Cons. Stato Sez. III, Sent., 17-10-2011, n. 5550 Ammissibilità o inammissibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Le strutture ricorrenti si lamentavano in primo grado, dinanzi al Tar Campania, sede di Salerno, che l’Azienda sanitaria intimata, nel determinare i tetti di spesa per l’anno 2003, aveva violato i criteri operativi dettati in sede regionale e che in particolare, nella deliberazione aziendale n. 449 del 2005, nell’individuare una percentuale generalizzata di abbattimento delle prestazioni relative alla macroarea di assistenza riabilitativa pari al 6.32% degli importi fatturati per prestazioni rese nell’anno 2003, era incorsa in una palese errore avendo illegittimamente tenuto conto anche dei costi relativi a prestazioni rese a favore di pazienti non residenti nella A.S.L. (in cd. mobilità attiva).

Infatti per le ricorrenti, qualora si fosse tenuto conto dell’importo di oltre Euro 1.700.000,00 relativo ai pazienti residenti in altre AA.SS.LL. della Campania, che avevano ricevuto la prestazione sanitaria da strutture ubicate nell’ambito territoriale della A.S.L. Salerno 1, il divario tra il tetto di spesa sarebbe stato circa dell’1%, equivalente alla regressione da applicare per l’anno 2003; tale circostanza sarebbe stata riconosciuta dallo stesso delegato della Direzione Aziendale.

Veniva lamentata, al riguardo, la violazione delle delibere regionali e in particolare della delibera di G.R. n. 1272 del 28.3.2003 che stabilisce che ogni A.S.L. sia responsabile per i suoi assistiti e quindi debba rispondere della propria mobilità passiva, nonché della delibera di G.R. n. 1017/2001, secondo cui l’onere della spesa per le prestazioni riabilitative è da imputare alla A.S.L. da cui il disabile proviene.

Le ricorrenti deducevano inoltre che l’Azienda intimata aveva omesso di effettuare gli adempimenti necessari per attuare la compensazione interaziendale omettendo di redigere, nel rispetto delle circolari regionali prot. n. 6518 del 1.8.1995 e n. 5152 del 4.6.1997, le note di addebito raggruppate per azienda di provenienza e a trasmetterle alla Regione entro i tempi prestabiliti al fine di consentire di attuare i passaggi compensativi entro il 30.4.2004.

Altre censure vengono proposte avverso la delibera di G.R. n. 1272 del 28.3.2003 nonché altri provvedimenti di G.R. nn. 2451 e 3133 del 2003 lamentandosi in vario modo che i provvedimenti adottati avrebbero violato le intese raggiunte sul tavolo della concertazione con le associazioni di categoria della Sanità privata accreditata.

2. Il Tar respingeva il ricorso.

Avverso la sentenza del Tar hanno prodotto appello le strutture in epigrafe sostenendone la erroneità e reiterando le censure proposte in primo grado.

3. La Sezione ritiene che l’appello sia in parte infondato in parte inammissibile.

Il Tar respingeva le censure riferite al tetto di spesa della branca di riabilitazione del 2003, e in specie ai costi delle prestazioni rese a pazienti non residenti nella A.S.L. in c.d. mobilità attiva, sulla base di una istruttoria effettuata in relazione ad altro ricorso n. 1459/2005 (di cui alla nota del 20.10.2007 n.355/BC) all’esito della quale risultava che il fabbisogno delle prestazioni erogate ad utenti della A.S.L. medesima nel corso dell’anno 2003, oggetto della impugnata delibera n. 449/2005, "non è comprensivo delle prestazioni erogate in favore di utenti di altre A.S.L. della Campania", pur dovendosi ritenere: "legittima l’aspettativa del centro ricorrente di veder contabilizzare in compensazione attiva tali prestazioni erogate a cittadini dl altre AA.SS.LL." (cfr. nota prot. n. 00355/BC del 20.10.2007).

Tale circostanza secondo il Tar smentiva in radice i presupposti fattuali posti a fondamento della censura la quale pertanto non poteva che essere respinta.

4. L’appellante ritiene che la nota di cui sopra sia contraddittoria e che dalla stessa debba desumersi la erroneità del calcolo effettuato comprensivo delle prestazioni erogate a favore di cittadini di altre Aziende.

Ritiene tuttavia la Sezione che nessuna contraddittorietà sia rinvenibile ed invero la istruttoria, da un lato, si limita a ammettere, in via di astratto principio, che è legittima l’aspettativa del centro di vedere contabilizzate in compensazione attiva le prestazioni per cittadini di altre AA.SS.LL., dall’altro, rispondendo esplicitamente al quesito, con apposita sottolineatura, afferma che il fabbisogno determinato per il 2003 non è comprensivo delle prestazioni erogate ad altra Azienda.

