Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-07-2011) 26-09-2011, n. 34847 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Potenza, con ordinanza del 29 dicembre 2010, ha confermato l’ordinanza del 10 dicembre 2010 del GIP del medesimo Tribunale con la quale veniva disposta la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.E. G., D.D. e M.M.G. indagati per i delitti di omicidio ( D.G.R. il (OMISSIS), P.D. il (OMISSIS) e Ca.Ma.Ug. il (OMISSIS)), porto e detenzione d’armi, ricettazione e distruzione, sottrazione e soppressione di cadavere, con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. 2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati lamentando:

M.M.G., personalmente:

a) una violazione di legge in ordine alla totale assenza di riscontri estrinseci individualizzanti per l’omicidio D.G.;

b) una contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla chiamata in reità di Co.An.;

D.D., a mezzo del proprio difensore:

a) una violazione della legge processuale in riferimento all’inutilizzabilità di tutti gli atti posti a fondamento dell’ordinanza coercitiva prima della riapertura delle indagini;

b) una omessa motivazione sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e l’assoluta carenza di riscontri estrinseci individualizzanti a supporto della chiamata in correità;

c) una omessa motivazione circa l’insussistenza delle esigenze cautelari;

C.E.G., a mezzo dei propri difensori:

a) una violazione di legge in merito all’inosservanza del termine perentorio per il deposito dell’ordinanza relativa ad un provvedimento di custodia cautelare;

b) una contraddittorietà della motivazione sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Motivi della decisione

1. I ricorsi non sono meritevoli di accoglimento.

2. Quanto alla posizione M. si osserva quanto segue.

In tema di riscontri estrinseci individualizzanti, come sottolineato dalla citata sentenza Spennato delle Sezioni Unite della Cassazione (ma ribadito di recente anche da questa stessa Sezione, v. Cass. Sez. 5, 13 aprile 2010 n. 18097), proprio la riforma del 2001 ha prodotto l’effetto di far sì che la chiamata di correo quale grave indizio di colpevolezza, oltre che essere apprezzata nella sua attendibilità intrinseca, debba essere sostenuta da riscontri esterni individualizzanti in grado di dimostrarne la compatibilita col thè ma decidendum.

D’altra parte, l’esigenza della c.d. corroboration, che inerisca non solo alle modalità oggettive del fatto descritto dal chiamante ma che sia anche soggettivamente indirizzata è imprescindibile nell’ambito di una valutazione che sia strumentale all’adozione di un provvedimento, quale quello restrittivo della libertà, dagli effetti rigorosamente ad personam.

Ne consegue che, quando il Giudice ritenga assente l’elemento di riscontro individualizzante alla chiamata di correo, non può che ritenere inattuabile la regola di giudizio posta dall’art. 192 c.p.p., comma 3 in riferimento al singolo chiamato, sempre fatta salva ovviamente la possibilità dell’accreditamento della chiamata stessa con modalità frazionata nei confronti di eventuali altri chiamati, quando ne ricorrano tutti gli altri presupposti.

Il precetto dell’art. 192 c.p.p., comma 3 (nel richiamo alla materia cautelare) evidentemente tende ad escludere valenza indiziaria grave anche alle dichiarazioni del collaboratore che sia soggettivamente attendibile e che non sia sicuramente autore di affermazioni errate o false, ma che, tuttavia sia rimasto unica fonte di un elemento indiziario non ulteriormente corroborato in maniera oggettiva.

L’art. 192 c.p.p., comma 3, infatti, pone una regola legale di valutazione della prova o dell’indizio come sottolineato dalle Sezioni Unite nella indicata sentenza Spennato, ed è elemento da tenere distinto dalla valutazione sulla gravità indiziaria.

Tutto ciò premesso in diritto si osserva, questa volta in fatto e in relazione all’omicidio D.G., come non sia affatto condivisibile l’asserzione defensionale circa l’inesistenza di riscontri individualizzanti nella chiamata in correità che il D.A. compie in danno del M..

La semplice lettura della pagina 18 dell’ordinanza impugnata chiarisce come a sostegno di ciò, oltre l’argomento logico adoperato dal GIP nell’ordinanza genetica e la chiamata del D. testimone diretto in quanto partecipe ai fatti, sia sussistente l’ulteriore circostanza, di natura assorbente, delle dichiarazioni accusatorie di un elemento di spicco della criminalità organizzata lucana:

Co.An..

