Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 26-09-2011, n. 34822 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la CdA di Roma, in riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato ndp nei confronti di Ma.

E. e di M.G. in ordine al delitto di diffamazione a mezzo stampa ascritto al secondo e al delitto di omesso controllo ex art. 57 c.p., ascritto al primo, per intervenuta prescrizione; ha confermato le statuizioni civili e ha condannato gli imputati al ristoro delle spese sostenute dalla PC. Sul giornale "Repubblica" del 23.10.2001, giornale del quale il Ma. era direttore, il M. appare autore di un articolo in cui si sosteneva che, con riferimento agli omicidi del cd. "mostro di Firenze", S.G. era stato "coinvolto" in investigazioni con riferimento a scritti anonimi dell’ottobre 1985.

I giudici del merito hanno ritenuto non vera tale circostanza (pur essendo stato il predetto S. interessato da indagini relative ad altre lettere anonime, sempre attinenti alle predette indagini sul "mostro") e hanno ritenuto insufficienti gli accertamenti condotti dal M. in merito.

Da qui l’affermazione di responsabilità.

Ricorre per cassazione il difensore dei due imputati e deduce: 1) violazione di legge e carenze motivazionali in ordine agli artt. 595 e 51 c.p.. La Corte romana ha escluso la scriminante del diritto di cronaca in relazione agli scritti anonimi del 1985, senza tener conto del contenuto dei documenti giudiziari prodotti dal difensore degli imputati e ricordati nei motivi di appello, i quali confermano il testo dell’articolo. Il querelante era un soggetto del processo, imputato, tra l’altro, di frode processuale.

L’ipotesi di accusa era nel senso che S. si fosse attivato per inquinare le prove a carico del noto imputato P. e per coprire i mandanti. Ciò egli avrebbe fatto per suscitare una "corrente di opinione" favorevole al P.. E tanto per occultare le prove a carico dei complici del medesimo. Di tutto ciò si dava atto nei motivi di appello e tutto ciò è stato completamente ignorato dalla Corte di merito. Le relazioni di servizio degli organi di pg ipotizzavano un coinvolgimento dello S. ben superiore a quello descritto nella imputazione. A tal proposito, fu citata la deposizione del capo della Sq. Mobile fiorentina, dott. G., il quale, ascoltato in relazione alle indagini che stava conducendo in relazione ai numerosi scritti anonimi, si è avvalso del segreto di indagine, limitandosi a non smentire che fossero in corso accertamenti su scritti anonimi. Lo stesso parlò di diverse ipotesi da verificare. Ebbene, nei motivi di appello, si era evidenziato che il segreto ex art. 329 c.p.p. opera solo su atti dell’AG o della pg.

Conseguentemente il G. ben avrebbe potuto dare chiarimenti sulla posizione di S., se a suo carico non fossero state pendenti investigazioni. Dunque, l’allegazione del segreto, dimostra la verità della notizia.

Del resto, la vicenda processuale del M. e del Ma. è del tutto analoga a quella di altro giornalista, tal B.C., assolto in fase di merito, con motivazione che la Corte di cassazione ha ritenuto congrua ed esente da vizi.

Sempre con i motivi di appello, si era evidenziato come il giornalista aveva sottoposto a verifica la notizia. Ebbene, sul punto, la sentenza della CdA è silente. E’ da ricordare che il M. colloquiò con il Procuratore della Repubblica (neanche col suo sostituto). Secondo la sentenza impugnata, ciò non avrebbe dovuto indurre il giornalista a ritenere l’esistenza di indagini a carico di S., ma si tratta di una mera affermazione sprovvista di una attenta disamina logico-giuridica; viceversa M. ha avuto notizia di una ipotesi investigativa in corso, anche perchè dal Procuratore egli non ottenne una smentita alle domande che poneva, ma solo un invito alla prudenza.

Deduce ancora il ricorrente violazione degli artt. 51 e 59 c.p., atteso che egli, come premesso, eseguì il controllo, compulsando la fonte più elevata ed ebbe la prudenza di operare una selezione tra gli anonimi, ad es. non dando notizia della lettera giunta al sostituto dott.sa D.M.. Vi è stato dunque uso legittimo delle fonti, come previsto dalla giurisprudenza. Il giornalista riferì certezze, acquisite a seguito di lunghe e faticose indagini.

L’autorevolezza delle fonti e la impossibilità di compiere ulteriori controlli avrebbero dovuto indurre la Corte di merito a valutare ben diversamente l’operato del cronista.

Deduce infine, violazione di legge e carenze motivazionali in ordine all’art. 578 c.p.p..

Atteso che S. risultava imputato di numerosi reati (falsa testimonianza, frode processuale, violazione della legge sulle armi, furto), non si comprende come la Corte territoriale abbia potuto individuare un danno causalmente legato all’espressione che si ipotizza diffamatoria e che si riferisce alla paternità di alcuni messaggi anonimi del 1985.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

I giudici del merito hanno negato ricorressero i presupposti per il corretto esercizio del diritto di cronaca in quanto la notizia riferita non era esatta.

