Cons. Stato Sez. IV, Sent., 14-10-2011, n. 5536 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 26 novembre del 2003 il Comune di Vigliano D’asti rilasciava al sig. P. A. il permesso di costruire per la realizzazione di un fabbricato da utilizzare in parte per lo svolgimento di attività agricola e in parte per residenza, su un" area sita in zona B3 (area di intervento di completamento a prevalente destinazione residenziale), atto che veniva in seguito annullato, per vizi di legittimità, in sede di autotutela con provvedimento del 6 novembre 2004, sulla considerazione, tra l’altr, che "i lavori assentiti non sono stati ancora realizzati avendo il sig. Perin provveduto a tutt’oggi unicamente all’effettuazione dei lavori di scavo e sbancamento".

Successivamente, in relazione al disposto annullamento del permesso di costruire n.9/03 veniva emanata dal Responsabile del Servizio Tecnico l’ordinanza n.3/05 del 3 maggio 2005 con cui si ordinava al sig. Perin la rimessione in pristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle opere di cemento e di riempimento dello scavo realizzato.

A seguito di nuova istanza, veniva rilasciato al Perin il permesso di costruire n.4/05 del 21 giugno 2005 per la realizzazione di un edificio a destinazione di civile abitazione e con provvedimento del 30 giugno 2005 il Comune di Vigliano D’Asti disponeva in autotutela, l’annullamento della precedente ordinanza n.3/05, sul rilievo che "con il rilascio del permesso di costruire n.4/05 sono venute meno le motivazioni della rimessione in pristino dello stato dei luoghi da effettuarsi mediante la rimozione delle opere in cemento ed il riempimento dello scavo realizzato".

Intanto la sig.ra Q. R., proprietaria di un fabbricato sito in area confinante con l’immobile per cui è causa impugnava il permesso di costruire n.4/05 innanzi al Tar per il Piemonte, che con sentenza n.3298/05 dichiarava il ricorso improcedibile sulla base di un dichiarato sopravvenuto difetto di interesse alla decisione di merito del relativo gravame.

Il Comune peraltro con provvedimento del 22 ottobre 2010 aveva proceduto ad annullare il permesso di costruire n.4/05, in relazione al riscontrato vizio di legittimità costituito dal fatto che la commissione edilizia era stata presieduta illegittimamente dal Sindaco.

In data 5 novembre 2005 il Tecnico Comunale di Vigliano D’Asti eseguiva un sopralluogo di verifica dello stato dei luoghi, con una relazione in cui si rileva che "il sito si presenta con lo sbancamento eseguito (come da documentazione fotografica allegata) ed il fondo dello stesso presenta una gettata di calcestruzzo non armato al fine della pulizia del sito e della gettata di tutta la fondazione e dei plinti perimetrali.".

Infine, a seguito di nuova istanza di permesso di costruire sottoposta alla Commissione edilizia nella seduta del 2/2/2006, il Comune, facendo uso della norma di cui all’art.38 comma 1 prima parte del DPR n.380/2001, rilasciava al sig. P. A. un nuovo permesso di costruire, il n.4/06 del 30/3/2006.

Tale provvedimento era impugnato dalla sig.ra Q. innanzi al TAR per il Piemonte, che con sentenza n.2006/2006 rigettava il ricorso, ritenendolo infondato.

Insorge avverso tale decisum, ritenuto ingiusto ed errato, l’interessata, deducendo a sostegno del proposto gravame i seguenti motivi:

Violazione di legge in relazione all’art.107 del dlgs n.267/2000 ed all’art.53 comma 23 della legge 23/12/2000 n.338; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti; carenza e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione; illegittimità derivata;

Violazione di legge in relazione all’art.38 del dpr 6 giugno 2001 n.380; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti; carenza e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione;

Violazione di legge in relazione all’art.12 del DPR 6 giugno 2001 n.380; eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti; carenza e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà, illogicità, sviamento.

