Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-02-2012, n. 1569 Base imponibile Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A. chiese il rimborso dei contributi versati nel 1999 per il riscatto di laurea, sul presupposto che per tali oneri, anteriormente indicati nella dichiarazione annuale per l’importo massimo della detrazione ritenuta spettante, fosse in verità stabilita una deduzione integrale ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. e), del vigente T.u.i.r..

Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente lo impugnò dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Roma ribadendo la stessa tesi. Il ricorso fu accolto con sentenza poi confermata, in appello, dalla commissione tributaria regionale del Lazio. Il giudice d’appello, con sentenza n. 192/36/2006, ritenne – per quanto ancora unicamente rileva – che i contributi versati per il riscatto di laurea dovessero essere assimilati ai contributi previdenziali obbligatori previsti dalla citata disposizione del Tuir, essendo in molti casi funzionali al raggiungimento dell’anzianità pensionistica, così da dover essere considerati interamente deducibili dal reddito anche in ragione della necessità di evitare una possibile disparità di trattamento tra situazioni omologhe.

L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza suddetta, articolando un motivo di censura. L’intimato ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo l’amministrazione denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1, lett. e), del T.u.i.r. e del D.Lgs. n. 47 del 2000, artt. 13 e 16, nonchè dell’art. 11 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che la deduzione integrale dei contributi versati per il riscatto di laurea era stata introdotta nell’ordinamento dal D.Lgs. n. 47 del 2000, in virtù di apposita modifica del testo dell’art. 10 del Tuir, ma solo per i contributi versati a partire dal 1 gennaio 2001. Mentre, per i periodi anteriori, i contributi medesimi potevano fruire di una parziale detrazione (fino al lire 2.500.000) ai sensi dell’art. 13 bis, comma 1, lett. f), del T.u.i.r..

Formula al riguardo il previsto quesito di diritto in consonanza con la tesi "che i contributi volontari per il c.d. riscatto del periodo di laurea, versati anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche al Tuir introdotte dal D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 13, non sono integralmente deducibili dal reddito personale del contribuente, non essendo la predetta disposizione normativa da considerarsi di interpretazione autentica e, in quanto tale, retroattiva, a ciò, tra l’altro, ostando insuperabilmente la disposizione del comma 1 del D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 16, medesimo". 2. – Il motivo è fondato, dovendo la controversia essere risolta in base all’ormai consolidato principio che, in tema di Irpef, vuole la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito complessivo limitata ai casi in cui l’obbligo della contribuzione deriva direttamente ed esclusivamente da disposizioni di legge. Donde la stessa non è applicabile nelle diverse ipotesi in cui, invece, la contribuzione si riconnetta a una scelta volontaria del lavoratore.

Tanto da questa Corte è stato affermato (v. Cass. n. 791/2002; n. 3560/2002; n. 1642/2005; n. 6724/2008; n. 8208/2011) con riferimento alla omologa fattispecie dei contributi versati all’Inpdai per la ricongiunzione di periodi assicurativi (ai sensi della L. 7 febbraio 1979 n. 29).

Il criterio di giudizio va qui confermato anche in rapporto ai contributi per il riscatto del periodo di laurea, dovendo essere escluso (nè il contrario è d’altronde neppure paventato dalla commissione territoriale) che il D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 13, comma 1, lett. a) e b), – che in generale ha esteso il beneficio della deducibilità alle contribuzioni facoltative, con effetto relativamente ai contributi versati, ai rendimenti maturati, ai contratti stipulati, alle prestazioni maturate, alle rendite erogate a decorrere dal 1 gennaio 2001 – abbia natura di norma interpretativa; e quindi efficacia retroattiva rispetto a fattispecie come quella che qui rileva, soggette – ratione temporis – all’art. 10, comma 1, lett. e), e all’art. 13 bis, comma 1, lett. f), del T.u.i.r. nel testo anteriore.

3. – Posta la sostanziale diversità di presupposto – essendo di tutta evidenza che la mera previsione legislativa di contribuzioni integrative non è sufficiente a configurare un obbligo (sanzionabile) per il contribuente, trovando la contribuzione titolo nella volontà e autonomia di quest’ultimo – può aggiungersi che non appare minimamente sostenibile il dubbio di costituzionalità infine ipotizzato dalla commissione regionale a sostegno della distinta tesi della necessitata equiparazione, ai fini fiscali, quoad effectum, tra contributi obbligatori e contributi volontari per il riscatto di laurea. L’affermazione si regge sulla asseritamente ingiustificata disparità di trattamento che ne deriverebbe tra contribuenti in sostanziale identica posizione, in ragione del semplice momento di esordio dell’attività lavorativa e del connesso ciclo contributivo.

Ma può in contrario osservarsi che il principio costituzionale di uguaglianza – all’uopo evocato dalla commissione regionale – presuppone l’esistenza di situazioni uguali riferibili a uno stesso periodo di tempo. Per cui non può essere richiamato quando si ha il succedersi nel tempo di situazioni diversamente regolate (v. in proposito Cass. n. 16062/2004; n. 1642/2005 cit.). Che anzi – come affermato da sez. un. n. 12137/2004 – la successione delle legge nel tempo, purchè rispondente a criteri di ragionevolezza, non può mai porsi come fonte di illegittime discriminazioni, costituendo di per sè il fluire del tempo un fatto di disomogeneità delle situazioni poste a confronto. E la giustificazione di un diverso trattamento tributario dei contributi previdenziali facoltativi trovasi nell’esigenza legìttimamente perseguita dal legislatore – di procedere a una riforma complessiva della fiscalità con riguardo al sistema della previdenza complementare.

4. – Il ricorso merita pertanto accoglimento, sicchè l’impugnata sentenza, in applicazione del superiore principio di diritto, va cassata.

Non essendo la causa bisognevole di ulteriori accertamenti di fatto, può in questa sede procedersi alla definizione del merito della controversia, col rigetto dell’impugnazione del contribuente avverso il silenzio-rifiuto.

Le spese processuali possono essere compensate, quanto ai gradi di merito, per giusti motivi conseguenti alla non ancora definita esistenza, all’epoca, di un contrario diritto vivente. Quelle del giudizio di cassazione seguono, invece, interamente la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza, e. decidendo nel merito, rigetta il ricorso avverso il silenzio-rifiuto;

compensa le spese processuali relative ai gradi del giudizio di merito e condanna l’intimato alle spese relative al giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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