della p.t. di P.L., la sua incapacità a testimoniare e l’istanza di revoca dell’ordinanza, la nullità della prova delegata concernente la suddetta teste per decadenza nonchè per vizi in procedendo, l’inattendibilità della prova per testi della stessa P..

4) omessa, contraddittoria motivazione della sentenza sia sull’an che sul quantum debeatur, erronea ed insufficiente motivazione in ordine alla disposta riduzione del quantum, vizio di ultra od extra petita insorto nella liquidazione delle spese legali.

Quanto alle prime due censure, da trattarsi congiuntamente per l’evidente connessione che le unisce, va osservato che sono entrambe infondate. Come ha già avuto modo di statuire questa Corte, la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., quale è la sentenza di appello impugnata, non è atto (documento) distinto dal verbale di causa che la contiene e nel quale il giudice inserisce la redazione del dispositivo e dei motivi della decisione, come si ricava, in particolare, dall’art. 35 disp. att. c.p.c., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 51 del 1998, art. 117 (secondo cui nella raccolta dei provvedimenti originali vanno inserite, appunto, "le copie dei verbali contenenti le sentenze pronunciate a norma dell’art. 281 sexies"), e consiste non soltanto di quella parte del verbale di causa che contiene dispositivo e motivazione, ma anche di tutte le altre indicazioni necessarie (ai sensi dell’art. 132 cod. proc. civ.) che siano riportate nelle restanti parti del verbale stesso, anche relative a precedenti udienze: indicazioni delle quali non avrebbe senso imporre al giudice la riproduzione, perchè ciò contrasterebbe con le esigenze di semplificazione ed accelerazione alla base delle riforme processuali degli anni 90. (Cass. n. 118/2004, n. 22409/06).

Ne deriva che deve essere esclusa la nullità della sentenza, in caso di difetto di indicazione di alcuno degli elementi di cui all’art. 132 c.p.c., riguardanti il Giudice e le parti, le eventuali conclusioni del pubblico ministero e delle parti, nonchè la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, perchè, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il contenuto della sentenza va ricostruito sulla scorta di tutti i verbali di causa, compreso il verbale dell’udienza di discussione, sottoscritti dal giudice stesso.

Passando all’esame della terza doglianza, va osservato che la censura, in tutti i suoi molteplici profili, deve essere ritenuta inammissibile per un duplice ordine di considerazioni.

Ed invero, in primo luogo, va rilevato che nè il motivo di omessa pronuncia sulle eccezioni e sulle questioni, che sarebbero state proposte nel giudizio di appello, nè tanto meno alcuno dei numerosi sub-motivi formulati contiene l’indicazione delle norme di diritto sostanziali o processuali che sarebbero state violate e l’indicazione della categoria logico-giuridica del vizio deducibile in questa sede a norma dell’art. 360 c.p.c.. E ciò, malgrado che il giudizio di cassazione sia un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, con la conseguenza che il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura. Ed è appena il caso di sottolineare che, come ha già avuto modo di statuire questa Corte, "la tassatività e specificità del motivo di censura esige, dunque, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito". (Cass. 10667/08).

In secondo luogo, l’inammissibilità deriva dal rilievo che con riferimento a nessuna delle numerose ragioni di doglianza il ricorrente ha assolto l’onere di autosufficienza dei ricorsi per cassazione. Ed invero, affinchè possa utilmente dedursi, in sede di legittimità, il vizio di omessa pronuncia è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o una eccezione autonomamente apprezzabili, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nel quale le une o le altre sono state proposte, onde consentire al giudice – per il principio dell’autosufficienza – di verificarne in primo luogo la ritualità e tempestività e in secondo luogo la decisività.

Infatti, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c., un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminarè direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli. (Cass. 10593/08).

