Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-06-2011) 26-09-2011, n. 34806

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

MA.GI. ricorre agli effetti civili, per il tramite del difensore avv. Mario Zanchetti, avverso la sentenza 21-1-2010 con la quale la Corte d’Appello di Torino, in accoglimento dell’appello dell’imputato M.C.D. avverso la decisione del Gup del tribunale di Aosta 31-5-2006, ha assolto M. dal reato di diffamazione in danno del Ma..

L’imputazione si riferisce ai giudizi sulla personalità del subordinato Ma., appuntato scelto, espressi dall’imputato, comandante della stazione carabinieri di Breuil Cervinia, in un’annotazione di PG indirizzata sia al comandante della compagnia di Saint Vincent, che alla Procura della Repubblica di Aosta ( Ma. era definito come uno che, pur conoscendo tutti, in quanto in servizio presso quella stazione da sedici anni, "non ha mai brillato per esuberanza operativa, …ha quasi sempre mostrato scarso interesse su tutto, salvo quando è stato costretto ad operare").

La corte ha ritenuto che tale parte dell’annotazione fosse da collegare logicamente con la prima, di esposizione di fatti (un’operazione antidroga fallita perchè lo spacciatore era stato probabilmente informato; la singolare curiosità di Ma. per un’indagine alla quale non aveva preso parte), e che sia gli elementi fattuali, che le caratteristiche di personalità, concorressero a giustificare i sospetti da parte del superiore nei confronti del subordinato, sospetti che il primo aveva il dovere di esternare. I giudizi erano quindi considerati funzionali alla completezza dell’annotazione, finalizzata alla segnalazione di illeciti disciplinari, e alla denuncia di possibili ipotesi di reato.

Con unico motivo Ma. deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 595 e 51 c.p., artt. 331 e 332 c.p.p..

Assume che le espressioni usate, come ritenuto dal giudice di primo grado che aveva affermato la responsabilità del prevenuto, riguardando l’intera carriera pregressa della p.o., sono lesive della sua reputazione e ne pregiudicano la dignità morale e professionale, in quanto i relativi termini, non misurati ed non obiettivi, superano i limiti della continenza, imposti al superiore gerarchico anche in sede di denuncia penale, che deve avere il contenuto di cui all’art. 332 c.p.p..

Si chiede quindi l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

Come correttamente osservato dalla corte territoriale, la disamina delle affermazioni del M. sul conto del militare subordinato, non deve limitarsi ai giudizi espressi dal primo sul comportamento del secondo nell’esercizio delle sue mansioni, ma deve passare attraverso la valutazione combinata delle tre parti di cui si compone l’annotazione.

Come puntualmente ricordato dalla corte territoriale, nella prima parte l’imputato, dopo aver dato conto del contributo informativo di alcuni collaboratori, tra i quali tale B.P., nell’ambito di una indagine riguardante un traffico di stupefacenti nella zona, evidenziava in primo luogo come il progetto, poi non realizzato, di perquisizione con cani antidroga di un locale dei fr.lli Mi., indagati per reati di quel tipo, fosse venuto a conoscenza del Mi. ad opera, secondo quanto riferito dal B., proprio dell’app. Ma.. In secondo luogo M. rilevava come un’operazione antidroga in un altro locale della zona fosse fallita in quanto, proprio la sera dell’appostamento, tale A.A., maestro di sci ritenuto spacciatore, che lo frequentava regolarmente, non si era presentato, soggiungendo che Ma., il quale conosceva quasi tutti i maestri di sci, compreso A., era l’unico militare rimasto in caserma, concludendo che ciò avvalorava l’ipotesi, per quanto priva di riscontri, che l’informatore dello spacciatore fosse stato lui. Seguiva il richiamo ad una ulteriore indagine alla quale Ma., che non vi aveva preso parte, aveva mostrato insolito interesse, anche attraverso l’accesso ad un programma informatico, che l’imputato riteneva attribuibile al subordinato sulla base di considerazioni tecniche esposte nell’annotazione. Nella seconda parte di questa, come pure ricordato nella decisione impugnata, si dava conto di un commento negativo di Ma., diretto ad un carabiniere della caserma, sull’operato di M. nella gestione dei collaboratori, che l’imputato riteneva espressione di astio del subordinato nei suoi confronti, dovuto al fatto di averlo stimolato a lavorare in modo più proficuo.

Nella terza parte dell’annotazione, infine, il graduato esprimeva il giudizio di complessiva passività ed inerzia della condotta professionale del subordinato, sopra richiamato, ritenuto dal giudice di primo grado a contenuto diffamatorio.

L’esame complessivo del contenuto dell’annotazione, peraltro diretta – come non è superfluo sottolineare – soltanto all’organo superiore e alla procura di Aosta, esclusa ogni forma di pubblicità, e la valutazione del collegamento tra le sue varie parti, consentono di ritenere infondata la censura di violazione di legge dedotta dal ricorrente.

La corte territoriale ha correttamente argomentato, in linea con i criteri dettati dalla giurisprudenza di questa corte in materia di diffamazione, che il giudizio di passività e di disinteresse per l’attività svolta, espresso dall’imputato M. sul subordinato Ma., non integrasse lesione della reputazione di questi, in quanto finalizzato alla completezza dell’annotazione, diretta all’accertamento di eventuali infrazioni disciplinari o illeciti penali. Del pari ineccepibilmente la sentenza gravata ha rilevato il nesso funzionale tra la valutazione della condotta professionale dell’appuntato e la giustificazione dei sospetti del superiore (correlati anche alla pluriennale conoscenza del territorio e dei suoi abitanti da parte di Ma., rimasta priva di qualunque sbocco informativo utile) a fronte dell’interesse manifestato da questi per un’indagine alla quale non aveva preso parte, interesse ritenuto anomalo appunto per l’abituale atteggiamento inerte.

Correttamente i giudici di secondo grado hanno poi ritenuto, sempre in sintonia con la giurisprudenza di questa corte, non travalicati i limiti della continenza, in difetto di espressioni mortificatici della persona o attributive di qualità spregevoli, e comunque in assenza di attacchi personali, essendo il giudizio del superiore strettamente limitato alla sfera professionale del subordinato, e funzionale alla valutazione dei fatti riferiti.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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