Infatti è risultato non rispondente al vero il fatto che lo S. fosse sottoposto a indagini anche per lettere anonime scritte nel 1985. Il predetto, a quanto si apprende dalla impugnata sentenza, è stato certamente oggetto dell’attenzione degli investigatori per altri scritti anonimi. Riferire, dunque, in un articolo che S. era sospettato di (e quindi inquisito per) essere autore, genericamente, di scritti anonimi relativi alla vicenda del cd. "mostro di Firenze", rappresenta una notizia giornalistica che, pur nella sua indeterminatezza, non può qualificarsi falsa.

Ciò spiega l’assoluzione, nei gradi di merito, del B. e la sentenza di legittimità che tali pronunzie ha avallato.

Ma nell’articolo per il, quale oggi è processo si da notizia di un fatto determinato (essere S. autore delle lettere del 1985) e tale fatto è risultato non provato.

Rappresenta, poi, un evidente paralogismo l’argomento in base al quale, poichè il G. si è rifiutato di rispondere a domande sullo S., trincerandosi dietro il segreto di indagine, allora si deve dedurre che lo stesso stava indagando proprio sul predetto, erga: lo S. era quantomeno sospettato di essere l’autore delle missive del 1985.

Invero, le ragioni per le quali il sopra indicato investigatore ha invocato il segreto di indagine possono essere varie e diversificate.

Invero, se Tizio, richiesto di chiarire se Caio è sottoposto a indagini, invoca il segreto, ciò può esser dovuto alla necessità di evitare una risposta negativa (le indagini non riguardano Caio) perchè, per esclusione, potrebbe arguirsi che riguardano altri, ovvero, più probabilmente. Tizio può rifiutarsi di rispondere perchè non vuole che l’argomento in sè sia affrontato. Il segreto può riguardare (e in genere così accade) tanto le persone quanto il fatto (an, quid, quando quomodo) e Tizio teme che fornire notizie sulla persona possa scoprire indagini sul fatto o su altre persone.

Consegue che, essendo del tutto apparente – anche se suggestiva – la logica che sottende la critica sopra sintetizzata, la sentenza impugnata, su tale punto, non presenta falle.

Se ne deve trarre la conclusione che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che l’articolo del M. riferiva fatti non veri.

Ancora correttamente non è stata ritenuta la natura putativa della scriminante.

Nel ricorso, si riferisce che M. colloquiò con Procuratore della Repubblica. Ma, per stessa ammissione del ricorrente, dal capo dell’Ufficio inquirente il giornalista non ottenne nè conferme, nè smentite, ma solo un invito alla prudenza, che evidentemente non ha seguito.

Non può invero sostenersi, come pure si fa nel ricorso, che il giornalista abbia assolto l’obbligo di scrupoloso controllo, fino al limite dell’umanamente esigibile (cfr. ASN 2OO512859-RV 231687) e invero non può dirsi che il cronista sia risalito alla fonte originaria (ASN 200001952-RV 216437), anche se non può negarsi che abbia tentato di fare ciò, giustificandosi col dire che era impossibile eseguire ulteriori controlli, oltre quelli di fatto esperiti.

Al proposito tuttavia questa Sezione ha avuto modo di chiarire (ASN 200131957-RV 219638) che l’erronea convinzione circa la rispondenza al vero del fatto riferito non può mai comportare l’applicazione della scriminante del diritto di cronaca (sotto il profilo putativo) quando l’autore dello scritto diffamante non abbia proceduto a verifica, compulsando la fonte originaria; ne consegue che, nella ipotesi in cui una simile verifica sia impossibile (anche nel caso in cui la notizia possa esser ritenuta "verosimile" in relazione alle qualità personali dell’informatore), il giornalista che intenda comunque pubblicarla accetta il rischio che essa non corrisponda a verità.

Invero la diffamazione ben può essere connotata da dolo eventuale.

Quanto al direttore del quotidiano, la sentenza impugnata ritiene correttamente che lo stesso, con la sua condotta omissiva, permise la pubblicazione di una notizia non controllabile e comunque non controllata, donde la sua responsabilità colposa. Quanto al risarcimento del danno, va rilevato che la Corte romana ha confermato le statuizioni civili (il Tribunale aveva emesso condanna generica ai danni, da liquidarsi in separata sede, respingendo la richiesta di provvisionale). Il giudice del merito, dunque, non ha quantificato il danno derivante dalla condotta illecita del Ma. e del M., ma si è limitato ad affermare che danno vi fu.

Nè può negarsi che anche il soggetto la cui reputazione sia già stata compromessa, possa subire (ulteriore) danno dalla messa in circolazione di altre notizie false e denigratorie (ASN 200447452-RV 230574).

I ricorsi dunque meritano rigetto e i ricorrenti vanno singolarmente condannati alle spese del grado; vanno anche condannati, in solido, al rimborso delle spese sostenute in questo grado dalla PC, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali; condanna altresì i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro millesettecento (1.700), oltre accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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