Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 26-09-2011, n. 34785 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Milano con sentenza emessa il 22 giugno 2010, ha confermato la sentenza emessa all’esito di rito abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Lecco il 12 ottobre 2009, con la quale P.G. è stato condannato alla pena di anni dodici di reclusione, perchè costringeva con violenza V.G., Va.Gi. a toccare e farsi toccare e a subire e compiere rapporti orali e perchè costringeva con atti subdoli e repentini M.S., C.J. e I.M. a compiere e subire atti sessuali, consistiti in palpeggiamenti, con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno di minori di anni 14 e di anni 10 e ad opera di ascendente, con la recidiva specifica; fatto commessi in (OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Inosservanza od erronea applicazione della legge penale e mancata motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di effettuazione di perizia psichiatrica sull’imputato, richiesta già rigettata in primo grado, in quanto era necessario verificare la sussistenza di un quadro psicopatologico. La Corte di appello aveva respinto la richiesta muovendo dal presupposto erroneo che la capacità di intendere e di volere sia presunta e gravi sulla difesa l’onere di prospettare elementi specifici per far dubitare di essa.

Di contro gli studiosi della materia avrebbero evidenziato che la pedofilia è una patologia, che si inquadra nell’ambito delle perversioni sessuali, e a tale proposito nel ricorso sono state illustrate ampiamente le diverse teorie sull’interpretazione psicologica e psichiatrica della pedofilia e sugli aspetti clinici della personalità del pedofilo. Il ricorrente ha evidenziato che tra le garanzie costituzionali vi sarebbe anche quella di non impedire che le scienze psicologiche e psichiatriche svolgano le dovute indagini sul soggetto agente, non potendosi dare per scontata in reati di questo tipo l’imputabilità del soggetto agente.

Motivi della decisione

1. Va premesso che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lornbardozzi, Rv. 221116).

Il principio va riaffermato e in un caso come quello di cui si tratta l’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, esprimendo la propria condivisione per le considerazioni valutative e l’applicazione dei principi di diritto esposti ed ha sviluppato una propria autonoma argomentazione, all’esito dell’esame delle censure avanzate dagli appellanti, confermando, in particolare, la non necessità di disporre una perizia psichiatrica sulla persona dell’imputato.

2. Inoltre, come emerge dalla lettura della decisione di primo grado, l’imputato aveva formulato originariamente richiesta di rito abbreviato condizionato all’espletamento di tale perizia e, in via subordinata, richiesta di rito abbreviato ed. "secco". Il G.U.P., nel rigettare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, aveva ritenuto che non emergesse l’esistenza di problemi psichiatrici e che nessun documento era stato prodotto dalla difesa a supporto della richiesta, concludendo per la non necessità della prova. Di conseguenza il rito abbreviato si è svolto "allo stato degli atti", anche se la difesa ha inteso riproporre la questione inerente alla rilevanza della prova richiesta, sollecitando la decisione del giudice ex officio, con il risultato che il G.U.P. ha confermato la non necessità dell’incombente istruttorio.

La giurisprudenza ha affermato che nel procedimento celebrato con rito abbreviato, "la mera sollecitazione probatoria non è idonea a far sorgere in capo all’istante quel diritto alla prova, al cui esercizio ha rinunciato formulando la richiesta ai rito alternativo non condizionato" (Sez. 5, n. 5931 del 7/12/2005, Capezzuto, Rv, 233845), ne consegue che il mancato accoglimento di tale richiesta non può costituire vizio censurabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d): pertanto i motivi di ricorso presentati devono essere valutati sotto il solo profilo del vizio della motivazione riconducibile alla fattispecie processuale di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) (in tal senso, , Sez. 2, n. 35987 del 17/6/2010, Melillo, Rv. 248181).

3. Per quanto attiene al rapporto tra disturbi di personalità e capacità di intendere e di volere, le Sezioni Unite hanno chiarito che, "ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità, che non sempre sono inquadragli nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purchè siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale", mentre invece "nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonchè agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità" (SSUU. n. 9163 del 25/1/2005, Raso, Rv. 230317).

Per quanto attiene alla pedofilia, la scienza psichiatrica l’ha definita come un tipo di parafilia, la quale, se non sia accompagnata da un’accertata malattia mentale o da altri gravi disturbi della personalità, è una semplice devianza sessuale, senza influenza sulle capacità intellettive e volitive, da catalogare tra i disturbi di personalità e le nevrosi, di regola lontana dai quadri sintomatici che qualificano la malattìa mentale, i quali si caratterizzano, invece, dalla perdita del rapporto con il contesto reale, destrutturazione della personalità, dissociazione affettiva ed ideativa, allucinazioni e deliri, elementi tutti che incidono sui processi di determinazione dei comportamenti e/o di autoinibizione e quindi in grado di diminuire ed escludere la capacità di intendere e di volere dell’autore del fatto.

4. Ciò premesso, questa Corte osserva che la motivazione della sentenza impugnata sul tema dell’invocato accertamento peritale risulta immune da vizi, in quanto è stata congruamente ed adeguatamente motivata la valutazione dei giudici di appello che hanno escluso la necessità di disporre una perizia psichiatrica sull’imputato. Infatti se pure è vero che l’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato non necessita della richiesta di parte e può essere compiuto anche d’ufficio dal giudice del merito, ciò può avvenire quando vi siano elementi per dubitare dell’imputabilità (Cfr. Sez. 3, n. 19733 dell’8/4/2010, Vinci, Rv.

247191). I giudici hanno invece posto in evidenza che non sono acquisite agli atti, nè sono state fornite dalla difesa, certificazioni mediche dalle quali eventualmente potesse scaturire la necessità di verificare l’incapacità processuale dell’imputato o l’esistenza di un vizio di mente, atteso che il mero dato anagrafico (soggetto ottantenne) e la presenza di momentanei deficit mnemonici dovuti all’età, adombrati dalla difesa, non possono costituire, di per sè, indici di assenza o riduzione della capacità di intendere e di volere del soggetto al momento di commissione degli abusi sessuali posti in essere nei confronti delle minori.

D’altra parte il giudice di primo grado aveva dato atto che nel corso dell’interrogatorio di garanzia, che si era svolto il 19 marzo 2009, l’imputato aveva dimostrato sia di comprendere perfettamente le accuse, sia di essere capace di difendersi, indicando a scusante un possibile un fraintendimento da parte delle nipoti di quelli che erano stati meri comportamenti confidenziali e giocosi.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed a rimborsare alla parte civile le spese sostenute in questo grado, che liquida in Euro milleottocento, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al rimborso delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, che liquida in Euro milleottocento oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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