Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 26-09-2011, n. 34764 Bellezze naturali e tutela paesaggistica Costruzioni abusive e illeciti paesaggistici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 23.11.2009, in parziale riforma della sentenza 10.12.2008 del Tribunale di Grosseto – Sezione distaccata di Orbetello, ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di F.A. in ordine ai reati di cui:

– al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 44, lett. c), (per avere realizzato – quale proprietaria committente – senza il necessario permesso di costruire, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, lavori di completamento di un fabbricato abusivo già sottoposto a sequestro in data 23.2.2005, consistiti: nella messa in opera degli infissi e delle tegole in laterizi; nella intonacatura, tinteggiatura e pavimentazione interne, con installazione degli impianti; in un battuto di cemento intorno al fabbricato, per una superficie di circa 130 mq., in un muro di contenimento, in pietrame e cemento, lungo circa mt. 17 e con altezza variabile da mt. 1,15 a mt. 2,30 – acc. in (OMISSIS), fraz. (OMISSIS));

– al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, (per avere realizzato il manufatto anzidetto, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con decreto ministeriale, senza l’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico);

– all’art. 349 cpv. c.p. (per avere violato, in qualità di custode, i sigilli apposti alla costruzione abusiva in data 23.2.2005). e, ritenuta la prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata per il delitto, essendo già stati unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., determinava la pena complessiva in mesi dieci di reclusione, confermando l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e la concessione del beneficio della sospensione condizionale subordinato all’effettività del ripristino.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, il quale – sotto i profili delta violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:

– la nullità della sentenza per violazione dell’art. 5221 c.p.p., avendo il P.M. integrato l’imputazione (al dibattimento di primo grado), contestando il delitto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, sulla base di elementi già noti e non in seguito a fatti "in parte diversi" che fossero emersi per la prima volta nel corso dell’istruttoria dibattimentale, nonchè senza specificare gli estremi identificativi del decreto ministeriale di imposizione del vincolo paesaggistico che costituiva la fonte di tale contestazione;

– la mancata verifica circa l’idoneità delle opere di rifinitura realizzate a ledere il bene-paesaggio giuridicamente tutelato;

– la eseguibilità in seguito a presentazione di semplice DIA delle opere di rifinitura realizzate, con conseguente inapplicabilità di alcuna sanzione penale;

– la insussistenza del delitto paesaggistico, essendo rimasta indimostrata l’esistenza di apposito provvedimento di vincolo emesso ai sensi del D.Lgs n. 42 del 2004, art. 136 ed essendo stato comunque consumato il reato in epoca anteriore all’introduzione nel nostro ordinamento del nuovo delitto ambientale;

– la incongruità del diniego dei richiesto accertamento peritale "volto ad accertare l’epoca di realizzazione delle varie opere contestate".

Lo stesso difensore poi – con "motivi nuovi" depositati il 6.6.2011 – ha specificato alcune delle doglianze come sopra svolte, prospettando in particolare: – la sostanziale violazione del divieto di "bis in idem" di cui all’art. 649 c.p.p., perchè "li interventi contestali, di mera rifinitura, debbono essere ricondotti a unità con il precedente intervento di ampliamento del fabbricato (in relazione al quale l’imputata è stata condannata con sentenza del 26.2.2009, confermata in appello il 6.11.2009 e divenuta definitiva in seguito a declaratoria di inammissibilità del ricorso pronunziata da questa Corte il 26.1.2011 – n.dr.);

pertanto, non trattandosi di nuova opera penalmente rilevante in via autonoma, ma di fattispecie unitaria permanente, la contestazione non doveva dar luogo ad un autonomo processo penale".

Ha ulteriormente eccepito, inoltre, per la prima volta:

– la oggettiva incertezza quanto alla concessione dell’indulto, poichè tale beneficio non è stato menzionato nel dispositivo della sentenza impugnata, pur risultando concesso nella motivazione della stessa;

– la ingiustificata mancata applicazione dell’istituto della continuazione, di cui all’art. 81 cpv. c.p., risultando comunque evidente l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.

1. Quanto alla denunziata violazione dell’art. 522 c.p.p., va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che non si ha insufficiente indicazione dell’enunciazione del fatto, ex art. 552 c.p.p., comma 1 – lett. c), e comma 2, qualora si abbia l’individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito, dotati della specificità necessaria affinchè l’imputato possa apprestare la sua difesa.