Giova aggiungere, peraltro, che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Quanto alla sub-doglianza attinente la pretesa inattendibilità della teste P., va osservato che, in difetto di ulteriori elementi, nella specie solo alligati ma non provati, che ne inficino la credibilità, l’attendibilità di una teste non può essere aprioristicamente esclusa, per il solo fatto che sia coniuge di una delle parti. Del resto – e le considerazioni che seguono affrontano l’esame dell’ultimo motivo di impugnazione fondato sull’omessa contraddittoria motivazione della sentenza impugnata – il giudice di secondo grado non ha attribuito rilevanza decisiva alla deposizione della P., fondando la sua decisione essenzialmente sull’esame dei punti d’urto e dei danni riportati dalle autovetture nonchè sulle posizioni dei mezzi – non spostati – rilevate al momento del sopralluogo, quali risultavano dal rapporto redatto dai VVUU intervenuti sul posto e dalla allegata documentazione fotografica.

Dalla detta documentazione – così scrive il giudice di seconde cure – risultava che se la Ford del F. era rimasta, a seguito dell’impatto, abbondantemente nella propria corsia di marcia, la Fiat dell’ O. era venuta a posizionarsi per la maggior parte nella corsia opposta, in direzione contraria al proprio senso di marcia.

Ora, tali obiettive risultanze contrastavano con la tesi sostenuta dall’ O. in primo grado – il quale nell’interrogatorio del (OMISSIS) aveva affermato di essersi portato al centro della via percorsa e di essersi fermato per dare la precedenza ai veicoli provenienti dall’opposto senso dimarcia quando fu investito dalla Ford – in quanto, così conclude il giudice di merito – dall’analisi dei punti di impatto nonchè dalla rotazione su se stessa effettuata dalla Fiat si evinceva una dinamica contrastante con la tesi attorea e si doveva desumere un’immissione, in violazione dell’obbligo di precedenza, da parte dell’ O., ferma la pari responsabilità del F. a causa della velocità eccessiva inadeguata al contesto ambientale.

Tutto ciò premesso, risulta con chiara evidenza l’insussistenza del vizio motivazionale lamentato il quale può dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 29203/08, n. 9368/06, n. 2399/04). Occorre cioè che tra le considerazioni poste dal giudice a base della sua decisione sussista un’intrinseca conflittualità, tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. Al contrario, nel caso di specie, la lettura della sentenza consente di seguire con assoluta chiarezza il percorso argomentativo che ha portato il giudice di merito a concludere per il ritenuto concorso in pari misura dei due conducenti, avendo lo stesso argomentato adeguatamente con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione. Giova aggiungere inoltre che il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al Giudice di legittimità non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il Giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al Giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al Giudice di legittimità, (così Cass. n. 8808/08 in motivazione).

Considerazioni analoghe vanno rassegnate con riguardo alle successive sub-doglianze con cui il ricorrente ha lamentato vizio motivazionale sul quantum debeatur sia in ordine al danno biologico ed a quello morale sia in ordine al danno all’autovettura, osservando che le tabelle adottate riguardanti il danno biologico non sono vincolanti nè uniformi per tutto il territorio nazionale; che il giudice ha utilizzato tabelle relative al 2002 senza tener conto del fatto che il danno biologico si era verificato nel 1999 quando non esisteva alcuna tabella; che il danno morale è stato sottovalutato essendo stato rapportato a circa un quarto di quello biologico; che il giudice d’appello ha sbagliato a ridurre la somma per il danno all’auto ritenendo erroneamente che, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo, debba riconoscersi, a titolo di risarcimento per equivalente, la differenza tra il valore del veicolo prima del sinistro e l’importo necessario per la sua riparazione.

Ed invero, la motivazione adottata dal giudice di secondo grado ha rappresentato in modo assai lineare e coerente le ragioni poste a base della decisione, essendosi il giudice, nella valutazione del danno biologico, espressamente attenuto ai valori espressi nelle tabelle distrettuali, relative al 2002, aggiungendo alla somma ricavata di Euro 3.346,64 ulteriori Euro 850,00 al fine di personalizzare la liquidazione del danno biologico, secondo i criteri richiamati dal Tribunale di Milano nella sentenza sez. 5^ 19.2.2009.

