Cass. civ. Sez. I, Sent., 03-02-2012, n. 1587 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La Corte di appello di Roma, provvedendo con la sentenza indicata in epigrafe sulla domanda di determinazione dell’indennità proposta dalla S.r.l. Immobiliare Sant’Elvira (d’ora in poi, per brevità, Sant’Elvira) nei confronti del Comune di Roma in relazione al procedimento di espropriazione di un terreno con annesso manufatto instaurato nell’ambito della realizzazione del Sistema Direzionale Orientale, disattendendo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ed avvalendosi dei criteri di stima già applicati in precedenti giudizi in relazione a terreni ubicati nella medesima zona, esclusa la decurtazione del 40 per cento in virtù dell’esiguità dell’offerta, operava la liquidazione sulla base della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, determinando l’indennità in Euro 153.812,50, somma calcolata in base alla metà del media tra il valore venale dell’area, pari ad Euro 307,615,00 e il reddito dominicale rivalutato.

Esclusa la ricorrenza, per difetto di prova, dei presupposti di applicabilità dell’art. 1224 c.c., veniva rigettata la richiesta di indennità relativa alla costruzione esistente sul terreno espropriato, in quanto non realizzata in virtù di una valida concessione edilizia.

1.1 – Per la cassazione di tale decisione la società propone ricorso, affidato a sette motivi.

Il Comune di Roma resiste con controricorso, proponendo a sua volta, sulla base di quattro motivi, ricorso incidentale, cui resiste con controricorso la S.r.l. Immobiliare Sant’Elvira.

Motivi della decisione

2 – Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione.

3 – Con il primo mezzo la società, formulando idoneo quesito di diritto, deduce violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 1 del primo protocollo addizionale della predetta convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato dall’Italia con L. n. 848 del 1955, con conseguente necessità di disapplicare il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, per contrasto con detta norma. In subordine, si eccepisce l’illegittimità costituzionale del citato art. 5 bis, per contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost..

3.1 – Il motivo in esame anticipa gli aspetti salienti della pronuncia dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 348/07, nel frattempo intervenuta, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, nella parte in cui si prevede un criterio di computo dell’indennità d’espropriazione per le aree edificabili ancorato alla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato, disponendone altresì l’applicazione ai giudizi in corso alla data dell’entrata in vigore della L. n. 359 del 1992, in quanto conducono ad una indennità non proporzionata all’effettivo valore di mercato del bene e sono quindi incompatibili con l’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Tanto premesso, deve affermarsi l’efficacia di tale pronuncia nei giudizi, come quello in esame, in cui sia ancora in discussione la determinazione di detta indennità, la quale non potrebbe certamente essere regolata da norme dichiarate incostituzionali. Torna quindi nuovamente applicabile, per la determinazione dell’indennizzo, il criterio generale del valore venale del bene, già previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che costituisce l’unico ancora rinvenibile nell’ordinamento, non essendo stato abrogato dal T.U. approvato con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58, in quanto detta norma fa espressamente salvo "quanto previsto dall’art. 57, comma 11, (oltre che dall’art. 57 bis) il quale esclude l’applicazione del T.U. relativamente ai progetti per i quali, come è accaduto nel caso in esame, "alla data di entrato, in vigore dello stesso decreto sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, ribadendo che continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data, fra cui, pertanto, quella contenuta nella Legge Generale n. 2359 del 1865, art. 39.

Deve inoltre precisarsi che nella fattispecie non opera nemmeno lo "ius superveniens" costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, che prevede la riduzione del 25% dell’indennità allorchè l’espropriazione sia finalizzata ad interventi di riforma economico – sociale, prevedendo la norma intertemporale di cui al successivo comma 90 la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’ indennità di esproprio limitatamente ai "procedimenti espropriativi in corso e non anche ai giudizi in corso (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2009, n. 22756).

La richiesta indennità di esproprio – in virtù del quadro normativo di riferimento – deve pertanto calcolarsi con riferimento al valore pieno dell’area espropriata, secondo la previsione della richiamata della L. n. 2359 del 1865, art. 39. 4 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendosi, con riferimento all’esclusione dell’indennizzo in merito al fabbricato realizzato in assenza di concessione edilizia, che la corte capitolina avrebbe pronunciato ultra petita, atteso che nelle proprie difese il Comune non avrebbe sollevato alcuna eccezione al riguardo, avendo, al contrario, previsto l’indennità, relativamente alla costruzione, formulando specifica offerta.