La semplice lettura della nota evidenzia che è stato risposto al quesito e che non sussiste alcuna contraddittorietà né, come richiesto dall’appellante, si rende necessaria la nomina di un C.T.U..

5. Con ulteriori doglianze (rubricate da quattro a sette) l’appellante reitera le censure formulate in primo grado e respinte dal Tar, sempre riferite alla delibera aziendale n. 449/2005, assumendo in vario modo e sotto molteplici profili ripetuti anche nelle censure formulate avverso le delibere regionali di cui si parlerà più oltre, che sarebbero state violate le cadenze procedimentali dettate dalla D.G.R. n. 1272 del 28.3.2003.

In particolare, nel ricorso introduttivo, veniva dedotto che la A.S.L. intimata non aveva proceduto alla tempestiva formulazione del piano delle prestazioni da eseguirsi nel 2003, adempimento al quale avrebbe dovuto procedere entro un termine prefissato; essa aveva inoltre individuato i volumi delle prestazioni erogabili per la branca della riabilitazione in notevole ritardo rispetto al termine del 24.12.2003 senza definire i protocolli di intesa con le associazioni maggiormente rappresentative e senza concludere alcun accordo con i singoli soggetti erogatori.

Conseguenza di tale erroneo modus procedendi, sarebbe stata la unilaterale fissazione del budget di spesa, la determinazione retroattiva delle prestazioni remunerabili ed il disconoscimento delle prestazioni già erogate senza effettuare il monitoraggio trimestrale che avrebbe consentito di conoscere che le strutture stavano concorrendo a superare il limite di spesa della branca e violando il principio che esige che la fissazione del limite di spesa avvenga sulla scorta di una attenta considerazione delle aspettative maturate in capo agli operatori privati.

6. La sentenza del Tar, nel respingere le censure, evidenziava che i rilievi della parte ricorrente si appuntavano contro la delibera n. 449 del 26.4.2005, ma l’oggetto specifico della delibera aziendale e la sua valenza attuativa di pregresse e vincolanti deliberazioni regionali, non consentivano di ravvisare, rispetto ad essa, i vizi lamentati.

Per il Tar infatti la delibera aziendale si limitava a determinare la percentuale di regressione conseguente al raffronto tra il limite di spesa definito, per la macroarea "assistenza riabilitativa" dalla Giunta regionale e le prestazioni erogate dalle strutture provvisoriamente accreditate operanti nel territorio regionale a favore dei residenti della A.S.L. Salerno 1, con l’effetto che le carenze procedimentali lamentate non erano idonee ad inficiarne la legittimità trattandosi, con particolare riguardo alla definizione di protocolli con le associazioni di categoria, di adempimenti funzionali alla individuazione dei volumi di prestazioni erogabili "per branca", estranei allo specifico oggetto della delibera aziendale impugnata.

Per quanto riguardava invece la mancata effettuazione del monitoraggio, essa integrava una circostanza inidonea, anche astrattamente, a riflettersi in chiave invalidante nei confronti della delibera aziendale impugnata, alla luce della sua funzione meramente attuativa delle citate e cogenti delibere regionali, assunte a suo presupposto.

Inoltre, la predetta attività di monitoraggio (punto 6 della delibera di G.R. n. 1272/2003) rispondeva all’oggettiva esigenza dell’amministrazione di controllare, sotto il profilo del volume e della tipologia, la conformità delle prestazioni sanitarie erogate al Piano delle prestazioni, sì che dal suo mancato svolgimento non poteva inferirsi la impossibilità della parte ricorrente di verificare l’andamento della spesa sanitaria ed il suo eventuale concorso al superamento dei relativi limiti.

7. Le appellanti, nel riprodurre i passaggi della sentenza e le censure formulate in primo grado, si limitano a evidenziare che le delibere regionali cui si riferiva il Tar erano state impugnate, e che "..l’amministrazione non poteva impunemente violare l’iter procedimentale tipicizzato cui era vincolata", "..che la fissazione del tetto è legittima solo se rispetta l’iter procedimentale predefinito e i termini prefissati", che così motivando il Tar avrebbe giustificato "…la illegittima violazione del modello procedimentale".