Ora, le tabelle predisposte dal citato Tribunale costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa del danno ex art. 1226 cod. civ., ed a riguardo vale la pena di richiamare l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perchè esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono" (Cass. n. 12408/2011). Vale la pena di aggiungere che, come questa Corte già avuto modo di statuire, nulla vieta che il danno morale sia liquidato in proporzione al danno biologico (cfr.

Cass. n. 702/010).

Mette conto infine di sottolineare, con riferimento all’ultima delle sub-doglianze sopra riportate, che la scelta dei criteri di determinazione dei danni, l’apprezzamento e la quantificazione degli stessi attengono al libero convincimento del giudice e che la legge non conferisce, in alcun modo e sotto nessun aspetto, alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa e le valutazioni delle risultanze probatorie compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, – la considerazione merita di essere sottolineata – spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e la valutazione degli elementi di prova, traendone la relativa significazione. Ne deriva l’inammissibilità e nel medesimo tempo l’infondatezza della censura in esame.

Resta da esaminare l’ultimo dei sub-motivi, fondato sul preteso vizio di ultra o extra patita insorto nella liquidazione delle spese legali. Ed invero, premesso che la sentenza impugnata – così scrive il ricorrente – ha condannato il prof. O. alla restituzione di quanto maggiormente percepito in esecuzione della sentenza di primo grado con compensazione di quanto eventualmente ancora dovuto dall’ O. a seguito del giudizio conclusosi con sentenza n. 862/01 del giudice di pace di Lecce, tale capo della decisione sarebbe censurabile per due ragioni: 1) perchè la dimidiazione delle spese giudiziali liquidate all’ O. in primo grado sarebbe stata illegittima essendo maggiormente equo porre a carico del F. il maggior carico di spese per aver resistito in giudizio in malafede;

2) perchè negli atti di causa non si ravvisava alcuna domanda di parte, avente ad oggetto la compensazione in discorso, ed inoltre perchè "il residuo di tali spese legali fu dalle parti a suo tempo regolate in via stragiudiziale, per cui controparte nulla ha più a pretendere per la causale in questione".

Entrambi i profili di censura sono inammissibili per l’evidente difetto di coerenza logica tra il vizio denunciato, vale a dire il vizio di ultra od extra petizione – che postula la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato – e le argomentazioni volte a sorreggere del tutto la prima ragione di doglianza ed in parte la seconda, vale a dire l’illegittimità della dimidiazione in conseguenza della dedotta malafede del F., con riferimento al primo profilo, e la pretesa regolamentazione stragiudiziale delle spese che sarebbe intercorsa tra le parti, con riferimento al secondo profilo. Ed invero, entrambe le argomentazioni svolte sono del tutto estranee alla denunciata violazione del precetto di cui all’art. 112 c.p.c..

Altra ragione di preclusione dell’esame del secondo profilo di censura deriva inoltre dal rilievo che il ricorrente si è ben guardato dall’assolvere gli oneri prescritti rispettivamente dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., n. 4, provvedendo alla specifica indicazione, nel corpo del ricorso, e quindi depositando, insieme con il ricorso, il documento, attestante la regolamentazione stragiudiziale delle spese processuali, sul quale ha poi fondato il profilo di censura in esame.

Infine, il primo profilo di doglianza è altresì infondato in quanto, in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. n. 14023/02, n. 10052/06, n. 13660/04, n. 5386/03, n. 1428/93, n. 12963/07, n. 17351/2010 tra le tante), intendendosi per tale, cioè totalmente vittoriosa, la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, giacchè solo la parte totalmente vittoriosa, neppure in parte, può e deve sopportare le spese di causa. In tutti gli altri casi, non si configura la violazione del precetto di cui all’art. 91 cod. proc. Civ., in quanto la materia del governo delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, pertanto, esula dal sindacato di legittimità, salva la possibilità di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddittorie (profilo nella specie insussistente e neppure dedotto dal ricorrente).

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato, senza che occorra provvedere sulle spese in quanto la parte vittoriosa, non essendosi costituita, non ne ha sopportate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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