Viene, in proposito, indicato il seguente quesito di diritto: "Dica la S.C. se, nell’ambito del giudizio volto alla determinazione della giusta indennità di espropriazione spettante in relazione all’esproprio di una costruzione, il Giudice abbia il potere di escludere 1’indennizzabilità della costruzione ablata, per la quale sia stata presentata domanda di concessione in sanatoria ex lege n. 47 del 1985, in quanto ritenuta, abusiva dal punto di vista edilizio, in assenza di una richiesta e/o eccezione in tal senso ritualmente formulata dall’ente espropriante, ovvero se, ricorrendo le anzidette circostanze, detto potere gli sia precluso ai sensi e in relazione a quanto stabilito dall’art. 112 c.p.c.". 4.1 – Con il terzo motivo, sempre in relazione alla pendenza del procedimento di sanatoria, viene denunciata, formulandosi apposito quesito di diritto, la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2 bis, che prevede l’accertamento, incidenter tantum, della sanabilità "ai soli fini della corresponsione dell’indennità", positivamente accertata dal Comune mediante la suindicata offerta di indennizzo.

4.2 – Con il quinto motivo si deduce violazione della L. n. 47 del 1985, art. 35 e della L. n. 865 del 1971, art. 16, comma 9, sostenendosi, e formulandosi all’uopo idoneo quesito di diritto, che in merito alla domanda di sanatoria sarebbe prevista la formazione del silenzio-assenso.

4.3 – I motivi testè esposti, che possono essere congiuntamente esaminati in considerazione della loro intima connessione, derivante dalla ritenuta non indennizzabilità della costruzione in quanto realizzata in assenza di valida concessione edilizia, sono infondati.

Quanto al primo profilo, inerente alla dedotta violazione del principio contenuto nell’art. 112 c.p.c., va ribadito che il giudizio di opposizione alla stima non è un mero giudizio d’impugnazione del provvedimento amministrativo che determina l’indennità, ma è un giudizio sul rapporto, il quale non si esaurisce nella semplice verifica dell’esattezza o meno dei criteri che hanno presieduto alla liquidazione dell’indennità in sede amministrativa, dovendo il giudice procedere autonomamente alla determinazione del quantum dell1 indennità, sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili (cfr., Cass., Sez. 1?, 27 gennaio 2005. n. 1701).

Se, dunque, l’azione per la determinazione della giusta indennità, non si configura come opposizione alla determinazione dell’indennità, ma come domanda di accertamento diretta, sin dall’origine, alla fissazione della giusta indennità, la corte di appello è tenuta a compiere la liquidazione, anche in misura inferiore a quella pretesa od a quella offerta in via amministrativa, senza per questo incorrere nel vizio di ultrapetizione (Cass., 5 febbraio 2009, n. 2787), e non può ritenersi vincolata dai criteri, ancorchè condivisi dalle parti nella fase precedente al giudizio, dovendo determinare la giusta indennità in base al criterio che ritenga correttamente applicabile, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione. (Cass., 17 aprile 2003, n. 6176).

D’altra parte, ove si ponga mente, anche alla luce dei criteri che caratterizzano i giudizi di determinazione della stima, come quello in esame, al generale potere-dovere del giudice di verificare la fondatezza della domanda, non può dubitarsi che l’accertamento della indennizzabilità o meno di un determinato bene non risulti vincolata dalla proposizione di eccezioni della parte convenuta.

4.4 – Quanto al secondo aspetto, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell’evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria, per cui non si applica nella liquidazione il criterio del valore venale complessivo dell’edificio e del suolo su cui il medesimo insiste, ma si valuta la sola area, in modo da evitare che l’abusività degli insediamenti possa concorrere anche indirettamente ad accrescere il valore del fondo (Cass., 14 dicembre 2007, n. 26260; Cass. Sez. Un., 14 maggio 2010, n. 11730).

