Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-06-2011) 26-09-2011, n. 34763

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 28.5.2010, confermava la sentenza 8.6.2009 del Tribunale di Lucca – Sezione distaccata di Viareggio, che aveva affermato la responsabilità penale di B.M. in ordine ai reati di cui:

– agli artt. 54 e 1161 c.n. (per avere arbitrariamente occupato aree demaniali marittime, installando strutture varie di uno stabilimento balneare e ricreativo in prossimità della battigia – acc. in (OMISSIS));

– al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 44, lett. c), (per avere realizzato le strutture anzidette, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire);

– al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato le strutture anzidette, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo);

e, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., lo aveva condannato alla pena complessiva (interamente condonata) di mesi due di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il B., il quale ha eccepito:

– la nullità della stessa, per la omessa indicazione, da parte del primo giudice, del reato considerato più grave ai fini del computo della pena e degli aumenti correlati al riconosciuto vincolo della continuazione;

– l’erroneo disconoscimento della precarietà dei manufatti realizzati (e non ricompresi tra quelli successivamente sanati), che dovrebbero ritenersi sottratti, per le loro caratteristiche oggettive, dal regime del permesso di costruire.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè le doglianze anzidette sono manifestamente infondate.

1. Quanto alla prima eccezione, appare sufficiente osservare che nella specie il reato più grave, come esattamente evidenziato dalla Corte territoriale, deve considerarsi individuato dal Tribunale in quello sanzionato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 44 ed in ogni caso non è ravvisabile alcuna nullità poichè, secondo giurisprudenza costante, il giudice di appello può supplire, integrandole, ad eventuali insufficienze della motivazione della sentenza appellata.

2. In relazione, poi, al secondo motivo di ricorso, va rilevato che la natura "precaria" di un manufatto – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. 3: 26.6.2009, n. 26573, Morandin; 22.6.2009, n. 25965, Bisulca ed altro; 25.2.2009, a 22054, Frank; 7.3.2008, n. 23086, Basile; 13.6.2006, n. 20189, Cavallini) – ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire (già concessione edilizia), non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.

Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b), – dopo le modifiche introdotte dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. 22 maggio 2010, n. 73 – prevede che possono essere installate, senza alcun titolo abilitativo ma previa comunicazione dell’inizio dei lavori all’Amministrazione comunale (anche per via telematica), le opere dirette a soddisfare obiettive esigerne contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni.

Non implica precarietà dell’opera, però, il carattere stagionale di essa, potendo essere la stessa destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (vedi Cass., sez. 3: 21.2.2006, Mulas; 19.2.2004, Pieri; nonchè C. Stato, sez. 4, 22.12.2007, n. 6615).

Nella fattispecie in esame i giudici del merito hanno escluso il requisito della temporaneità, non ravvisando un uso realmente precario di manufatti abusivamente realizzati, asseritamente destinati ad essere rimossi al termine della stagione balneare, ed a tale esclusione sono pervenuti con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logico-giuridici.

3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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