Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 26-09-2011, n. 34784 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.R., veniva condannato in primo grado alla pena di giustizia per i reati di cui agli artt. 605 e 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., nn. 2) e 4), perchè in data 5.2.09 privava della libertà personale P.E. costringendola in (OMISSIS), sotto la minaccia di un coltello, a salire sulla propria autovettura e conducendola a (OMISSIS) presso il residence ove egli risiedeva, ed ivi, con violenza e minaccia consistita nel colpirla con pugni e schiaffi e nel brandire un coltello, costringeva la predetta a subire atti sessuali.

La corte di appello riformava la decisione di primo grado, riducendo la pena, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate ed alla recidiva.

Propone in questa sede ricorso per cassazione l’imputato deducendo:

1) manifesta illogicità della motivazione in relazione all’attendibilità della persona offesa;

2) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla credibilità della persona offesa, smentita, secondo il ricorrente, dalle prove testimoniali documentali prodotte dalla difesa.

3) manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione di legge in relazione alla diminuente della minore gravità di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Con il primo motivo il ricorrente premette che la P., all’epoca dei fatti contestati, continuava in realtà a frequentare l’imputato con il quale aveva avuto una relazione, anche se a tratti il rapporto era diventato burrascoso e si duole dell’assenza di riscontri alle dichiarazioni della p.o. nonchè di una serie di contraddizioni del racconto di quest’ultima, rappresentate già al giudice di appello, ma da quest’ultimo illogicamente valutate in termini di attendibilità della donna. In particolare sottolinea che la p.o. avrebbe inizialmente negato – poi rettificando la versione – la prosecuzione del rapporto con l’imputato e che, inoltre, la donna aveva falsamente affermato che la mattina in cui sono accaduti eventi, si stava recando ad un incontro di lavoro presso una famiglia e che, inoltre, due testimoni avevano smentito la denunciami che aveva affermato di non essersi mai recata in precedenza nell’abitazione dell’imputato ed, infine, che non vi è coincidenza tra l’orario di arrivo all’abitazione del M. indicato dalla donna e quello indicato dai coinquilini di quest’ultimo.

Ciò posto, deve tuttavia rilevarsi anzitutto che già il giudice di primo grado aveva correttamente indagato anzitutto sull’esistenza di un movente per accuse calunniose logicamente escludendolo anche alla luce del comportamento della vittima non costituitasi parte civile.

Quanto alle incongruenze del racconto della donna denunciate dall’imputato, esse sono state partitamente esaminate dei giudici di appello che, con motivazione logica e congruente, hanno indicato le ragioni della irrilevanza del contrasto sul termine della relazione con il ricorrente, nonchè sulla circostanza che in realtà la p.o. già lavorava presso la famiglia indicata per l’appuntamento, logicamente attribuendo l’imprecisione alla non ancora intervenuta regolarizzazione del rapporto lavorativo;

Ugualmente esaminati risultano i contrasti relativi all’orario in cui la donna sarebbe entrata nell’abitazione dell’imputato, avendo il giudice di appello rilevato in maniera assolutamente corretta come il teste abbia in realtà mutato la versione in udienza dopo avere inizialmente confermato le dichiarazioni della donna sull’orario.

Soprattutto, tuttavia, la sentenza di merito pone in evidenza l’esistenza di precisi riscontri al narrato della donna su quanto accaduto quel giorno, indicando i certificati medici e le deposizioni testimoniali di coloro ai quali la donna si è rivolta per chiedere aiuto, concordi nel riferire di vistosi segni di percosse e pugni.

E’, dunque si appalesa infondato il primo motivo di ricorso.

Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso.

Con esso, tra l’altro, sostanzialmente si contesta la valenza di riscontro dei certificati medici rispetto ai reati contestati.

Va tuttavia rilevato che sul punto la censura attiene al merito apparendo del tutto logico collegare le violenze al narrato della donna in considerazione delle dichiarazioni dei testi che avevano riferito di richieste di aiuto da parte della stessa, mentre si trovava nell’abitazione dell’imputato.

La gravità dell’episodio nel suo complesso, anche in relazione alle modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, induce a ritenere correttamente esclusa la diminuente dell’u.c., non rilevando evidentemente i pregressi rapporti personali, ed apparendo incontestabile l’elevato grado di coartazione della volontà della donna costretta a subire le "attenzioni" dell’imputato dopo essere stata condotta contro la sua volontà dall’imputato nella sua abitazione sita addirittura in città diversa.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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