Premesso che il D.P.R. n. 327 del 2001, invocato con il terzo motivo, non si applica, ratione temporis, alla procedura ablativa in esame, deve ribadirsi come questa Corte abbia attribuito alla disposizione della L. n. 685 del 1971, art. 16, comma 9 ("per 1’espropriazione delle aree che risultino edificate…se la costruzione è stata eseguita senza licenza o in contrasto con essa o in base ad una licenza annullata e non è stata ancora applicata la sanzione pecuniaria prevista dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41, comma 2, e successive modificazioni, ne deve essere disposta ed eseguita la demolizione ai sensi dell’art. 26 della citata legge e l’indennità è determinata in base al valore della sola area") carattere generale ed inderogabile, collegato alle disposizioni della L. n. 10 del 1977, art. 15, in materia di abusivismo, e rivolto ad elidere qualsiasi concreta incidenza del fenomeno stesso, pure in presenza di un’area edificabile di diritto e di fatto, sulla sola considerazione della mancanza di licenza o concessione, non altrimenti sanabile o in concreto non sanata dal proprietario: enunciando la regola che in questo caso viene meno la possibilità della liquidazione unitaria del fabbricato, secondo il criterio del valore venale complessivo dell’edificio e del suolo su cui il medesimo insiste, a norma della L. n. 2359 del 1865, art. 39, e si valuta la sola area secondo i criteri più riduttivi fissati nelle diverse disposizioni della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis (cfr. la citata Cass. n. 26260 del 2007, nonchè Cass., 9 aprile 2002, n. 5046; Cass., 26 gennaio 2000, n. 841; Cass. 7 dicembre 1999, n. 13656).

Il riferimento, poi, alla disciplina prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 35, appare generico, e privo di decisività, poichè il "silenzio – assenso" non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine indicato da tale norma e del pagamento dell’oblazione, senza alcuna risposta del Comune, ma occorre altresì la prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dall’art. 31, e segg., della stessa legge, cui è subordinata l’ammissibilità del condono, compresa la circostanza, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 1, che la domanda, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, non sia dolosamente infedele, tutti aspetti la cui ricorrenza non viene neppure allegata dalla Sant’Elvira.

5 – Quanto al settimo motivo, con il quale si deduce violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2 e dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’omessa considerazione del valore dell’area di sedime sulla quale insisteva il fabbricato abusivo esaminato in precedenza, deve rilevarsi che la doglianza si fonda su una premessa di natura fattuale erronea, poichè, avendo la stessa ricorrente affermato che l’area ablata, distinta al fl. 602, part. 999, del Comune di Roma (località (OMISSIS)), ha un’estensione di mq 935 (insistendo su di essa il fabbricato sopra indicato), la Corte territoriale ha considerato, per l’appunto, l’intera superficie, pari, per l’appunto, a mq 935, inclusa, quindi, l’area di sedime della costruzione.

6 – In merito al quarto e al sesto motivo del ricorso principale, nonchè al ricorso incidentale complessivamente considerato, deve preliminarmente rilevarsi come ai ricorsi in esame, aventi ad oggetto un provvedimento emesso nel mese di ottobre dell’anno 2006, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2 marzo 2006 sino al 4 luglio 2009), e, in particolare, l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3, 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Il quarto e il sesto motivo del ricorso principale, così come tutte le censure di quello principale non sono conformi a tali disposizioni, atteso che con tali mezzi vengono dedotti vizi motivazionali, senza che sia formulato quel momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, nel senso sopra evidenziato.

7 – In definitiva, rilevata l’infondatezza del secondo, del terzo e del quinto motivo del ricorso principale, nonchè l’inammissibilità, quanto a detto ricorso, del quarto e del sesto motivo, e del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accoglimento del primo motivo, in quanto la richiesta indennità di esproprio deve calcolarsi con riferimento al valore pieno dell’area espropriata, secondo la previsione della richiamata della L. n. 2359 del 1865, art. 39. 7.1 – Non essendo necessari ulteriori acquisizioni, in quanto dalla decisione in esame emergono gli e-lementi di fatto necessari per la determinazione dell’indennità di espropriazione, ricorrono certamente le condizioni per una decisione nel inerito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Deve, pertanto, assumersi il dato relativo al valore del terreno, senza alcuna decurtazione ai sensi dell’abrogato della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, pari ad Euro 307.615,00, che la decisione impugnata, senza che sul punto risultino proposte censure di alcun genere, indica come "valore venale dell’area", ed entro tale termini deve accogliersi la domanda di determinazione dell’indennità, dovendosi intendersi richiamate, nel resto, le statuizioni della decisione impugnata inerenti al deposito della somma e alla decorrenza degli interessi.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

accoglie il primo motivo del ricorso principale, che rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, determina in Euro 307.615,00 l’indennità di espropriazione relativa al terreno ablato. Condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00, per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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