Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 26-09-2011, n. 34781 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.G. e I.C. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Messina confermava quella del tribunale della medesima città che li aveva condannati entrambi alla pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 e 609 quater perchè in concorso tra di loro compivano atti sessuali completi con la minore convivente D.A., anche concependo il neonato D.S..

Accertato dal (OMISSIS).

Deducono in questa sede i ricorrenti: V..

1) inosservanza o erronea applicazione dell’art. 609 quater c.p., art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2, art. 2 c.p.. I giudici, secondo il ricorrente, sono incorsi in errore ritenendo la sussistenza del reato e la procedibilità d’ufficio in relazione al rapporto di convivenza senza tenere conto la stessa era stata introdotta solo nel febbraio 2006. Si aggiunge che il rapporto di convivenza non può essere scambiato in nessun caso con la presenza occasionale nell’immobile della donna e che, anche nel caso in cui si dovesse ritenere provato il rapporto di convivenza andrebbe applicata comunque la pregressa disciplina, in quanto più favorevole, in ordine alla condizione di procedibilità;

2) violazione degli artt. 191 e 512 c.p. nonchè degli artt. 351 e 362, contraddittorietà manifesta illogica della motivazione essendosi data erroneamente lettura delle dichiarazioni di T. G., patrigno della minore, tenendo conto solo dell’evento morte avvenuto il (OMISSIS), senza considerare che alla data del 22 novembre 2006, data in cui era stata depositata la perizia del dott. G. con cui si attestava che il T. era affetto da un tumore in stadio terminale, era già prevedibile l’avveramento del decesso poi avvenuto il mese successivo. Ciò in quanto già nel dicembre 2005 la dott.ssa C., psicologa in servizio presso la cooperativa che aveva seguito la minore, aveva consegnato ai carabinieri una relazione nella quale si faceva tra l’altro riferimento alla malattia terminale, secondo quanto appreso dall’assistente sociale del comune. Si eccepisce inoltre la violazione dell’art. 199 c.p.p. non essendo stato dato al teste l’avvertimento della possibilità di rendere testimonianza in danno del congiunto (la I.);

3) mancata applicazione art. 609 quater, comma 2 per palese induzione in errore sulla età da parte della minore;

4) mancata applicazione dell’art. 609 quater c.p., comma 4 e inosservanza dell’art. 62 bis.

I..

1) violazione dell’art. 40 c.p., comma 2 contestandosi la posizione di garanzia nei confronti del corretto comportamento sessuale dei figli in quanto non si è tenuto conto delle condizioni della donna priva di istruzione, fragile psicologicamente, violentata per anni dal padre e dell1 incapacità di sapere se e quando alcuni atteggiamenti superano il limite del normale per assurgere al disvalore sociale.

2) violazione dell’art. 512 c.p. con riferimento alle dichiarazioni del T.; violazione dell’art. 47 c.p. e art. 609 quater c.p., comma 4.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.

Per quanto concerne la posizione di V. si rileva quanto segue.

In ordine al primo motivo, va anzitutto premesso che la corte di merito ha adeguatamente motivato sull’esistenza del rapporto di convivenza, richiamando le dichiarazioni di quattro testimoni ( C., S., A., T.) nonchè quelle rese dalla minore al riguardo e dal CTU G.. Ciò posto si rileva il ricorrente pone una serie di questioni con l’obiettivo di contestare l’esistenza del ritenuto rapporto di convivenza e/o l’epoca dei rapporti, sottolineando al riguardo la grave infermità occorsa all’imputato nel marzo 2006, oltre allo stato di gravidanza della donna e contestando la decisività delle testimonianze indicate dal tribunale, prima, e dalla corte di appello poi.

Tali questioni attengono, in realtà, al merito della valutazione ed esulano, come tali, dal giudizio di legittimità.

Premesso, infatti, che la grave infermità occorsa all’imputato nel marzo 2006, oltre allo stato di gravidanza della donna, non sono di per sè ostativi sul piano logico al rapporto di convivenza, si deve rilevare come in questa sede non possa essere sindacato il merito della valutazione ed, in particolare, il giudizio di decisività degli elementi di prova quando – come nella specie – adeguatamente e logicamente motivato.

In proposito correttamente si evidenzia in motivazione la importanza delle dichiarazioni del Maresciallo A. più volte recatosi presso l’abitazione fino al novembre 2006, soprattutto per calmare il figlio della I. ed il rinvenimento in tali occasioni, sia di giorno che di notte, dell’imputato in pantofole, nonchè quelle rese dalla p.o..

E certo, in presenza di conferma in dibattimento di tale attività, non può ritenersi decisiva la mancata annotazione delle date e degli orari degli accessi sottolineata dal ricorrente.

Rimane allora da esaminare la questione della procedibilità di ufficio.