Si sono costituiti in giudizio l’intimata Amministrazione comunale e il controinteressato sig. P. A., che hanno contestato la fondatezza dei motivi di ricorso, chiedendone la reiezione.

Le parti hanno prodotto apposite memorie difensive ad ulteriore illustrazione delle loro prospettazioni.

All’udienza pubblica fissata per la trattazione la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Oggetto della controversia all’esame è il permesso di costruire n. 4/2006 del 30/3/2006 con cui il sig. A. P. è stato autorizzato dal Sindaco del Comune di Vigliano D’Asti a realizzare un edificio per civile abitazione e la cui legittimità vien posta in discussione dalla di lui vicina, sig.ra Q. G., per una serie di motivi che, secondo quanto appresso si va ad illustrare, sono privi di fondamento, come correttamente già rilevato dal giudice di primo grado.

Col primo mezzo d’impugnazione viene riproposta la censura di incompetenza a rilasciare detto titolo ad aedificandum da parte del Sindaco, ma il denunciato vizio si rivela insussistente.

Invero, ai sensi della legge 23 dicembre 2000 n.388 (art.53 comma 23) è prevista per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitati (e tale è il Comune di Vigliano d’Asti) la possibilità, in deroga al principio di separazione dei poteri, di attribuire con norma di tipo organizzativo, ai componenti della Giunta il potere di adottare atti di natura tecnica e gestionale; e di tale a facoltà si è avvalso il Comune suindicato in sede di adozione del Regolamento degli Uffici e dei Servizi, di cui alla delibera della Giunta Comunale n.1 del 9 gennaio 2001, atto regolamentare puntualmente richiamato allorché, con deliberazione giuntale n.44 del 12 luglio 2004, sono state concretamente conferite al Sindaco le funzioni del Responsabile del Servizio tecnico, "in particolare per ciò che riguarda le competenze in materia urbanistica e quelle di Responsabile del procedimento".

Ciò precisato, in questa sede si fa specificatamente valere da parte appellante la questione per cui ad approvare la norma regolamentare doveva essere il Consiglio comunale e non già la Giunta, ma un siffatto profilo di doglianza si rivela in primis inammissibile sotto un duplice profilo, in quanto introdotto per la prima volta solo in appello e per non essere stata la deliberazione giuntale n.1/2001 recante l’approvazione del Regolamento in questione oggetto di specifica impugnativa.

In ogni caso la censura è infondata nel merito.

Questo Consesso ha avuto più volte modo di affermare come l’emanazione in subjecta materia della disciplina regolamentare spetti alla Giunta Municipale (cfr. Sezione V 28 febbraio 2006 n.1052); e tanto a tacer del fatto che l’art.48 del dlgv. 18 agosto 2000 n.267 (testo unico sull’ordinamento degli enti locali) individua espressamente nella Giunta comunale l’organo competente all’adozione del regolamento sull’ordinamento generale degli uffici e dei servizi.

Sul punto, per il vero, il Tar, nella sentenza de qua, ha ascritto l’adozione della disposizione regolamentare di tipo organizzativo alla competenza del Consiglio comunale, ma deve ritenersi che si tratti di un mero refuso rimasto, per così dire "nella penna" del redattore; nondimeno la precisazione recata dalla sentenza qui gravata va intesa e corretta nei sensi sopra esposti.

Sempre in proposito poi non può condividersi la censura di violazione dell’ultima parte del comma 23 dell’art.53 della citata legge n.388/2000, lì dove è previsto che, in relazione all’adozione di tale disposizione regolamentare, deve essere documentato dal Comune il contenimento della spesa, in sede di approvazione del bilancio.

Innanzitutto la doglianza è formulata in termini del tutto generici, senza che siano forniti elementi di prova in ordine alla mancata indicazione e allegazione dei mezzi finanziari idonei ad assicurare la copertura finanziaria. Ad ogni modo, un eventuale inadempimento di tale obbligo di natura prettamente contabile potrà avere conseguenze su altri versanti dell’attività amministrativa (responsabilità amministrativocontabile), ma certo non va ad intaccare la legittimità delle disposizioni regolamentari assunte.

