Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 15-09-2011) 26-09-2011, n. 34745

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 7.4.2009 la Corte di assise di Napoli dichiarava H.F. colpevole del reato di rapina aggravata di autovettura in concorso, in danno di C.P. e O. L., e dell’omicidio volontario in concorso di C.P., commessi il (OMISSIS), e lo condannava con la continuazione alla pena dell’ergastolo, oltre pene accessorie ed il risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.

2. Il 14.7.2010 la Corte d’assise d’appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava colpevole l’imputato del reato di rapina aggravata e del reato di omicidio preterintenzionale, ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2, con la continuazione determinava la pena in anni ventidue e mesi sei di reclusione.

3. Per quel che qui rileva, La Corte di appello, escluso sulla base della ricostruzione operata il dolo anche indiretto dell’omicidio, afferma la sussistenza del dolo della preterintenzione. Premessa la distinzione tra la fattispecie prevista dall’art. 584 c.p., e quella di cui all’art. 586 c.p., il giudice di secondo grado ha affermato che la ricostruzione del fatto per come in premessa operata consentisse di affermare la sussistenza del dolo delle lesioni in capo all’investitore, quanto meno nella forma del dolo eventuale.

Così che, anche in questo caso, dovere ritenersi configurabile la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale e non quella di cui all’art. 586 c.p. invocata dall’imputato.

4. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del delitto di omicidio preterintenzionale in luogo di quello previsto e punito dall’art. 586 c.p..

Ad avviso del ricorrente, la Corte di secondo grado anche sulla base dei rilievi tecnici aveva accolto sostanzialmente l’impostazione difensiva avuto riguardo alla ricostruzione del fatto, riconoscendo che la condotta dell’imputato era finalizzata esclusivamente a garantirsi l’impunità e che questi fosse inconsapevole delle conseguenze della manovra effettuata. Quindi, una tipica fattispecie colposa, sia pure in conseguenza del diverso delitto doloso di rapina. Pertanto, deve ritenersi apodittico e contraddittorio il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, laddove afferma che l’imputato agì consapevole di produrre alla donna le lesioni che, quindi, volle. L’investimento conseguente al repentino allontanamento del rapinatore dal luogo del delitto era stato conseguenza di un’imprudenza o negligenza, non era certamente derivato dalla volontà di ledere o percuotere la vittima, con conseguente mancanza del dolo di premeditazione/inteso come volontà lesiva da parte dell’agente. Pur dando atto di un diverso indirizzo giurisprudenziale, il ricorrente afferma che le percosse e le lesioni, presupposto per l’applicazione della disposizione di cui all’art. 584 c.p., devono essere il frutto di dolo diretto e non di dolo eventuale.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, ritenendo ingiustificata la severità del trattamento sanzionatorio.

Motivi della decisione

1. E’ infondato il primo motivo di ricorso.

Ritiene il Collegio che la ricostruzione operata dalla Corte di secondo grado sia ancorata alle circostanze di fatto emerse dal processo e che la valutazione in ordine alla configurabilità nella fattispecie del dolo della premeditazione sia conforme ai principi affermati da questa Corte.

Come evidenzia la sentenza impugnata, "il punto di rilevanza ermeneutica sull’elemento volitivo riguarda la configurabilità nella condotta investitrice dell’agente dell’elemento soggettivo del reato di omicidio nella forma del dolo eventuale, ovvero di quello preterintenzionale, dovendosi accertare, sulla base dei descritti comportamenti e delle indicate circostanze, se l’agente agì con dolo indiretto, accettando il rischio di investire la donna con esito mortale, ovvero se il suo intento fu limitato ad una volontà dolosa di tipo lesivo, dalla quale sì produsse, oltre la propria intenzione, la morte della donna, con conseguente configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 584 c.p.".