Il giudizio sulla esistenza di un elemento che confermi l’attendibilità della chiamata di correo è, inoltre, devoluto al Giudice del merito il cui ragionamento non è censurabile in Cassazione quando risponda ai criteri della completezza e della plausibilità riguardo alla idoneità dello stesso a porsi quale efficiente conferma della credibilità del chiamante e quando si allinei ai criteri di individuazione fissati, in astratto, dal diritto vivente.

E’ noto, poi, che la giurisprudenza di questa Corte ha sostenuto che l’art. 192 c.p.p., comma 3 non porga alcuna limitazione per quanto riguarda l’individuazione dei riscontri, che possono consistere in elementi di qualsivoglia natura purchè, pur non avendo autonoma forza probante, siano in grado di corroborare la chiamata in correità, conferendole la credibilità piena di qualsiasi elemento di prova (v. Cass. Sez. 1, 4 novembre 2004 n. 46954).

E ancora, dalla sentenza Spennato proviene l’assunto che l’elemento di riscontro individualizzante deve confermare non necessariamente in via diretta la condotta illecita ascritta all’accusato, ma le dichiarazioni del propalante e quindi la loro attendibilità, nella parte di riferimento.

Nè va sottaciuto che, ai fini cautelari, il dato esterno di riscontro, pur dovendo attingere la persona del chiamato, può essere meno consistente di quello richiesto per il giudizio di merito, proprio perchè diversa è la prospettiva in cui si muovono le due decisioni e diversi sono gli obiettivi rispettivamente perseguiti.

A proposito poi della chiamata in correità ad opera del Co., con riferimento questa volta al secondo motivo di ricorso, per evidenziarsene l’infondatezza basta ribadire la giurisprudenza di questa Corte che ritiene pienamente utilizzabili le dichiarazioni di soggetto per altri versi e per altri soggetti ritenuto inattendibile.

Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato (v. Cass. Sez. 3, 26 settembre 2006 n. 40170 e da ultimo Sez. 3, 11 maggio 2010 n. 21640) il principio che l’esclusione di attendibilità per una parte del racconto non implica, per la cosiddetta "frazionabilità" della valutazione, un giudizio di inattendibilità con riferimento a quelle altre parti che reggano alla verifica del riscontro oggettivo esterno, sempre che, però, non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti e l’inattendibilità non sia talmente macroscopica, per accertato contrasto con altre sicure risultanze di prova, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante.

In altri termini, è lecita la "valutazione frazionata" delle dichiarazioni accusatorie, sempre che non esista un’interferenza fattuale e logica fra la parte del narrato ritenuta falsa o non credibile e le rimanenti parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate; il che si verifica solo quando fra la prima parte e le altre esista un rapporto di causalità necessaria ovvero quando l’una sia imprescindibile antecedente logico dell’altra.

Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto buon uso di tali principi allorquando ha affermato, suffragando tale affermazione con l’indicazione degli elementi fattuali di riscontro (v. pagine 19-20 della motivazione), come il mancato coinvolgimento del ricorrente in altro episodio omicidiario sulla base delle dichiarazioni dell’indicato collaborante non potesse inficiare l’inferenza logica della motivazione della genetica ordinanza custodiale.

3. Quanto alla posizione D. si osserva quanto segue.

Non v’è dubbio che la mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini, ex art. 414 c.p.p., determini non solo la inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione ma anche la preclusione all’esercizio dell’azione penale per quello stesso fatto reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (v. di recente l’obiter di Cass. Sez. Un. 24 giugno 2010 n. 33885).

Nel caso di specie l’effetto preclusivo non si è, però, verificato sia perchè il collaborante D.A. è stato escusso nell’ambito di un diverso procedimento penale e per fatti concernenti le armi sia perchè può condividersi l’assunto del Tribunale circa la mancanza di veri e propri atti d’indagine eventualmente inutilizzabili, non potendo l’informativa della Squadra Mobile di Potenza, atto di natura meramente riepilogativa delle effettuate indagini, assurgere al rango di atto con efficacia probatoria.

Quanto al motivo di ricorso riguardante la carenza di riscontri estrinseci individualizzanti a supporto della chiamata di correità deve ripetersi, in diritto, quanto dianzi esposto in relazione al ricorso M..

In fatto, questa volta, l’impugnata ordinanza ha dato pienamente conto dei riscontri alla chiamata in correità posta in essere dal fratello (v. a partire da pagina 9 della motivazione) ed esula dai poteri di questa Corte di legittimità la rilettura dell’intero compendio probatorio allorquando la sua valutazione, come nella specie, sia stata effettuata in maniera del tutto logica.

