Cass. civ. Sez. V, Sent., 03-02-2012, n. 1559 Ritenuta di imposta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. S.B. propone ricorso per cassazione (illustrato da successiva memoria) nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate (solo quest’ultima depositante atto cd. "di costituzione") e avverso la sentenza con la quale – in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto sulla istanza di rimborso delle ritenute operate dal Fondenel nel momento in cui, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro come dirigente Enel, il fondo previdenziale predetto aveva corrisposto al contribuente una somma di danaro in luogo del trattamento di pensione integrativa – la C.T.R. Campania, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, rilevava che nella specie non sussistevano i presupposti per applicare la L. n. 482 del 1985, art. 6 riguardante i capitali corrisposti dagli istituti assicurativi in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e che pertanto la somma erogata nella specie, in quanto traente origine dal rapporto di lavoro, doveva ritenersi soggetta alla ritenuta fiscale nella misura operata all’atto della relativa corresponsione secondo la disciplina di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17 nonchè art. 48 del medesimo D.P.R. così come modificato dal D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 3. 2. Deve preliminarmente dichiararsi l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che l’appello, depositato nel 2005, è stato proposto esclusivamente dall’Agenzia delle Entrate e nessuna decisione va assunta in ordine alle relative spese, atteso che l’Avvocatura dello Stato non ha resistito con controricorso ma ha depositato cd. "atto di costituzione" al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione esclusivamente con riguardo all’Agenzia delle Entrate.

Col primo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, artt. 68 e 69, il ricorrente sostiene che la rappresentanza dell’Agenzia spetta al direttore dell’Agenzia di Roma e che pertanto l’appello, in quanto sottoscritto dal dirigente dell’Ufficio locale senza allegare il potere di rappresentanza derivatogli dal direttore dell’Agenzia, doveva ritenersi inammissibile, non rilevando in senso contrario l’autorizzazione a proporre appello di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, non più suscettibile di applicazione nella intervenuta operatività della normativa di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999.

La censura è infondata.

Occorre innanzitutto premettere che la nuova realtà ordinamentale realizzatasi a seguito della istituzione delle Agenzie è caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell’Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, con la conseguenza che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, e quella del ricorso possono essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato (v. tra le altre SU nn. 3116 e 3118 del 2006).

E’ poi appena il caso di evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio del Ministero delle finanze (oggi ufficio locale dell’Agenzia delle entrate) nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze, senza necessità di speciale procura, con la conseguenza che, nel caso in cui non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, questo deve ritenersi ammissibile, perfino se recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (v. cass. n. 874 del 2009 e v. pure cass. n. 13908 del 2008).

Col secondo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 53 in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, la ricorrente sostiene l’inammissibilità dell’appello per non avere l’Ufficio appellante spiegato le ragioni per le quali al ricorrente non doveva applicarsi il D.Lgs. n. 124 del 1993 nè le ragioni per le quali doveva ritenersi errata la sentenza di primo grado nella parte e per quale ragione doveva ritenersi errata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto l’applicabilità del regime fiscale agevolato di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993 citato.

La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che non viene riportato in ricorso il testo dell’appello la cui ammissibilità viene posta in discussione non consentendo pertanto a questo giudice di valutare la censura senza ricorrere ad atti esterni al ricorso ed inoltre per inadeguatezza del relativo quesito di diritto, che si presenta inidoneo a far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione de ricorrente, la regola da applicare, essendo tale quesito astratto, privo di ogni specificità in relazione alla corrispondente "ratio decidendi" della sentenza impugnata e formulato in modo da non esprimere la rilevanza della risposta ai fini della decisione del motivo e da non consentire di circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito medesimo (v. tra molte altre cass. n. 17064 del 2008, n. 7197 del 2009 e n. 8463 del 2009, nonchè SU n. 7257 del 2007 e SU n. 7433 del 2009).

Col terzo motivo, deducendo violazione della L. n. 30 del 1997, art. 1, comma 5 di conversione del D.L. n. 669 del 1996, art. 41, lett. g e g quater nonchè D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4 con L. n. 482 del 1985, relativo art. 6, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 5 e art. 26 ter oltre che degli artt. 1362 e ss. c.c., la ricorrente sostiene che la L. n. 30 del 1997, interpretativa del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, che ha assoggettato i capitali corrisposti per previdenza complementare e i riscatti delle posizioni individuali a tassazione separata ha riferito la suddetta tassazione separata esclusivamente ai destinatari iscritti a forme pensionistiche complementari successivamente al D.Lgs. n. 124 del 1993, con la conseguenza che per i vecchi iscritti a vecchi fondi va applicata la tassazione prevista per i redditi di capitale se maturati anteriormente al 1 gennaio 2001.

Col quarto motivo, deducendo violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16 nel testo applicabile ratione temporis, la ricorrente sostiene che la somma ricevuta all’atto della cessazione del rapporto di lavoro non era collegabile nè al rapporto di lavoro nè alla sua cessazione ma solo all’età del dirigente, onde detta somma per i vecchi iscritti a vecchi fondi non può essere qualificata ai fini fiscali come reddito di lavoro dipendente o indennità aggiuntiva al T.F.R..

I due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati, nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.

Le Sezioni Unite di questa Corte, esaminando la questione dei criteri di tassazione applicabili in analoga controversia, hanno affermato che la somma percepita dal contribuente e sulla quale sono state operate le ritenute contestate, è stata erogata da un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, è composta da una sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore) e da un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato (v. SU n. 13642 del 2011). Su questa base, nella medesima sentenza le sezioni unite hanno affermato il seguente principio di diritto: "in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la "sorte capitale", corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17" (v. SU n. 13642 del 2011 citata e numerose altre conformi), dovendo intendersi per rendimento il "rendimento netto", imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato, pertanto con necessità di verifica dell’eventuale impiego sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato e della qualità e quantità del rendimento conseguito a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a tale ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%.

I motivi indicati in ricorso come sesto e settimo (in realtà quinto e sesto in ordine di esposizione) risultano assorbiti alla luce di quanto esposto in relazione all’esame dei precedenti motivi.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, i primi due motivi di ricorso devono essere rigettati, mentre il terzo e il quarto devono essere accolti, con assorbimento degli altri. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altro giudice che provvederà a decidere la controversia facendo, previo svolgimento dei necessari accertamenti, concreta applicazione del principio di diritto sopra esposto, oltre che a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le relative spese.

Rigetta i primi due motivi del ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia, accoglie il terzo e il quarto nei termini di cui in motivazione, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Campania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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