Al riguardo occorre anzitutto ricordare che la contestazione si estende fino al novembre 2006 e che la modifica all’art. 609 septies, n. 2) – alla quale fa cenno il ricorrente – è stata introdotta con la L. 6 febbraio 2008, n. 38, art. 7 pubblicata sulla G.U. n. 38 del 15.2.2006, anche se il ricorrente contesta nel merito il termine indicato A tutto concedere al principio del favor rei si devono ritenere, quindi, in ogni caso, procedibili di ufficio i fatti successivi alla entrata in vigore della legge.

Il che comporta comunque la procedibilità di ufficio per i fatti precedenti in quanto il rapporto di continuazione tra tutti gli episodi e, quindi, anche con quelli successivi al febbraio 2006, consentono di ritenere realizzata la connessione investigativa indicata all’art. 609 septies, n. 4) (Sez. 3 n. 34405 del 06/07/2005, RV 232484).

La corte di merito ha ritenuto invero di indicare sulla questione della procedibilità un diverso percorso argomentativo, peraltro, anch’esso corretto ed esente da censure in questa sede.

Per dirimere la questione, correttamente i giudici di merito hanno infatti richiamato l’orientamento secondo cui in tema di violenza sessuale, la procedibilità d’ufficio di cui all’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2, ove il fatto è commesso da genitore, tutore o in caso di affidamento del minore per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia, si estende anche agli eventuali concorrenti nel reato che non si trovino in tale rapporto qualificato con la persona offesa; e ciò anche nel caso in cui questi ultimi siano i soli autori "materiali" del delitto (Sez. 3 n. 15290 del 27/02/2007, rv 236346).

In ordine al secondo motivo, che concerne l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste T. acquisite al dibattimento, va anzitutto premesso che le stesse hanno auto ad oggetto – come si rileva dalla motivazione della sentenza – unicamente l’esistenza del rapporto di convivenza tra la I. ed il V. e che tale rapporto risulta – sempre in relazione alle motivazioni della sentenza – comunque provato anche da una serie di ulteriori elementi come detto in precedenza.

In ogni caso la risposta della corte di appello ai motivi di doglianza è corretta.

I giudici di appello hanno evidentemente considerato attendibile, circa le condizioni di salute del T., la certificazione della dott.ssa G. del novembre 2006 e, d’altra parte, la dott.ssa C. aveva riferito circa un anno prima solo di voci chiaramente in contrasto con il dato obiettivo che nel novembre 2006 il teste era in vita.

Appare logicamente spiegabile, dunque, l’affermazione del secondo giudice che, facendo proprie le considerazioni del tribunale, ha evidenziato che quando il T. fu sentito a sommarie informazioni – in data 2.11.06 -, non era nota la fase terminale del tumore e che, dopo il deposito della perizia – 22.11.06 – non vi fossero più i tempi tecnici per richiedere l’incidente probatorio.

Trattandosi di malato in stato terminale, infatti, occorre tenere conto non solo della data del decesso ma anche della situazione clinica del teste presente al momento del deposito della perizia che, evidentemente, era certamente già molto grave.

Per quanto concerne poi l’asserita violazione dell’art. 199 c.p.p., la corte di merito ha già correttamente risposto citando Sez. 6 n. 27060 del 27.5.08 ric. Amodeo, che, in linea con un consolidato orientamento, affermato che la facoltà di astenersi dal deporre, attribuita al prossimo congiunto dall’art. 199 cod. proc. pen., non riguarda i coimputati del prossimo congiunto del testimone, poichè la "ratio" della facoltà si identifica nella finalità di prevenire situazioni nelle quali l’eventuale falsa testimonianza sarebbe scriminata dall’art. 384 cod. pen..

Peraltro, trattandosi di nullità relativa (in questo senso, da ultimo, Sez. 5 n. 13591 del 12.3.2010 RV 246715) verificatasi nel corso delle indagini, essa andava eccepita nell’udienza preliminare, prima della pronuncia del provvedimento ex art. 424 c.p.p., e non risulta documentato dal ricorrente – come suo onere in base al principio dell’autosufficienza del ricorso – che ciò sia avvenuto.

In ordine al terzo motivo le censure si appalesano generiche e, comunque di merito, in relazione all’età della vittima.

Appare, infine, adeguatamente motivata l’esclusione della diminuente dell’art. 609 quater, comma 4 così come quella delle attenuanti generiche ed appartengono al merito le valutazioni sulla problematicità del vissuto familiare e le ripercussioni sulla sfera sessuale o l’assunzione di modelli distorti nell’azione dalla minore.

Per quanto concerne la V. la posizione di garanzia del genitore correttamente viene ritenuta dai giudici di merito fondata sull’art. 147 cod. civ. (così, tra le altre, Sez. 3 n. 4730 del 14.12.007; RV 238698) e, correttamente i giudici stessi hanno ritenuto ininfluenti al riguardo le obiezioni della ricorrente circa la mancata percezione del disvalore del proprio comportamento in ragione del proprio vissuto per escludere la posizione di garanzia in quanto connessa all’esercizio della potestà genitoriale mai posta in discussione nella specie.

Quanto al secondo motivo si richiamano le considerazioni svolte trattando la posizione del coimputato.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese del giudizio come per legge.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011

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