In sostanza non viene formulata alcuna specifica censura, salvo il rilievo della avvenuta impugnazione delle delibere regionali sul quale si tornerà più oltre, intese a controbattere le articolate e complesse argomentazioni logico giuridiche formulate dal Tar che, si ripete, rilevava approfonditamente anche in sede di disamina delle censure riferite alle delibere regionali che le doglianze di carattere procedimentale non avrebbero inficiato in chiave invalidante la legittimità complessiva della delibera aziendale.

8. Del resto tale omissione di specifiche censure intese a stigmatizzare la erroneità delle argomentazioni del primo giudice permea tutto il pur lungo ricorso in appello il quale, salvo che in alcuni profili che saranno esaminati partitamente, presenta rilevanti profili di inammissibilità limitandosi a enfatizzare una erroneità argomentativa che tuttavia in concreto non viene dimostrata.

E" infatti giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato che sono inammissibili per genericità i motivi di appello che si sostanziano nella mera riproduzione delle censure già dedotte dinanzi al Tribunale amministrativo regionale e da questo motivatamente disattese, atteso che l’appello ha carattere impugnatorio, con la conseguenza che le censure in esso contenute devono investire puntualmente il decisum di primo grado e, in particolare, precisare i motivi per i quali la decisione impugnata sarebbe erronea e da riformare (ex plurimis, Consiglio Stato, sez. IV, 31 dicembre 2009, n. 9295).

9. Anche in disparte i sopradetti profili di inammissibilità, rileva la Sezione che le conclusioni del primo giudice sono coerenti con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che ha sottolineato che il sistema di regressione tariffaria delle prestazioni sanitarie che eccedono il tetto massimo prefissato a livello regionale è espressione del potere autoritativo di fissazione dei tetti di spesa e di controllo pubblicistico della spesa sanitaria in funzione di tutela della finanza pubblica affidato alle regioni in quanto, ove venisse consentito lo sforamento dei tetti complessivi di spesa fissati, il potere di programmazione regionale ne risulterebbe vanificato con conseguenze perniciose anche per il bilancio statale.

Peraltro la Corte Costituzionale, nel valutare le linee fondamentali del sistema sanitario nel nostro ordinamento, ha da tempo sottolineato l’importanza del collegamento tra responsabilità e spesa e ha evidenziato come l’autonomia dei vari soggetti ed organi operanti nel settore, non può che essere correlata alle disponibilità finanziarie e non può prescindere dalla limitatezza delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale (cfr. Corte Costituzionale 28/7/1995, n. 416).

In particolare, la Corte ha ribadito che "non è pensabile di poter spendere senza limite avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute, certamente non compromesse con le misure ora in esame" (cfr. anche Corte Costituzionale, 23/7/1992, n. 356; cfr. anche Consiglio di Stato, A. P. 2 maggio 2006 n. 8).

10. Il necessario raccordo tra tutela del diritto alla salute e esigenze di razionalizzazione delle spesa sanitaria trova applicazione anche a meccanismi di riequilibrio che intervengano a consuntivo ed in via eventuale rispetto alla programmazione a monte, come è il caso proprio della regressione tariffaria.

E" stato rilevato in concreto che atteso il carattere autoritativo e pubblicistico della potestà programmatoria regionale, il mancato o ritardato adempimento di alcuni adempimenti di natura procedimentale, (come quelli in vario modo lamentati dalla parte appellante anche con riferimento alle delibere regionali), non esclude la potestà dell’amministrazione di imporre la regressione tariffaria allo scopo di contenere la remunerazione complessiva delle prestazioni nei limiti fissati, né comporta l’obbligo, per la amministrazione sanitaria, di acquistare prestazioni sanitarie impiegando risorse superiori a quelle disponibili, permanendo, fondamentale ed ineludibile, la esigenza di contenimento della spesa pubblica sanitaria nei limiti fissati dalle delibere regionali di programmazione.

Del resto è fisiologica la tardività della programmazione sanitaria per quanto attiene la regressione tariffaria purché sorretta da criteri di ragionevolezza e proporzionalità.

Al riguardo, va richiamato anche quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 8/2006, secondo la quale "la retroattività dell’atto di determinazione della spesa non vale ad impedire agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento regolatore per lo svolgimento della loro attività. È evidente che in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo, fino a quando non risulti adottato un provvedimento, all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso".

11. In disparte quindi il già rilevato, assorbente profilo di inammissibilità dell’appello non avendo la parte deducente specificato i motivi di erroneità della sentenza di primo grado, anche nel merito, le argomentazioni formulate non possono trovare accoglimento.

In particolare deve intendersi escluso alcun ipotetico affidamento in quanto le strutture private appellanti non potevano non essere al corrente della possibile regressione tariffaria tanto più che era fatto notorio, come evidenziato dalla Regione, che vi era stato un incremento esponenziale della spesa sanitaria regionale di circa il 45% rispetto al 2000.

