Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-06-2011) 26-09-2011, n. 34808 Notificazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 26-11-2009 la Corte d’Appello di Roma, confermando quella del tribunale della stessa città in data 23-11-2006, riconosceva M.M., quale amministratore unico dal 5-11-1995 al 24-3-1997, della società Diurno Service 2000 srl, dichiarata fallita il 12-2-1998, responsabile del reato di cui alla L. Fall., art. 223, per aver cagionato il dissesto della società, e del reato di bancarotta fraudolenta documentale.

La corte riteneva che, se pure M., come da lui sostenuto, fosse stato solo formalmente amministratore della società, ciò non sarebbe stato sufficiente ad esonerarlo da responsabilità in quanto la sua qualifica formale lo avrebbe comunque irrimediabilmente coinvolto negli atti di gestione eventualmente compiuti da altri, perchè obbligato al controllo dell’attività dell’eventuale amministratore di fatto per la tutela degli interessi dei creditori.

Ricorre l’imputato per il tramite del difensore avv. Rosanna Napoli, con tre motivi.

1) Vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), d) ed e) per nullità della notifica a M. del decreto di citazione per il giudizio d’appello, effettuata al difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, tra l’altro oralmente in udienza, nonostante il predetto avesse comunicato, con atto depositato in cancelleria, il proprio trasferimento presso il cugino.

2) Vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), d) ed e) mediante integrale richiamo ai primi due motivi dell’appello. La corte territoriale aveva totalmente ignorato le doglianze relative alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato non tenendo conto che i lavoratori (il mancato pagamento delle retribuzioni dei quali, insieme con l’omesso versamento del dovuto agli enti previdenziali ed impositori, era indicato nell’imputazione come causa della produzione del dissesto) non si erano neppure insinuati al passivo fallimentare, nè era stato accertato il lasso temporale in cui era stato omesso il versamento dei contributi. Neppure la corte romana aveva tenuto conto delle dichiarazioni del coimputato S., assolto, secondo le quali il padrone della società era tale L.N., di cui invano la difesa aveva chiesto l’esame.

3) Vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) mediante richiamo al terzo motivo di appello, relativo alla posizione marginale del M. desumibile dalla significativa circostanza, pure ignorata dalla corte di merito, che il periodo in cui questi aveva ricoperto la carica di amministratore, era stato preceduto e seguito dall’amministrazione del coimputato G.F..

Si chiedeva quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

L’appello è infondato e va disatteso.

Il primo motivo, riguardante la ritualità della notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello, è infondato.

Infatti le doglianze in ordine alla notifica eseguita ex art. 161 c.p.p., comma 4 oralmente in udienza, modalità sulla quale peraltro le parti – presente l’avv. Napoli, difensore del ricorrente – non avevano eccepito nulla -, sono superate dalla considerazione, frutto di accesso agli atti determinato dalla natura della censura proposta, che il precedente decreto di citazione per l’udienza del 26-9-20, risulta regolarmente notificato, a mani proprie dell’imputato, il 26- 8-2008, così come regolare – essendosi ignorata tale notifica perchè acquisita la relativa prova successivamente all’udienza fissata – era stata quella effettuata all’avv. Napoli il 18-2-2009, dopo l’emissione di decreto di irreperibilità del prevenuto.

Superfluamente, dunque, la corte territoriale aveva disposto l’ulteriore notifica ex art. 161 c.p.p., comma 4, a seguito della negatività di quella al domicilio di via (OMISSIS), dove, secondo la documentazione prodotta dall’avv. Napoli soltanto all’udienza del 27-2-2009 (successivamente, quindi, a due rituali notifiche), M. si era trasferito. Di non maggior fondamento sono le censure di merito, in ordine alle quali basterà osservare che, contrariamente all’assunto del ricorrente, i giudici di primo e secondo grado, sul tema degli elementi costitutivi del reato, non hanno ignorato la doglianza relativa alla mancata insinuazione al passivo dei dipendenti della fallita (il mancato pagamento delle retribuzioni dei quali, insieme con l’omesso versamento del dovuto agli enti previdenziali ed impositori, è indicato nell’imputazione come causa della produzione del dissesto), puntualizzandone, diversamente, la mancata ammissione per motivi formali, senza, per altro verso, trascurare l’accertamento del lasso temporale di omesso versamento dei contributi (settembre ’93/giugno ’97).

La corte romana non ha poi ignorato l’aspetto relativo al possibile ruolo di amministratore formale del M., o comunque al suo ruolo marginale, rilevando che ciò non sarebbe stato sufficiente ad esonerarlo da responsabilità in quanto la sua qualifica lo avrebbe comunque coinvolto negli atti di gestione eventualmente compiuti da altri, in virtù dell’obbligo giuridico di vigilanza sull’attività in ipotesi svolta da altri.

Tuttavia l’intervenuto decorso alla data del 12-8-2010, per effetto dell’applicazione della vigente normativa, più favorevole, del termine prescrizionale massimo del reato, determina l’annullamento senza rinvio, per tale causa, della sentenza impugnata.

P.Q.M.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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