Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 26-09-2011, n. 34789 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.T. è stato assolto dalla corte di appello di L’Aquila dal reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 5 perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Nei confronti dello stesso imputato la pena è stata invece rideterminata in relazione al comma 1 del medesimo articolo contestato perchè, in qualità di legale rappresentante della società cooperativa agricola Cantina Sociale Tollo, in assenza della prescritta autorizzazione, effettuava nella fognatura pubblica lo scarico di acque reflui industriali provenienti dal ciclo di produzione del vino, che presentavano valori eccedenti i limiti fissati dalla tabella 3 dell’allegato 5, parte 3, relativamente ai parametri "odore Bod 5 e COD".

Si rileva, in particolare, nella sentenza impugnata che le emergenze fattuali risultano pacificamente conclamate nel senso che la cooperativa rappresentata dall’imputato aveva realizzato un nuovo depuratore che al momento dell’accertamento era regolarmente in funzione e scaricava le acque reflue nel pozzetto di collegamento alla rete fognaria. Quanto al rilievo formulato dalla difesa secondo cui lo scarico era stato debitamente autorizzato per le acque provenienti dal vecchio depuratore, si fa rilevare, in conformità alle motivazioni del primo giudice, che l’autorizzazione in questione si riferiva in realtà alle sole acque meteoriche o a quelle derivanti da usi civili e che non era quindi estensibile a quelle di natura industriale, come sostenuto dalla difesa. Ciò posto, deduce in questa sede il ricorrente:

1) la violazione degli artt. 74 e 80 c.p.p. e la mancanza di motivazione con riferimento alla omessa esclusione della parte civile. Si assume che la corte di appello avrebbe dovuto riesaminare la questione della effettiva sussistenza del diritto al risarcimento del danno senza limitarsi ad un richiamo della valutazione di primo grado.

2) mancanza di motivazione sul rilievo formulato nei motivi di appello secondo cui l’atto acquisito al fascicolo del dibattimento non era riferibile all’atto autorizzatorio cui hanno fatto riferimento agli organi investigativi in merito alla autorizzazione allo scarico in fogna del vecchio depuratore.

3) illogicità è contraddittorietà della motivazione e violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 2 contestandosi che le maggiori quantità scaricabili dal nuovo impianto siano frutto di mere ipotesi formulate del giudice di appello senza alcun riferimento ad atti processuali.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Con il primo motivo di ricorso si insiste sulla doglianza relativa alla mancata esclusione della parte civile rilevando che la violazione contestata – D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1 costituisce una violazione formale della vigente normativa che non rappresenta di per sè una compromissione dell’ambiente e che non è ipotizzabile un diritto costituzionalmente inviolabile alla fungibilità ambientale ove non siano interessati profili di salubrità.

Ciò posto sulla causalità della condotta rispetto al danno, i giudici di appello hanno evidenziato che lo scarico illegittimo è da ritenersi in relazione causale con il danno lamentato dalle parti civili nel senso che se non fosse stato attivato lo scarico contro legge, nemmeno sarebbero state in funzione le vasche di decantazione del depuratore da cui provenivano gli effetti molesti e maleodoranti.

E, dunque, la parte civile è stata nella specie correttamente ritenuta legittimata in relazione al pregiudizio direttamente subito nella vita quotidiana ed al perturbamento psicologico direttamente risentito in relazione agli effluvi molesti e maleodoranti connessi all’attività di scarico non autorizzata.

Come già affermato dalla Corte, non vi può essere dubbio, infatti, che debba ritenersi legittimato a costituirsi parte civile il cittadino che non si dolga del degrado dell’ambiente, ma faccia valere una specifica pretesa in relazione a determinati beni, quali cespiti, attività, diritti soggettivi individuali (come quello alla salute), in conformità alla regola generale posta dall’art. 2043 cod. civ.. (sez. 1, sent. n. 10337 del 12/10/1992 rv 192304).

Nè è stato posto in dubbio che proprio l’attività di scarico, non autorizzata, sia stata foriera nella specie degli effluvi maleodoranti per le ragioni correttamente indicate dai giudici di merito.

Del tutto generico si appalesa il secondo motivo di ricorso non indicandosi l’atto di cui il giudice di merito non avrebbe tenuto conto, nè il contenuto di esso, nè le ragioni per le quali quello preso in considerazione non era in realtà l’atto autorizzativo cui avevano fatto riferimento gli organi investigativi ma, soprattutto, non confrontandosi il ricorrente con la considerazione ritenuta centrale nel ragionamento seguito dai giudici di merito, secondo cui lo stesso ricorrente aveva provveduto a chiedere una nuova autorizzazione proprio in quanto consapevole della necessità di un nuovo provvedimento.

Si appalesano, infine, di merito i rilievi formulati con il terzo motivo sulla maggiore capacità di smaltimento del nuovo impianto genericamente contestandosi l’esistenza di elementi di prova al riguardo.

Al rigetto del ricorso consegue per il ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali nonchè il rimborso delle spese sostenute dalla parte civile liquidate in Euro 2500 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile liquidate in favore del difensore in Euro 2500 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011

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