Nel ricostruire l’investimento la Corte rilevava che la tesi della figlia della vittima – secondo la quale la sagoma della donna era chiaramente visibile o percepibile dall’investitore – è frutto di mere deduzioni; invece, i rilievi tecnici dimostrano che la posizione della vittima era effettivamente laterale, defilata, quasi di traverso rispetto alla parte posteriore sinistra del veicolo. La rottura del paraurti posteriore sinistro del veicolo e le lesioni traumatiche patite all’altezza del ginocchio sinistro in conseguenza dell’impatto confermano che l’urto avvenne con la donna in posizione angolata piuttosto che centrale. La visibilità limitata della sagoma da parte dell’investitore trova conferma nella circostanza che la visuale era ostacolata, altresì, dai poggiatesta posteriori, nonchè dalla stessa posizione di guida del conducente seduto su una poltrona di guida tenuta in posizione molto bassa ed arretrata, come indicato dalla Odierno. Inoltre, ad avviso dei giudici di secondo grado, la volontà omicidiaria diretta era esclusa dal comportamento minaccioso antecedente dell’investitore che aveva effettuato sgommate, brusche partenze e frenate, funzionali ad indurre le due donne a desistere da ogni resistenza.

Escludendo, quindi, la sussistenza del dolo di omicidio anche nella forma di dolo eventuale, la Corte affermava che restavano dimostrati nella fattispecie l’esistenza di un atto tendente a ledere o percuotere, accompagnato dalla volontà lesiva dell’investitore, ed, altresì, l’esistenza del nesso causale tra detta condotta e la morte. "Ciò in quanto, se da un lato egli non potè che percepire la presenza e la vicinanza della C. al momento in cui ebbe ad intraprendere la retromarcia (sentendone sicuramente la voce ed il rumore dei colpi sul lunotto posteriore), non ebbe a riconoscerne chiaramente la presenza della sagoma perchè la donna si trovava in posizione defilata e coperta alla sua visuale. Partendo in retromarcia ebbe a prevedere la possibilità di colpire la C. e pose in essere un atto diretto a ledere… Sul piano soggettivo agì consapevole di produrre, urtando la donna con l’autovettura, lesioni che volle (a titolo di dolo diretto, ma anche se fosse eventuale il dolo la soluzione non muterebbe)…".

Detta conclusione in ordine all’elemento psicologico del reato di lesioni personali risulta, quindi, ancorata alla ricostruzione del fatto indicata dalla Corte di appello – che il ricorrente non contesta – ed immune dalle censure di contradaittorietà ed illogicità.

Quanto alla dedotta necessità ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 584 c.p. che il delitto presupposto di percosse o lesioni sia caratterizzato da dolo diretto, deve ribadirsi l’interpretazione – che questo Collegio condivide – secondo la quale il delitto di omicidio preterintenzionale ricorre anche quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dall’art. 581 c.p., e art. 582 c.p., dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti in essere con dolo eventuale (Sez. 1, n. 40202, 13/10/2010, Gesuita, rv. 248438; Sez. 5, n. 4237, 11/12/2008, De Nunzio, rv. 242965; Sez. 5, n. 44751, 12/11/2008, Sorrentino, rv. 242224).

2. Manifestamente infondato è il ricorso quanto alle censure in ordine alla determinazione della pena.

E’ vero, infatti, che quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale nella determinazione della pena, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346, 12/06/2008, rv. 241189).

Nella specie, la Corte territoriale ha assolto all’obbligo di motivazione con argomenti coerenti in ordine alla condotta valutata in relazione alle condizioni concrete in cui è stata posta in essere dal ricorrente. Ed inveivo, ha rilevato che il prevenuto aveva dimostrato, con una progressione criminosa – intimidatoria e minacciosa prima, lesiva poi e plurloffensiva – una elevata capacità delinquenziale, confermata dal curriculum criminale; il comportamento del ricorrente doveva ritenersi significativo del dispregio della vita umana, messa sullo stesso piano dell’interesse ad appropriarsi di un bene del valore economicamente modesto. La Corte sottolineava, inoltre, la gravità della rapina in oggetto non solo per le sue modalità, ma anche perchè commessa da un soggetto seriale che, nonostante la giovane età, non aveva mostrato alcun segno di resipiscenza a seguito delle pregresse esperienze giudiziarie.

In conclusione, quindi, il ricorso del H. deve essere rigettato. Al rigetto consegue di diritto la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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