Col secondo motivo di gravame parte appellante sostiene che il Comune ha illegittimamente sanato delle opere edilizie (scavi e sbancamento, nonché gettata di calcestruzzo) realizzate sulla base del primo permesso di costruire (il n.9/2003), poi annullato dall’Amministrazione per motivi di carattere sostanziale; nè un effetto sanante sarebbe ricponducibile al secondo permesso di costruire (il n.4/2005), di talché l’ultimo dei permessi rilasciati (il n.4/2006) alcuna legittimazione potrebbe conferire all’avvenuta esecuzione dei predetti lavori.

I dedotti profili di illegittimità sono infondati.

Il Comune ha invero proceduto a rilasciare il permesso di costruire qui in discussione (il n.4/06) con espresso richiamo dell’art.38 del DPR n.380/2001 (testo unico sull’edilizia), lì dove tale norma prevede la possibilità di intervenire da parte dell’Amministrazione a rinnovare il provvedimento in precedenza emesso ed annullato per vizi di legittimità, mediante la rimozione dei vizi stessi.

Nella specie è avvenuto che l’Autorità comunale ha di fatto disposto il rinnovo del pregresso permesso di costruire n.4/2005, annullato in sede di autotutela per vizi formali (illegittima partecipazione alla Commissione edilizia del Sindaco), con il rilascio di un "nuovo" titolo avente analogo contenuto.

Vero è che le opere di scavo e sbancamento sono state realizzate in base al primo dei titoli ad aedificandum (il n.9/2003), ma tale autorizzazione è stata annullata e sostituita, quanto al suo contenuto, dal secondo dei permessi, quello contrassegnato dal n.4/05, a sua volta rimosso dal mondo giuridico unicamente per un vizio formale e assorbito dal successivo permesso n.4/06; sicché, secondo tale sequela, si deve riconoscere all’ultimo dei titoli abilitativi, quello qui in discussione, un effetto sanante di quanto all’epoca realizzato, secondo uno schema di validità ora per allora.

In altri termini, nella specie si è verificata una sostituzione integrale dei titoli aventi lo stesso contenuto, per cui il rinnovo finale operato col permesso per ultimo intervenuto non può non produrre la legittimazione di quanto eseguito, sì, in precedenza, ma pur sempre poi autorizzato.

L’operato del Comune appare indenne dai vizi al riguardo dedotti, potendosi nella specie configurare una corretta applicazione delle regole di conservazione degli effetti sostanziali degli atti amministrativi e di economicità dell’attività della P.A., rivelandosi inutile se non assurdo pretendere, come in sostanza propugnato dall’appellante, che l’Amministrazione comunale provvedesse a sanzionare lavori di lì a poco autorizzati nella stessa consistenza e con le medesime caratteristiche (con il secondo e terzo permesso), senza che in concreto sia intervenuta una valutazione di non conformità urbanisticoedilizia delle suddette opere.

E ciò a prescindere dalla vicende processuali che pure hanno caratterizzato la vicenda, se è vero che l’impugnativa proposta dalla sig.ra Q. avverso il secondo permesso (n.4/2005) veniva dichiarata improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse con sentenza del TAR Piemonte n.3298/05; e l’ordinanza comunale di rimessione in pristino, la n.3/05, pure assunta nei confronti del sig. Perin, è stata annullata in autotutela con provvedimento comunale del 30/6/2005 che non risulta sia stato impugnato dall’interessata.

Col terzo motivo di gravame parte appellante formula le sue doglianze nei confronti di alcuni aspetti della progettazione che sarebbero stati illegittimamente assentiti.

Le censure non colgono nel segno.

In primo luogo, la vicina confinante contesta il carattere seminterrato del locale indicato come tale, la cui volumetria, a suo avviso, doveva essere invece conteggiata ai fini della capacità edificatoria e tanto in relazione, precipuamente a due osservazioni: l’una, perché si tratterebbe di locali adibiti ad uso lavanderia, stireria, spogliatoio e bagno non completamente interrati; l’altra in quanto esisterebbero sul lato a valle due finestre che verrebbero a posizionarsi al di sopra del piano di campagna.

