Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 15-09-2011) 26-09-2011, n. 34746 Affidamento in prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 3.5.2011 il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila dichiarava inammissibile l’istanza presentata da C. F., volta all’ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale.

In specie, il tribunale – premesso che l’istante sta espiando la pena di anni otto di reclusione per la condanna relativa a reati indicati all’art. 4 bis, comma 1, Ord. Pen. – riteneva la mancanza dei presupposti per l’ammissione alla misura alternativa in mancanza delle condizioni di cui al comma 1 bis della citata norma, atteso che, pur potendosi affermare la sussistenza delle condizioni della c.d. collaborazione inesigibile, non vi sono elementi – alla luce delle acquisizioni istruttorie – tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il C., a mezzo del difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 4 bis Ord. pen..

Lamenta, in primo luogo, che il tribunale, pur avendo valutato positivamente la inesigibilità della collaborazione, afferma la mancanza della prova di assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ritenendo trattarsi di un ulteriore presupposto per l’ammissibilità dell’istanza. Ad avviso del ricorrente, la prova della inesigibilità della collaborazione è idonea per facta concludentia a dimostrare l’intervenuta rescissione dei collegamenti con la criminalità.

Contesta, peraltro, che il tribunale non ha operato una valutazione sulle attuali condotte del C. non tenendo conto dell’epoca risalente delle condotte illecite (al 2003) e della lunga ed ininterrotta detenzione, valorizzando circostanze indipendenti dalla sua volontà come l’attuale esistenza del sodalizio camorrista e che lo zio del condannato riveste un ruolo apicale nell’associazione ed è latitante da molti anni. Così che il tribunale = richiede una prova diabolica con conseguente violazione del diritto di difesa.

Con memoria difensiva in data 6.9.2011 il ricorrente ribadisce le censure di violazione di legge e vizio di motivazione avendo il tribunale ritenuto necessario ai fini dell’ammissibilità dell’istanza in oggetto un requisito ulteriore non previsto dall’art. 4 bis Ord. Pen..

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

A norma del comma 1 b) dell’art. 4 bis Ord. Pen. I benefici penitenziari possono essere concessi anche con riferimento ai delitti ostativi previsti al comma 1, qualora il condannato non abbia prestato collaborazione per l’impossibilità determinata dal non avere egli potuto acquisire, per il ruolo marginale svolto, conoscenze utili riversagli nell’investigazione ovvero per l’avvenuto totale accertamento dei fatti oggetto dei reati alla commissione dei quali seguì la condanna (c.d. ipotesi della collaborazione "irrilevante" o "impossibile"). In tali casi la norma citata espressamente richiede, altresì, che siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che ben possono essere riconducigli ad elementi incompatibili con la permanenza di collegamenti, quali, appunto lo scioglimento del sodalizio. Detto accertamento, come ha evidenziato il tribunale, è distinto – stante la diversa lettera della previsione – da quello richiesto nelle diverse ipotesi di condannati per i reati indicati al medesimo art. 4 bis, comma 1 ter.

Nell’ordinanza impugnata correttamente è stato affermato che tra i parametri di valutazione del presupposto richiesto nel caso in esame possono considerarsi il profilo criminale del soggetto, i risultati del trattamento penitenziario, la posizione all’interno del sodalizio, l’attuale operatività dello stesso.

Quindi, il tribunale, tenuto conto degli elementi di valutazione prospettati dal ricorrente, ha, tuttavia, sottolineato: l’attuale piena attività del clan dei Casatesi; la vasta operatività anche territoriale del sodalizio; la circostanza che lo zio del condannato, Z.M. con il quale il C. ha operato in diretta collaborazione, leader del gruppo, è latitante da tempo; la condotta criminale del C. che si è svolta per un consistente arco temporale e non era limitata, nonostante la giovane età ad un ruolo meramente servente; l’attività di osservazione nel corso della detenzione che non evidenzia elementi significativi di una sincera ed effettiva rivisitazione critica dei trascorsi criminali, come emerge dalle relazione di sintesi in atti.

A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente non possono che ritenersi sotto tutti i profili manifestamente infondate.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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