12. Si aggiunga ancora che l’art. 8quinquies del d. lgs. n. 502 del 1992 pone il rapporto di accreditamento su una base negoziale per la quale al di fuori del contratto, la struttura accreditata non è obbligata a erogare prestazioni agli assistiti del servizio sanitario regionale e, per converso, l’amministrazione sanitaria non è tenuta a pagare la relativa remunerazione dovendosi escludere che l’amministrazione possa essere costretta ad acquistare prestazioni sanitarie in esubero rispetto alle esigenze programmate o in eccesso rispetto alle risorse finanziarie disponibili: in sostanza in mancanza di un accordo contrattuale, l’attività sanitaria non può essere esercitata per conto e a carico del servizio sanitario nazionale. Con l’effetto che la struttura sanitaria che vuole operare nell’ambito del servizio sanitario nazionale ha l’onere, non solo di conseguire l’accreditamento, ma anche di stipulare l’accordo contrattuale.

A quel che ha accertato la sentenza di primo grado, parte appellante "…ha erogato prestazioni nonostante la mancanza di un accordo contrattuale". Con l’effetto che poiché la mancanza di un contratto è ostativa alla liquidazione delle prestazioni erogate, le stesse appellanti non hanno il necessario titolo contrattuale per ottenere il pagamento delle prestazioni. Nello schema contrattualistico voluto dalla legislazione sanitaria, non sussiste quindi possibilità alcuna per costringere la A.S.L., ad impegnare somme superiori rispetto alle risorse disponibili (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23/5/2005, n. 2581; sez. V, 30/4/2003, n. 2253).

13. L’appellante reitera anche le censure formulate in primo grado con riguardo alle delibere di Giunta Regionale nn. 1272/2003, 3133/2003 e 2451/2003.

La appellante aveva sostenuto che la delibera regionale n.1272/03 conteneva statuizioni difformi dal testo concordato con le associazioni di categoria consistenti nell’inserimento, nel punto 8 del deliberato, dell’espressione "..di quanto definito dalla Regione" al termine della proposizione "per il primo quadrimestre 2003 i limiti di spesa per le prestazioni in regime di accreditamento provvisorio sono definiti, a parità dei volumi erogati nel corrispondente quadrimestre 2002, in misura non superiore ai quattro dodicesimi…".

Il Tar evidenziava nella sentenza che nessuna attinenza era da ravvisare tra la disposizione indicata, concernente i limiti di spesa applicabili nelle more della definizione di quelli complessivamente concernenti l’anno 2003 e la lesione lamentata in ricorso, concernente la fissazione (operata con le delibere nn. 2451/2003 e n. 3133/2003) di questi ultimi.

14. Anche qui l’appellante alle pagine 51 e 52 specificatamente dedicata al motivo di appello, non fornisce alcuna ragione intesa a contestare la argomentazione del Tar, di ininfluenza della censura rispetto al petitum, limitandosi a affermare che questo avrebbe sorvolato sulla censura che invece all’evidenza è stata esaminata.

Pertanto il motivo deve essere dichiarato inammissibile per genericità.

15. Ferma la inammissibilità del motivo si rileva che l’accordo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative della sanità privata non aveva natura di accordo negoziale ex art. 11 della legge 241 del 1990, ma ineriva al momento partecipativo nella fase istruttoria del procedimento, volta a acquisire l’avviso dei suddetti organismi in merito alla definizione della programmazione per il 2003 dei volumi delle prestazioni sanitarie. La delibera ha tuttavia recepito la ipotesi di definizione del percorso per la programmazione 2003 laddove il contrasto è incentrato esclusivamente su uno slittamento dei termini previsti per la elaborazione del piano di 15 giorni, circostanza questa incensurabile attesa la natura meramente ordinatoria dei termini stabiliti nel protocollo di intesa.

16. L’appellante deduce inoltre (al punto II, pag. 52 dell’appello) che, l’annullamento della delibera regionale n. 6216/2001 disposto con molteplici sentenze del Tar Campania, sedi di Napoli e di Salerno, per la mancata previsione di misure di calmieramento e contenimento della spesa nelle strutture pubbliche, si sarebbe riverberato nelle successive delibere regionali concernenti la programmazione della spese per l’anno 2003.

In disparte il ricorrente profilo di inammissibilità della censura che non sottopone a critica le considerazioni del Tar, resta il fatto che la delibera n. 1272/2003 si inserisce in un diverso contesto procedimentale relativo alla definizione dei volumi di prestazione e correlati livelli di spesa 2003, non influenzato dall’annullamento disposto dal Tar della delibera n.6126 del 2001.

