Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 26-09-2011, n. 34823 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Roma, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha assolto C.G. dal delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per non aver commesso il fatto; ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, riducendo la pena principale e revocando la pena accessoria.

Il C. è stato legale rappresentante della srl UNILINEA, dichiarata fallita con sentenza 30.10.1997.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) violazione degli artt. 216 e 217 L. Fall. per erronea qualificazione giuridica del fatto. La Corte territoriale, assolto il C. dal delitto di bancarotta distrattiva, avrebbe dovuto qualificare la residua imputazione come bancarotta documentale semplice, atteso che è emerso, in corso di istruttoria dibattimentale, che i libri e le scritture contabili non sono mai stati tenuti. Si sono trovate solo alcune scritture risalenti, di talchè è stato ritenuto che la srl non ha mai tenuto le scritture previste dalla legge. Non si vede dunque come il C. avrebbe potuto sottrarle. Egli ha rivestito la carica di amministratore dal dicembre 1994, alla data del fallimento. Ma, proprio nel 1994, data del trasferimento a Roma di UNILINEA, la società aveva smesso di operare. Dunque, in realtà, il C. non tenne le scritture contabili, nè ne "ereditò" dalla precedente gestione. In presenza di tale situazione di fatto, non si vede come possa sussistere il dolo del reato ritenuto in sentenza.

2) illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta documentale fraudolenta. Esiste contrasto tra la premessa espressa in sentenza, in base alla quale il C. è stato assolto dalla bancarotta patrimoniale (nulla ha sottratto in quanto nulla più vi era da sottrarre) e la conseguenza cui la Corte romana giunge in ordine alla ritenuta responsabilità per bancarotta documentale fraudolenta (ha operato in modo tale da non consentire la ricostruzione del – già inesistente – patrimonio aziendale e del – non più attuale – giro di affari. Date invero le premesse, non se ne può trarre la conclusione sopra indicata, atteso che nulla altro può rimproverarsi al ricorrente se non di non essersi attivato per cambiare la situazione. Ma ciò integra gli estremi della bancarotta semplice, per la quale la prescrizione è maturata; per altro nessuno sforzo motivazionale (al di là della mera tautologia) risulta essere stato prodotto per giustificare la ritenuta esistenza dell’elemento soggettivo, relativo al reato per il quale il C. è strato condannato.

3) violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza, atteso che, rinviato a giudizio per aver sottratto le scritture contabili, l’imputato è stato condannato per non averle regolarmente tenute.

Motivi della decisione

I primi due motivi (in realtà trattasi di un’unica censura diversamente articolata) appaiono privi di fondamento, ma non inammissibili.

Per tale ragione (e pur essendo il terzo manifestamente infondato), si deve ritenere operativa la prescrizione maturata il 30.6.2010.

La differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale e quella semplice non può certo ravvisarsi nell’elemento oggettivo, dal momento che entrambe le fattispecie puniscono sia la condotta di omessa tenuta dei libri sociali, che quella di irregolare tenuta degli stessi.

Detta differenza riposa sulla natura dell’elemento psicologico che, nel primo caso, viene individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore e, nel secondo caso, dal dolo o, indifferentemente, dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (ASN 200606769-RV 233997).

Orbene, se si ritiene, come ha ritenuto la CdA, che, nel momento in cui il C. ha assunto la sua carica, la società aveva già smesso di operare e che le scritture contabili erano in pratica inesistenti, non può certo ritenersi che l’imputato abbia distrutto dette scritture; tuttavia, in quanto amministratore, egli aveva il compito di istituirle o ripristinarle e curare che fossero regolarmente tenute.

Come giustamente si osserva nel ricorso, tale è il rimprovero che si deve muovere all’imputato.

Ma non vi è ragione, sostiene l’impugnata sentenza, per ritenere che ciò il C. abbia fatto inconsapevolmente, atteso che la assoluta mancanza di scritture è una situazione così macroscopicamente irregolare che un amministratore di media preparazione e diligenza non può non rendersi conto che la descritta situazione rende impossibile, ovvero certamente disagevole, la ricostruzione della (pregressa) situazione patrimoniale e del giro di affari che, nel tempo, si è sviluppato Quanto alla terza censura, è stato recentemente ribadito (SU sent. n. 36551 del 2010, ric. Carelli, RV 248051) che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione) da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto, puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.

Orbene, al ricorrente non è certo rimasto ignoto il reale contenuto dell’addebito a lui mosso: la mancata tenuta di scritture contabile e non la loro sottrazione, atteso che, appunto, tali scritture non furono mai regolarmente istituite.

Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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