Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-02-2012, n. 1571 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29.5.2006 la commissione tributaria regionale del Lazio ha confermato la sentenza della commissione provinciale di Roma di rigetto di un ricorso proposto da G.S. contro il silenzio-rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso di una quota dell’Irpef relativa all’anno 1995. L’istanza era stata presentata in data 28 dicembre 1999 al centro di servizio di Roma, in conseguenza di maggiori ritenute rispetto a quelle indicate nel mod. 740/96.

Per respingere l’appello del contribuente, la commissione regionale sostenne che (a) il contribuente aveva invocato, per ottenere il rimborso di quanto versato, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, ma il centro di servizio non poteva disporre rimborsi, sebbene, al massimo, ridurre il credito d’imposta; (b) il contribuente avrebbe dovuto presentare una dichiarazione integrativa in rettifica di quella originaria; (c) l’istanza di rimborso avrebbe dovuto a sua volta essere presentata all’ex intendente di finanza della provincia di domicilio fiscale, e non al centro di servizio; (d) in ogni caso non erano stati rispettati i termini di decadenza di 18 mesi sanciti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 per l’ipotesi di riscossione dell’imposta avvenuta per versamento diretto.

Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un motivo contenente distinte censure. L’amministrazione ha replicato con controricorso.

Il ricorrente ha presentato una memoria.

Motivi della decisione

1. – Il ricorso per cassazione è affidato a censura così enunciata:

"violazione o falsa applicazione D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, commi 1 e 2, lett. a) e art. 36 ter, comma 2, lett. d;

del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 38 e 41; della L. 24 aprile 1980, n. 146, art. 8; del D.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, art. 4, comma 1, lett. d, artt. 6 ed 8; del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, art. 40, comma 1, lett. b; della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 1, comma 5 e del decreto del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 27 dicembre 2001 ( art. 360 c.p.c., n. 3) Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5)".

Nel corpo della censura si sostiene, all’esito dei citati riferimenti normativi, che la commissione è incorsa in plurimi "errori di diritto" in quanto:

– l’esecuzione dei rimborsi è stata demandata dalla L. n. 146 del 1980 e dal successivo D.P.R. n. 787 del 1980 proprio ai centri di servizio, con previsione confermata dal D.P.R. n. 287 del 1992, la cui perdurante competenza risulta dalla soppressione degli stessi avvenuta (in particolare quanto al centro di servizio di Roma) solo a far data dal 31 dicembre 2001;

d’altronde, in presenza di un’erronea presentazione dell’istanza di rimborso a ufficio non competente resta configurabile il silenzio- rifiuto, stante l’obbligo di trasmissione incombente sull’ufficio;

– il termine di decadenza, ai fini della presentazione dell’istanza di rimborso, era stato rispettato, non avendo la commissione tenuto conto della elevazione del detto termine a 48 mesi ai sensi della L. n. 133 del 1999, art. 1, comma 5. 2. – In conclusione della sintetizzata esposizione vengono formulati quattro quesiti di diritto: "1) Dica la Suprema Corte se l’Amministrazione finanziaria abbia il potere-dovere di correggere l’errore materiale commesso dal contribuente nell’indicare nella dichiarazione dei redditi l’importo delle ritenute alla fonte subite e di disporre il rimborso delle stesse, ove risultino superiori all’imposta dovuta, anche in base ai documenti richiesti al contribuente.

2) Dica la Suprema Corte se la competenza a ricevere l’istanza di rimborso delle ritenute alla fonte, subite nel 1995 e risultanti superiori all’imposta dovuta in base alla dichiarazione dei redditi presentata nel 1996, spettasse nel 1999 al centro di servizi delle imposte dirette ed indirette di Roma.

3) Dica la Suprema Corte se, nell’ipotesi (subordinata) di incompetenza del centro di servizio, questo fosse tenuto a trasmettere l’istanza all’ufficio competente, con conseguente formazione, in difetto, del silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi alla commissione tributaria.

4) Dica la Suprema Corte se il termine di decadenza per l’istanza di rimborso indicata sub 2 sia di quarantotto mesi dalla data delle dichiarazione dei redditi, momento in cui si concretizza nel quantum il tributo effettivamente dovuto". 3. – Secondo l’art. 366-bis c.p.c., ancora applicabile alla fattispecie in quanto relativa a sentenza pubblicata il 29.5.2006, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione dì un quesito di diritto che consenta alla Corte di enunciare un corrispondente principio di diritto.

Codesto quesito, nell’impugnazione in sede di legittimità conclusivo di qualsiasi motivo addotto nel ricorso, è da concepire, a seguito dell’orientamento assunto dalle sezioni unite di questa Corte, alla stregua di istituto di genere, comprensivo e del quesito di diritto propriamente inteso, e del quesito motivazionale ( art. 366-bis c.p.c., comma 1, con riguardo ai due periodi in cui la norma è articolata).

La formulazione del quesito di diritto, in particolare, trova ragione nel bilanciamento (o nella coniugazione – v. sent. n. 20603/2007) dell’interesse personale e specifico del ricorrente – a una decisione della lite diversa (e più favorevole) – con l’interesse generale all’esatta osservanza e all’uniforme interpretazione della legge, sicchè alle parti è "imposto l’onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica" di cui il ricorrente auspica una soluzione più favorevole da quella adottata dalla sentenza impugnata.

Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, che s’è venuta via via formando, è dunque chiaro: a) che non possono più proporsi, come accadeva nel regime precedente, motivi cumulativi per violazione di legge e per vizi di motivazione; b) che devono essere tenuti distinti i motivi per le diverse illegittimità previste nell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1 a 4; c) che, in particolare e per quanto qui rileva, il motivo per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve evidenziare l’elemento strutturale della norma che si assume violato (ex plurimis, Cass. n. 22499/2006; n. 27130/2006; n. 4071/2007; n. 4640/2007; n. 13229/2007; n. 1906/2008);

d) che viola l’art. 366-bis c.p.c. il ricorso che risulti caratterizzato da un unico motivo concluso da quesiti multipli e cumulativi (cfr. invero Cass. n. 5471/2008, cui adde Cass. n. 8780/2010).

4. – Nel caso di specie si deve osservare che la censura denuncia indistintamente e in modo unitario un coacervo di asseriti errori di diritto in cui il giudice del merito sarebbe incorso; con finale formulazione, in sequenza, di quattro quesiti, il terzo dei quali formulato in subordine rispetto al secondo. Mentre, in base al precetto dell’art. 366-bis c.p.c., ci si dovrebbero attendere tanti diversi corpi argomentativi quanti sono i vizi in iudicando della sentenza d’appello denunciati nell’epigrafe del motivo di impugnazione, con terminale enunciazione, per ciascun corpo argomentativo, del corrispondente (pertinente) quesito.

Questa semplice constatazione può considerarsi sufficiente per ritenere l’inammissibilità del motivo e del corrispondente ricorso che lo contiene. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.500,00 oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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