17. Viene poi reiterata la censura di mancata predisposizione, da parte della Regione, del Piano delle prestazioni, previsto dalla l.r. n. 10/2002 ai fini della programmazione e del controllo della spesa sanitaria (punto IV).

Il Tar ha ritenuto la censura priva di fondamento, atteso che la l.r. n. 10/2002 demanda alle Aziende Sanitarie Locali e non alla Regione, la definizione del Piano annuale delle prestazioni: la funzione pianificatoria regionale, per contro, trova la sua espressione nel Piano sanitario regionale, approvato per gli anni 2002/2004 con delibera del Consiglio regionale n. 129 del 20.6.2002 ed espressamente dichiarato efficace, dall’art. 2, comma 2, l.r. n. 10/2002, "fino all’entrata in vigore del nuovo Piano sanitario regionale che la Giunta regionale approva, quale proposta al Consiglio, entro il 30 settembre dell’ultimo anno di vigenza del precedente".

Si duole la appellante che: "Il Tar ha omesso di pronunziarsi su tutte le indicate denunzie".

Anche qui avendo il Tar esaminato le censure respingendole nel merito con la motivazione di cui sopra, la doglianza in appello è inammissibile per genericità avendo omesso parte appellante di criticare le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice.

18. Parte appellante (a pagina 56) intende sottoporre ad nuovo esame le censure proposte in primo grado avverso le delibere di G.R. n. 2451/2003 e n. 3133/2003.

A riguardo, allega che le stesse delibere, adottate nel mese di novembre dell’anno 2003, hanno assunto una portata retroattiva: ciò anche in considerazione del fatto che il percorso procedimentale da esse delineato era destinato a svilupparsi in più fasi, per culminare con la stipula dei contratti con le strutture private accreditate.

Il Tar ha respinto tali censure con ampia motivazione la cui sostanziale esattezza è stata già esaminata nella odierna sentenza.

19. Con ulteriore doglianza (pag. 61 e ss.), le appellanti evidenziano che dalla disciplina in tema di patto di stabilità (legge n.445/01) si desume che la determinazione dei limiti di spesa non potrebbe essere disposta senza una preventiva istruttoria intesa a valutare le cause dei disavanzi ed a ponderare le misure idonee a coprirli, ed in particolare mediante un accurato controllo di appropriatezza delle prestazioni.

Si assume ancora che la Regione non avrebbe valutato la possibilità di attivare l’autonomia impositiva al fine di provvedere alla copertura dei disavanzi di gestione in materia di spesa sanitaria.

La censura, come rilevato dal Tar, postulando l’esercizio di un sindacato di merito sulle scelte discrezionali adottate dall’amministrazione regionale nella individuazione delle più idonee misure di contenimento della spesa sanitaria e nella relativa graduazione, è inammissibile.

Essa inoltre muove dall’indimostrata carenza del controllo di appropriatezza delle prestazioni, in ordine alla quale non viene offerta alcuna allegazione probatoria.

20. Con l’ultima censura, viene dedotta l’illogicità del criterio di calcolo del tetto di spesa, contenuto nello schema di accordo contrattuale allegato alla delibera n. 2451/2003.

Viene evidenziato, in particolare, che il valore medio delle prestazioni non può essere la risultante della divisione tra il finanziamento disponibile ed il volume massimo di prestazioni erogabili da parte di ciascuna struttura, pervenendosi altrimenti ad un risultato puramente fittizio ed avulso dal costo reale delle prestazioni stesse.

Il Tar ha esaminato la censura ritenendola infondata con condivisibile argomentazione rilevando che nel contesto della formula citata, l’elemento rappresentato dal "valore medio delle prestazioni" non mira a rispecchiare il costo reale delle prestazioni, assumendo una valenza puramente contabile nel quadro della definizione del tetto di spesa da applicare a ciascuna struttura.

Le appellanti, nel reiterare pedissequamente la censura proposta in primo grado enfatizzando la erroneità della argomentazione del Tar, nessun argomento logico antepongono a confutazione di quello del primo giudice.

Anche tale motivo di appello pertanto è inammissibile.

21. In conclusione l’appello è in parte infondato, in parte inammissibile.

22. Spese ed onorari del grado possono essere compensati nei confronti della Regione, nulla spese nei confronti delle Aziende Sanitarie non costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile.

Spese compensate nei confronti della Regione, nulla spese nei confronti delle Aziende.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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