Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-02-2012, n. 1606

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.M. propose opposizione di terzo all’esecuzione mobiliare esattoriale intrapresa da SESTRI S.pA. nei confronti del debitore C.P., sostenendo che i beni pignorati erano di sua proprietà.

Il Tribunale di Sanremo, con sentenza pubblicata in data 11 maggio 2009, ha rigettato l’opposizione ed ha condannato l’opponente al pagamento delle spese processuali.

Avverso la sentenza il C. propone ricorso straordinario per cassazione a mezzo di tre motivi, illustrati da memoria. Si difende con controricorso l’intimata Equitalia Sestri S.p.A., Agente della riscossione. C.P. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Va accolta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente con riferimento alla norma dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, per la mancata esposizione dei fatti della causa.

E’ corretta, in diritto, la replica svolta dal ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., secondo cui il ricorso è comunque ammissibile quando il fatto emerge dal contesto dell’atto di impugnazione, così come affermato da questa Corte nel precedente n. 6987 del 2009. Parimenti, va ribadito che per soddisfare il requisito di cui all’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta, rispetto ai motivi del ricorso, nè occorre una narrativa analitica e particolareggiata (cfr. Cass. n. 16360/04; Cass. n. 12166/05; Cass. S.U. n. 11653/06).

Tuttavia, è necessario che la lettura del ricorso consenta di conoscere chiaramente e completamente i fatti nella prospettiva del ricorrente, ma anche le vicende processuali e, con riferimento ai primi ed alle seconde, le posizioni assunte dai soggetti che vi hanno partecipato.

Va qui ribadito il principio per il quale il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata (cfr., tra le tante, Cass. n. 4403/06, n. 7825/06, n. 15808/08, n. 5660/10).

1.1. Nel caso di specie, il ricorso è del tutto mancante dell’esposizione del fatto.

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto nella memoria di replica, l’illustrazione dei motivi è svolta in modo da affrontare le questioni di diritto, con riferimento alle norme del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 58 e 63, senza che dalla lettura del ricorso soltanto sia possibile evincere quale sia stata la vicenda processuale che ha dato origine all’opposizione all’esecuzione e, soprattutto, quali siano i fatti sostanziali che ne stanno a fondamento, in particolare quali siano i rapporti intercorsi tra il ricorrente ed il debitore esecutato aventi ad oggetto i beni pignorati.

Ancora, nulla è detto in ricorso, nè è desumibile dal relativo contenuto, sullo svolgimento del processo in primo grado, ed in particolare, sulla motivazione in punto di fatto della sentenza impugnata (essendo questa menzionata soltanto al fine di contestarne le argomentazioni in diritto). Più specificamente, è vero che nello svolgimento dei motivi di ricorso, la parte ricorrente ha richiamato i fatti di causa, ma ha finito per dare tali fatti come presupposti, prescindendo così da un’esposizione degli stessi, che consentisse di cogliere il significato delle censure mosse alla sentenza impugnata.

Poichè, come detto, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa, non può che concludersi nel senso dell’inammissibilità per violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 3. 2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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