Nel caso in esame, la fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, lett. a), non era stata contestata nella formulazione dell’imputazione originaria (riferita all’ipotesi contravvenzionale di cui al comma 1), ma la modifica di tale imputazione venne ritualmente formulata dal P.M. in udienza e la mancata indicazione espressa del provvedimento puntuale di imposizione del vincolo (il D.M. 21 febbraio 1958, relativo all’intero territorio del Comune di (OMISSIS)) non ha impedito all’imputata di conoscere i tratti essenziali del delitto attribuitole dall’accusa, stante anche la possibilità di facile individuazione dell’elemento non indicato.

1.1 Nè può ravvisarsi altra violazione dei diritti della difesa, poichè (conformemente a quanto statuito dalle Sezioni Unite, con la sentenza 11.3.1999, n. 4), la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 c.p.p. e la contestazione di un reato concorrente prevista dall’art. 517 c.p.p. possono essere effettuate anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass.: sez. 6, 24.11.2009, n. 44980; sez. 6, 19.11.2009, n. 44501;

sez. 2, 22.1.2009, n. 3192).

Nella specie il Tribunale, dopo la modifica dell’imputazione, dispose la notificazione della relativa ordinanza all’imputata contumace ed il processo venne rinviato di qualche mese assicurandosi l’integrale fruizione del termine utile per la difesa.

2. In relazione, poi, alle eccezioni svolte in ricorso circa l’entità dei lavori eseguiti in prosecuzione di quelli per i quali la F. è stata pure condannata (con sentenza del 26.2.2009, confermata in appello il 6.11.2009 e divenuta definitiva il 26.1.2011), va ribadito il principio – costantemente affermato da questa Corte Suprema – secondo il quale il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale.

L’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (vedi Cass., sez. 3: 29.1.2003, Tucci; 11.10.2005, Daniele).

Va altresì ribadito che i lavori edilizi che riguardano manufatti abusivi che non siano sanati nè condonati non sono assoggettabili al regime della DIA (anche se astrattamente riconducibili, nella loro oggettività a tale regime), in quanto gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono (vedi Cass., sez. 3: 20.1.2009, n. 2112;

19.1.2009, n. 1810; 19.4.2006, n. 21490).

3. Le contravvenzioni contestate sono reati pentimenti e la cessazione della permanenza va individuata sia nella ultimazione dell’opera nel suo complesso, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, sia nella sospensione dei lavori dovuta a provvedimento autoritativo.

Ciò significa che, in particolare, la permanenza del reato viene a cessare con il sequestro penale ed in tal caso l’eventuale violazione dei sigilli con la prosecuzione dell’attività edilizia abusiva, oltre a dare luogo al delitto di cui all’art. 349 c.p., comporta la configurazione di nuovi ed ulteriori reati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 44 e del D.Lgs. n. 427 del 2004, art. 181 (senza che si possa ravvisare alcuna violazione del divieto di "bis in idem" di cui all’art. 649 c.p.p.).

Tali reati, ove ne siano identificabili i presupposti, potranno eventualmente ritenersi connessi con i precedenti ai sensi dell’art. 81 c.p., comma 2; nella specie, però, non risulta essere stata inoltrata richiesta in tal senso alla Corte di merito e la questione è stata introdotta per la prima volta con i "motivi aggiunti" al ricorso per cassazione, depositati dal difensore il 6.6.2011.

Trattasi di doglianza che, come si dirà di seguito, non può essere valutata dal Collegio perchè non si ricollega alle eccezioni svolte con l’originario ricorso; in ogni caso, comunque, in sede esecutiva, ove manchi una espressa esclusione da parte del giudice della cognizione, può essere richiesta, ex art. 671 c.p.p., l’applicazione della disciplina della continuazione tra reati in relazione ai quali sono state riportate condanne irrevocabili.

4. Tenuto conto, poi, dell’orientamento costante espresso da questa Corte Suprema in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 3: 20.10.2009, n. 2903/10, Soverini; 8.10.2008, n. 40045, Carbucicchio; 7.3.2008, n. 23086, Basile; 3.7.2007, Carusotto;

17.11.2005, Villa; 24.5.2005, Garofek), deve affermarsi che anche i delitti previsti dal art. 181, comma 1 bis sono reati di pericolo e, pertanto, per la configurabilità di tali illeciti, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici.

Il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.

Nelle zone paesisticamente vincolate (a prescindere dalla scaturigine del vincolo e purchè questo non comporti la immodificabilità assoluta) è inibita – in assenza dell’autorizzazione già prevista dalla L. n. 1497 del 1939, art. 7, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla L. n. 431 del 1985 e sono attualmente disciplinate dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146 – ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi (con alcune deroghe che non riguardano, però, la fattispecie in esame).