Quanto al motivo relativo alla pretesa mancanza di motivazione circa l’esistenza di esigenze cautelari la difesa correttamente ha riferito della particolare situazione esistente in subiecta materia per gli indagati cui venga contestata l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Nè può dirsi esistente la dedotta omessa motivazione circa la prova dell’inesistenza delle esigenze cautelari a fronte della presunzione normativa in quanto, anche in questo caso, il Giudice del merito ha sufficientemente e logicamente motivato in proposito (v, pagine 31 e 32 della motivazione).

Come è noto, poi, la L. n. 203 del 1991, art. 7, disciplina due distinte ipotesi, prevedendo la possibilità di applicare l’aggravante anche nei confronti di chi, pur non organicamente inserito in associazioni mafiose, agisca con metodi mafiosi o comunque dia un contributo al raggiungimento dei fini di un’associazione di tale tipo (v. a partire da Cass. Sez. Un. 28 marzo 2001 n. 10 e più di recente Sez. 6, 2 aprile 2007 n. 21342).

4. Quanto alla posizione C. si osserva quanto segue.

Risulta pacificamente ex actis che il dispositivo dell’ordinanza del Giudice del riesame sia stato depositato nella cancelleria in data 29 dicembre 2010 e, cioè, entro il termine di dieci giorni dalla trasmissione degli atti che nessuno pone in discussione.

Orbene, la circostanza che l’ordinanza, completa della motivazione, sia stata depositata oltre tale termine (il 1 febbraio 2011), non conduce alla perdita di efficacia della misura cautelare, secondo consolidato insegnamento del Giudice di legittimità, secondo cui, appunto, perchè non si produca l’effetto caducatorio previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 10, è sufficiente che entro il termine dei dieci giorni dalla ricezione degli atti il Tribunale del riesame abbia deliberato in merito alla richiesta ed abbia depositato il dispositivo, attraverso il quale viene reso noto agli interessati, che la decisione è intervenuta in termini e che essa rende possibili la assunzione di altri, eventuali e conseguenti, provvedimenti;

sicchè la motivazione del provvedimento, in applicazione della norma generale sul procedimento camerale, potrà essere depositata nel previsto termine ordinatorio dei cinque giorni dalla deliberazione, senza che ciò abbia influenza sulla efficacia del provvedimento e salve eventuali conseguenze, a carico del responsabile del ritardo, sul piano civile, amministrativo ed anche penale, da riconnettere al mancato rispetto del predetto termine ordinatorio (v. a partire da Cass Sez. Un. 25 marzo 1998 n. 11 fino a Sez. 5, 12 ottobre 2006 n. 38105).

Quanto al secondo motivo di ricorso deve premettersi, in diritto, come la qualifica di gravità deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza e attiene al quantum di prova idoneo ad integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare: essa, a differenza di quanto accade per la prova funzionale alla decisione della fase del giudizio, non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, e ciò a prescindere dagli effetti, non ancora apprezzabili, eventualmente connessi alla dinamica della prova nella successiva evoluzione processuale.

Anche in questo caso, l’esame dell’impugnata ordinanza rende non condivisibili le asserzioni defensionali circa l’inesistenza di una motivazione sufficientemente logica sul contestato punto della sussistenza dei gravi indizi.

A parte la circostanza che questa Corte non può riesaminare ancora una volta i fatti sottoposti alla valutazione del Giudice del merito;

quello che rileva è la sussistenza di una congrua motivazione (v. pagine 26-30 dell’ordinanza), con riferimento alla posizione del ricorrente C., che non sembra affatto di mero stile o generica bensì basata su un complesso di indizi che, allo stato e nei limiti del giudizio cautelare, riveste la qualità della concordanza e della gravità.

Sul punto, infine, della chiamata in correità di D. A. possono ripetersi, in tema di attendibilità e di riscontri, le considerazioni dianzi espresse a favore degli altri ricorrenti mentre, anche in questo caso, esula dalla natura del presente giudizio di legittimità la puntigliosa e dettagliata rilettura della deposizione del chiamante ritenuto inattendibile (v. da pagina 4 a pagina 14 del secondo ricorso nell’interesse del C.).

5. I ricorsi vanno, pertanto, rigettati con la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Deve farsi, inoltre, luogo alle comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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