Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 26-09-2011, n. 34821 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.L., notaio, veniva condannata in primo grado per il delitto di cui all’art. 479 cod. pen. per avere autenticato la firma apposta in calce ad una dichiarazione di vendita di autovettura apparentemente di G.A. ed avere dichiarato di essere certa della identità della G. non presente alla redazione dell’atto.

In secondo grado si dichiarava non doversi procedere contro la P. per essere il reato estinto per prescrizione; la P. ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. veniva condannata a risarcire i danni patiti dalla G. da liquidarsi in separata sede.

La P. proponeva ricorso per cassazione.

La parte civile G. depositava memoria difensiva, con la quale poneva in evidenza la mancanza di specificità dei motivi di ricorso e, comunque, la loro infondatezza.

Con il ricorso per cassazione P.L. deduceva con un primo motivo la violazione della correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza – artt. 521 e 522 cod. proc. pen..

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Va premesso che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale la condotta del notaio che proceda ad autenticare sottoscrizioni non apposte in sua presenza (Sez. 5, 7 luglio – 14 dicembre 2005, n. 45295, CED 232722); ciò è vero anche con riferimento alla autenticazione di una sottoscrizione non apposta in sua presenza concernente un atto di vendita di un veicolo (Sez. 5, 10 febbraio – 11 aprile 2006, n. 12693, CED 12693 e Sez. 5, 15 maggio – 19 giugno 2009, n. 25894, CED 243900).

Inoltre per l’autenticazione della firma di una persona su un atto il notaio deve averne assoluta certezza, che non può in alcun modo prescindere dalla previa identificazione del suo autore e della successiva constatazione de visu della relativa apposizione in sua presenza; cosicchè anche la dichiarazione di avvenuta identificazione e/o di certezza della identità, non precedute dalle necessarie preliminari attività, integrano un delitto di falso ideologico in atto pubblico assistito da fede privilegiata (così Cass., 21 ottobre 1975, Gelpi, anche se vi è un indirizzo diverso che il Collegio non condivide).

Impostata in questi termini la questione nessun rilievo ha il motivo di impugnazione perchè è certo che nel capo di imputazione contestato con il decreto di citazione vi era la precisa indicazione della omissione da parte del notaio dei controlli previsti dalla legge della identità del sottoscrittore dell’atto. In ogni caso le deduzione è infondata anche con riferimento alla intervenuta condanna per la falsità della autenticazione della sottoscrizione non ravvisandosi difetto di correlazione tra quanto contestato e quanto ritenuto in sentenza, eccezione, peraltro, rigettata nei due gradi di merito.

Come ha correttamente osservato la corte di merito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; cosicchè la dedotta violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in relazione all’oggetto della imputazione (S.U. 19 giugno – 22 ottobre 1996, n. 16, Di Francesco; Sez. 2, 16 ottobre – 10 dicembre 2007, n. 45993, CED 239320).

Orbene, come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata, nel corso di tutta l’istruzione dibattimentale di primo grado l’oggetto dell’accusa è consistito nella dimostrazione della falsità della affermazione del notaio relativa alla circostanza che la firma fosse stata apposta in sua presenza. Del resto si tratta di due aspetti strettamente collegati perchè è del tutto evidente che se non si procede, come dovuto, alla corretta identificazione della persona che deve apporre la sua firma in calce ad un atto, e si consente, perciò, che una persona sottoscriva l’atto al posto di un’altra, si finisce con l’autenticare una sottoscrizione falsa.

Quanto alla pretesa mancata contestazione dell’aggravante di cui all’art. 476 cod. pen., comma 2, basterà osservare che consolidata giurisprudenza ritiene essere sufficiente la contestazione del fatto, non apparendo necessaria la indicazione dell’articolo di legge violato.

Ebbene nel caso di specie non vi è alcun dubbio che il fatto è stato contestato con precisione, con la specifica indicazione dell’atto ideologicamente falso redatto; la qualificazione giuridica del fatto compete poi al giudice. Nessuna nullità è, pertanto, ravvisabile sotto il profilo considerato.

Con un secondo motivo di impugnazione la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, ed il vizio di motivazione sul punto. Si tratta, in verità, di deduzioni di merito perchè la ricorrente ha cercato di ricostruire i fatti in modo diverso.

In effetti, la corte di merito, che ha valutato un analogo motivo di appello ai fini della affermazione di responsabilità della P. agli effetti civili ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ha esposto con molta precisione tutti gli elementi probatori che consentivano di ritenere che l’atto di vendita del veicolo fosse stato firmato da persona diversa dalla G.A.; a tali conclusioni la corte è pervenuta in base alla testimonianza della parte lesa, ritenuta, con motivazione non censurabile in sede di legittimità, pienamente attendibile, che ha sempre sostenuto di non avere firmato l’atto e di non avere mai rilasciato la patente di guida al notaio e/o al compratore, e dal raffronto tra la firma apposta in calce al più volte richiamato atto di vendita e quelle apposte su due patenti di guida e sul foglio allegato al verbale di udienza.

Si tratta di accertamenti di merito, che, per essere sorretti da una motivazione immune da manifeste illogicità, non possono essere superati dalle considerazioni contrarie della ricorrente.

In conclusione per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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