Il legislatore, imponendo la necessità dell’autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell’impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A, in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, sia posta di fronte al fatto compiuto.

Le fattispecie incriminatrici sono rivolte a tutelare, dunque, sia l’ambiente sia, strumentalmente e mediatamente, l’interesse a che la PA. preposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione: la salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale.

La Corte Costituzionale, in proposito, ha precisato (sentenza n. 247 del 1997) che anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto è sempre devoluto al sindacato del giudice penale l’accertamento in concreto dell’offensività specifica della singola condotta, dal momento che, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e si verte in tema di reato impossibile, ex art. 49 c.p. (sentenza n. 360 del 1995). Nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’offensività del fatto illecito, in materia di tutela penale dell’ambiente, è stata diffusamente analizzata – nelle prospettazioni dottrinarie e giurisprudenziali e pure con riferimento ai connotati concettuali controversi – da Cass. Sez. 3:

7.3.2000, n. 2733, Gajo e 10,12.2001, Zucchini, alle cui specificazioni si rinvia.

Nella fattispecie in esame – a fronte dell’esecuzione di opere aggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l’ambiente (anche qualora si tenesse conto dei soli interventi esterni di completamento e della realizzazione del muro di contenimento oggetto dell’imputazione) – è pretestuoso prospettare che non vi sarebbe stata "alterazione dello stato dei luoghi e dell’aspetto esteriore dell’edificio": sussiste, al contrario, un’effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonchè una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.

5. Il vincolo paesaggistico, nella zona interessata dall’intervento edilizio in oggetto, è stato imposto con il D.M. 21 febbraio 1958, relativo all’intero territorio del Comune di (OMISSIS), e – tenuto conto dell’intervenuta esecuzione del sequestro paiate in data 23.2.2005 – sicuramente non può affermarsi che l’attività edilizia abusiva contestata nel presente procedimento (successiva alla violazione dei sigilli) sia stata realizzata in epoca anteriore all’introduzione nel nostro ordinamento del nuovo delitto ambientale (attuata con la L. 15 dicembre 2004, n. 308).

6. A norma dell’art. 603 c.p.p., comma 1, la rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all’abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l’indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi.

A tale istituto di carattere eccezionale può farsi ricorso solo quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti ed un’impossibilità siffatta può sussistere quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonchè quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza.

L’error in procedendo, in cui si sostanzia il vizio che l’art. 606 c.p.p., comma 1 – lett. d), ricomprende fra i motivi di ricorso per Cassazione, rileva – secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema – solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa. Ciò comporta che la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da potere inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento dei giudici di merito e tanto non è dato ravvisare nella sentenza in esame.

Nella vicenda in esame, l’imputata aveva richiesto che fosse disposta una perizia tecnica ai fine di accertare l’epoca e l’effettiva consistenza delle opere realizzate e la Corte di merito, con argomentazioni logiche, ha dimostrato l’ininfluenza di una prova siffatta, a fronte degli elementi probatori già acquisiti, che non avevano oggettive caratteristiche di incertezza.

Va altresì evidenziato che la perizia non può farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva", essendo un mezzo di accertamento neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice (vedi Cass.: Sez. 3, 2.2.2006, Biondillo ed altri; Sez. 4, 6.2.2004, n. 4981; Sez. 4, 28.2.2003, n. 9279; Sez. 5, 21.10.1999, il 12027; Sez. 3, 14.2.1998, n. 13086).

7. Devono considerarsi inammissibili i "motivi nuovi", depositati il 6.6.2011, che non si ricollegano alle eccezioni già svolte con l’originario ricorso (sono quelli riferiti alle addotte incertezze circa l’applicazione dell’indulto ed al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione), poichè – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – i "motivi nuovi" devono avere esclusivamente ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti detta decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame, ai sensi dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a), (vedi, ex multis, Cass.: sez. 6, 4.7.2008, n. 27325;

sez. 5, 16.12.2005, n. 45725; sez. 1, 14.9.2005, n. 33662).

Appare opportuno osservare comunque che, nella specie, l’indulto, non menzionato nel dispositivo della sentenza impugnata, non può considerarsi concesso e che – con la decisione 15.7.2010, n. 36837, P.O. in proc. Bracco – le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo il quale con la sentenza di condanna non può essere contestualmente applicato l’indulto e disposta la sospensione condizionale della pena, in quanto quest’ultimo beneficio prevale sul primo.

8. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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