Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-02-2012, n. 1560 Ritenuta di imposta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione (illustrato da successiva memoria) nei confronti di R.F.S. (che resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale anch’esso illustrato da successiva memoria) e avverso la sentenza con la quale – in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto sulla istanza di rimborso delle ritenute operate dal Fondenel nel momento in cui, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro come dirigente Enel, il fondo previdenziale predetto aveva corrisposto al contribuente una somma di danaro in luogo del trattamento di pensione integrativa -, la C.T.R. Lazio, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, riteneva che il regime applicabile nella specie fosse quello relativo alle prestazioni in forma di capitale corrisposte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, ossia la ritenuta del 12,50% sulla parte relativa al rendimento ed invece l’aliquota prevista per la tassazione del T.F.R. per la parte relativa all’importo dei contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro.

2. Deve innanzitutto disporsi la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Con i primi due motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente perchè connessi, l’Agenzia contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, che nel caso di specie fosse possibile ritenere che le somme de quibus erano state corrisposte sulla base di un contratto di assicurazione o di capitalizzazione.

Le censure sono solo parzialmente fondate, nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.

Le Sezioni Unite di questa Corte, esaminando la questione dei criteri di tassazione applicabili in analoga controversia, hanno affermato che la somma percepita dal contribuente e sulla quale sono state operate le ritenute contestate, è stata erogata da un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente ed è composta da una sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore) e da un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato (v. SU n. 13642 del 2011). Su questa base, nella medesima sentenza le sezioni unite hanno affermato il seguente principio di diritto: "In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la "sorte capitale", corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17" (v. SU n. 13642 del 2011 citata e numerose altre conformi), dovendo evidentemente intendersi per rendimento il "rendimento netto", imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

Nella specie i giudici d’appello, pur affermando che sulla parte relativa al rendimento deve applicarsi la ritenuta del 12,50%, con una apparente applicazione del principio ora richiamato, sono pervenuti a conclusioni generiche che non risultano sorrette da una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, non essendo stato compiuto un accertamento sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%.

Col terzo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente sostiene che non era sufficiente a provare il diritto al rimborso l’affermazione dei giudici d’appello secondo la quale l’Ufficio non aveva provato che la somma fu corrisposta all’Enel sulla base di un accordo transattivo, tenuto conto che l’Ufficio aveva ricordato in appello che l’onere della prova gravava sul contribuente.

La censura risulta assorbita da quanto affermato in relazione ai motivi che precedono.

Con un unico motivo di ricorso incidentale, il ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano riconosciuto l’applicazione della tassazione separata sui contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia pure per la parte in eccedenza rispetto al 4% delle retribuzioni annue.

Il ricorso è inammissibile innanzitutto perchè in esso non si indica il vizio denunciato – e neppure la corrispondente norma del codice di rito -, essendo in proposito da evidenziare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, ciascuno dei quali, anche prima della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con limitata elasticità dal legislatore, e che la tassatività e specificità dei motivi di censura impongono una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (v. tra le altre cass. n. 18202 del 2008).

E’ poi appena il caso di evidenziare che, ove il ricorrente incidentale abbia inteso denunciare un vizio ai sensi dei numeri 3 e/o 4 dell’art. 360 c.p.c., mancherebbe il quesito di diritto richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., mentre, ove il suddetto ricorrente abbia inteso denunciare (anche o solo) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 mancherebbe l’illustrazione sintetica richiesta dall’ultima parte dell’art. 366 bis c.p.c..

I primi due motivi del ricorso principale devono essere pertanto parzialmente accolti, con assorbimento del terzo motivo, mentre il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti delle censure accolte, con rinvio ad altro giudice perchè accerti, in coerente applicazione con il principio di diritto enunciato, il rendimento derivante dall’impiego sul mercato del capitale costituito dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Lazio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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