Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 26-09-2011, n. 34780

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.G., C.S., C.M., C.P., L.M., hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, confermava la condanna loro inflitta dal GUP del tribunale di Taranto in data 23.3.2009 per i reati di cui agli artt. 81, 56, 610, 605, 609 octies, septies, 527 e 612 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2, art. 423 cod. pen.. C.G., C.S., C.M. hanno fatto pervenire rituale rinuncia al ricorso.

Gli altri due ricorrenti deducono, invece in questa sede:

C.P..

A) violazione dell’art. 192 c.p.p. non risultando indicati i riscontri alle dichiarazioni della p.o., mancando per la condanna la prova della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio;

B) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione;

L.M.:

A 1) violazione di legge con riferimento all’art. 192 c.p.p. dovendosi ritenere la persona offesa portatrice di un interesse diretto. Si afferma, infatti, che la P. aveva interesse ad accusare gli imputati avendo stretto una relazione con tale Gr. dopo avere lasciato C.G. per liberarsi definitivamente del precedente compagno e che mancherebbero dunque indizi concordanti sulla declaratoria di responsabilità.

B 1) Mancanza contraddittorietà di illogicità della motivazione essendosi limitato il giudice di appello a richiamare gli elementi di primo grado senza indicare gli elementi di prova poste alla base della decisione e difetto di motivazione in ordine all’applicazione della pena che si assume assolutamente immotivata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili.

La declaratoria di inammissibilità consegue per C.G., C.S., C.M. dalla rinuncia al ricorso e per C.P. e L.M. dalla manifesta infondatezza dei motivi di ricorso in realtà articolati su censure di merito.

Ed, invero, per quanto concerne C.P., avuto riguardo al primo motivo di ricorso, giova anzitutto premettere che, le dichiarazioni della persona offesa possono costituire anche l’unico elemento di prova per la condanna, come costantemente affermato da questa Corte.

Per il resto è altresì pacifico che la regola di giudizio delibai di là di ogni ragionevole dubbio" non ha introdotto un diverso e più′ restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato (Sez. 2 sent. N. 16357 del 02/04/2008 RV 239795).

Si è altresì chiarito che la regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", impone di pronunciare condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura", ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità’ umana (sez. 1 sent. n 23813 del 08/05/2009 RV 243801 Ciò posto le doglianze del ricorrente formulate con il primo motivo si risolvono, all’evidenza, in contestazioni del tutto generiche e di carattere esclusivamente fattuale non facendo alcun riferimento ad atti probatori il cui esame sarebbe stato trascurato o travisato dal giudicante.

Ed anche le doglianze dedotte con il secondo motivo appaiono generiche ed in realtà finalizzate unicamente ad una diversa valutazione delle prove.

Al riguardo va anzitutto rilevato che, il ricorrente pone un problema di tardività della querela contestando la decisione di appello nella misura in cui ha ritenuto credibili le dichiarazioni della persona offesa la quale ha spiegato il ritardo con il timore che potesse succederle qualcosa. Ma è agevole rilevare che l’obiezione della difesa secondo cui la P.O. si era determinata alla denuncia solo per poter riconquistare il Gr. che nel frattempo l’aveva lasciata, impietosendolo, non è in realtà fondata su alcun elemento di prova che, per contro, per il principio di autosufficienza del ricorso il ricorrente avrebbe dovuto indicare.

Anche le rimanenti doglianze sono palesemente infondate.

Sempre nel tentativo di avvalorare il dubbio sulle dichiarazioni della donna, si censura che i giudici di appello non abbiano considerato le evidenti discrasie del racconto della p.o. secondo cui, tra l’altro, la violenza sarebbe avvenuta in giorno lavorativo anzichè festivo e che il giorno indicato pioveva – come da certficazione metereologica che invano la difesa avrebbe tentato di far valere; che lo stesso Gr. non aveva inizialmente creduto alla versione della donna e che in realtà la prima sospettata per l’incendio dell’autovettura doveva essere la stessa P., dalla personalità disturbata. E ciò in disparte del fatto che non vi era in atti alcun certificato medico comprovante la violenza denunciata.

In realtà i giudici di appello indicano, citando gli elementi di riferimento, le ragioni per le quali hanno ritenuto attendibile la versione della donna, escludendone anzitutto intenti calunniatori, e poi facendo logicamente rilevare come la denuncia fosse scaturita solo al culmine di comportamenti violenti in danno della denunciante e del Gr. cui, anzi, inizialmente la P. aveva sperato di non dover rivelare la violenza subita. Ed anche la certificazione metereologica è adeguatamente vagliata essendo stato evidenziato in motivazione come la stessa indicasse solo che il cielo era "coperto" il giorno della violenza e, quindi, non smentiva che la donna potesse essere per starda.

Per quanto concerne le doglianze di L.M., sovrapponendosi le stesse a quelle del coimputato C.P., si richiamano le considerazioni svolte in precedenza trattando della posizione di quest’ultimo.

Va aggiunto che ove – come nella specie i giudici di secondo grado condividano l’impianto motivazionale della prima decisione ben possono limitarsi a richiamare le argomentazioni del primo giudice senza incorrere in alcun vizio.

Anche il trattamento sanzionatorio è adeguatamente motivato spiegando i giudici di merito che la particolare gravità del reato di violenza sessuale (commesso con la minaccia di un coltello) e l’intensità del dolo correttamente desunta dalla reiterazione degli episodi contestati rendono inopportuna alcuna revisione del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole ai ricorrenti e, quindi, anche al L.. Nè in questa sede può essere sollecitata una diversa valutazione di merito.

Alla inammissibilità dei ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 500 per ciascuno di essi.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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