Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 15-09-2011) 26-09-2011, n. 34747 Misure alternative

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 17.5.2011 il Tribunale di sorveglianza di Venezia rigettava l’istanza presentata da T.R., volta all’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale.

In specie, il tribunale – premesso che l’istante sta espiando la pena residua (pari ad anni due, mesi undici e gg. quattordici di reclusione) per la condanna relativa alla illecita detenzione di ingenti quantitativi di stupefacenti ed al reato di evasione, commessi tra il (OMISSIS) – riteneva insussistenti i presupposti per la concessione della invocata misura alternativa, nonostante la riconosciuta collaborazione fornita nel giudizio penale e la mancanza di procedimenti pendenti. Evidenziava, a tale fine: le informazioni degli organi di polizia che affermano il pericolo attuale di collegamenti con soggetti dediti al commercio di stupefacenti; la necessità, rappresentata dall’equipe del trattamento, che il condannato prosegua l’attività trattamentaie intramuraria per affrontare rilevanti problematiche familiari rilevate anche da circostanze riferite dalla convivente in ordine a condotte violente; la condanna per il reato di evasione commesso dal T. nel 2009, quando era detenuto agli arresti domiciliari.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il T., personalmente, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione.

Lamenta, in primo luogo, l’utilizzazione delle dichiarazioni provenienti dalla ex convivente, soggetto estraneo alla procedura, ed assume che il tribunale ha interpretato erroneamente il tenore delle lettere inviate dal ricorrente alla ex convivente e non ha tenuto conto che l’episodio violento è risalente al (OMISSIS) quando si trovava agli arresti domiciliari.

Infine, il ricorrente si duole del ridimensionamento operato dal tribunale della collaborazione formalmente riconosciuta e della valutazione di un’affermazione meramente assertiva della polizia in ordine al collegamento con soggetti dediti al commercio di stupefacenti.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

La concessione delle misure alternative alla detenzione implica un giudizio prognostico attinente alla rieducazione, al recupero e al reinserfmento sociale del condannato e alla prevenzione del pericolo di reiterazione di reati.

Tenuto conto dell’effettiva ed ampia portata precettiva della funzione rieducativa della pena, la concedibilità o meno delle misure alternative alla detenzione postula la valutazione, in concreto, delle specifiche condizioni che connotano la posizione individuale del singolo condannato e delle diverse opportunità offerte da ciascuna misura secondo il criterio della progressività trattamentale. Detta valutazione deve, all’evidenza, essere rappresentata nella motivazione del provvedimento connotata dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità sui quali può intervenire il sindacato di legittimità.

Osserva il Collegio che dal tessuto motivazionale dell’ordinanza impugnata si evincono in maniera completa e coerente le argomentazioni logico-giuridiche che il tribunale di sorveglianza ha posto a fondamento del diniego della misura alternativa richiesta, sottolineando, in particolare, la necessità della prosecuzione del trattamento intramurario sulla base di alcuni elementi di criticità degli esiti attuali del trattamento con specifico riferimento alle problematiche familiari emerse dagli atti del procedimento. Peraltro, il tribunale ha anche richiamato la condanna per il reato di evasione commesso quando il ricorrente, nel 2009, era ristretto agli arresti domiciliari. Va ricordato, invero, che l’attualità della pericolosità non può non essere considerata anche in rapporto all’intensità ed al grado della stessa.

Quanto alla utilizzazione di dichiarazioni fatte dalla ex convivente del condannato, deve rilevarsi che il giudice può utilizzare qualsiasi elemento concreto ed oggettivamente valutabile ai fini del giudizio sulla concedibilità o meno della misura alternativa richiesta, fatto salvo quelli acquisiti illegalmente.

A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente si riducono a censure di mero fatto riservate al giudice di merito.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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