L’assunto non è condivisibile, dovendosi qui sostanzialmente ribadire le osservazioni di tipo tecnico acutamente e diffusamente rese dal primo giudice in ordine alla infondatezza dei rilievi mossi dall’appellante.

Invero, i locali posti sotto il livello del terrazzo del pianterreno solo per una parte molto modesta emergono dal livello del terreno, risultando per la restante stragrande porzione interrati, come si evidenzia dall’esame della documentazione progettuale.

In particolare, nella parte retrostante dell’ampio vano in questione sono situati lo spogliatoio, la lavanderia e, il bagno e la stireria, locali siti certamente ed interamente ad un livello posto al di sotto del pianterreno se è vero che sono confinanti con muri perimetrali interamente interrati e quindi tali "spazi ", in quanto interrati, non vanno computati ai fini del calcolo della volumetria dell’edificio (cfr. Cons Stato Sez. V 4 agosto 9 agosto 1986 n.390; questa Sezione, 29 gennaio 2009 n.271).

Rimane come unica parte emergente dal terreno la porzione adibita a box auto, di dimensioni alquanto modeste che fuoriesce dal piano di campagna anche in ragione del declivio del terreno, che di fatto rimane seminterrata e che comunque, al di là dello stato dei luoghi e della esiguità della superficie non può comunque considerarsi volume ai fini urbanisticoedilizi del computo complessivo della edificabilità assentibile, in quanto per essa si rende applicabile la normativa di favore recata dagli artt.18 e 20 del Regolamento edilizio comunale, secondo cui dalla S.U.L. sono escluse le superfici relative agli spazi adibiti alla manovra dei veicoli, disposizioni non oggetto di specifiche censure.

Il carattere interrato dei locali de quibus non può essere poi smentito dalla presenza di due "finestre" site sul lato a valle della costruzione, atteso che trattasi in realtà di due "bocche di lupo", cioè aperture che caratterizzano i locali posti sotto il piano zero al fine di consentire areazione e adeguata luminosità agli stessi (e che non consentono un affaccio orizzontale al livello di campagna).

Parte appellante, a proposito della progettata creazione del piano interrato, lamenta pure la violazione dell’art.24 delle NTA. che vieta la realizzazione di muri ed opere di contenimento superiori ai mt 3, ma non è questo il caso che ci occupa, dal momento che il divieto in questione riguarda unicamente le opere di puntellamento e contenimento poste al di sopra del piano di campagna e non certo quelle riguardanti le fondazioni di un immobile e che perciò stesso sono parti integranti dell’ assetto strutturale dell’edificio.

Infine l’appellante si duole della mancata stipula della convenzione prevista dall’art.25 comma 10 delle NTA, disciplinante le modalità e i requisiti degli interventi edilizi a farsi; ma la doglianza non ha pregio, potendo detta convenzione essere sostituita, come nella specie avvenuto, da un atto unilaterale d’obbligo che è stato assunto e prodotto dal sig. Perin.

Il fatto che tale atto, formato a mezzo di rogito notarile del 15 marzo 2006, sarebbe stato trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari solo in data 6 aprile 2006 e cioè successivamente al rilascio del permesso di costruire n.4/06 (avvenuto il 30 marzo 2006) è circostanza che costituisce tutt’al più una irregolarità di tipo formale -tributaria, ma che non vale certo ad inficiare la legittimità del rilasciato titolo abilitativo.

In forza delle suestese considerazioni, l’appello, con riferimento ai profili di doglianza dedotti con tutti i mezzi di impugnazione, si appalesa infondato e va conseguentemente respinto.

Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e competenze del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in euro 4.000,00 (quattromila/00), di cui 2.000,00 (duemila/00) a favore del Perin e 2.000,00 (duemila/00) a favore del Comune, oltre IVA e CPA

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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