Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-06-2011) 26-09-2011, n. 34743 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con provvedimento del 26 novembre 2010 il G.i.p. del Tribunale di Catanzaro disponeva la misura cautelare in carcere nei confronti di B.M. in ordine ai reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (capo 1) e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (capo 43), di trasferimento fraudolento di beni ex L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies (capo 1 ter), di detenzione illegale di armi (capo 2), nonchè per una serie di rapine (capi 5, 7, 8, 9, 10 e 22) e per un episodio di riciclaggio (capo 25), reati quasi tutti aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7. 2. – Sull’istanza di riesame proposta dal B., il Tribunale di Catanzaro ha, preliminarmente, dichiarato l’incompetenza territoriale del G.i.p. distrettuale di Catanzaro in ordine alle rapine contestate nei capi 8, 9 e 10, ritenendo competente il G.i.p. del Tribunale di Bari; inoltre, ha revocato la misura cautelare applicata in riferimento al delitto di detenzione di armi (capo 2), per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza; mentre ha confermato l’ordinanza cautelare per gli altri reati, escludendo la sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 contestata per i reati di rapina di cui ai capi 5 e 7, nonchè per quello di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies (capo 1 ter) e per il riciclaggio (capo 25); il Tribunale ha anche confermato la misura cautelare in relazione al reato di cui al capo 22, riqualificandolo come tentativo di violenza privata aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7. 3. – Nell’interesse di B.M. ha presentato ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia, contestando la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

In particolare, con riferimento al reato associativo di cui al capo 1 il ricorrente contesta innanzitutto la stessa esistenza dell’associazione, di cui l’ordinanza non avrebbe fornito le caratteristiche; inoltre, rileva che gli elementi probatori sarebbero costituiti da dichiarazioni accusatorie non riscontrate rese da collaboratori di giustizia ovvero dai risultati delle intercettazioni utilizzate come prove anzichè come fonti di prova; infine, vengono ritenuti del tutto carenti gli elementi a sostegno del ruolo di capo del clan attribuito al B..

Per quanto concerne i reati di cui agli artt 605 e 628 c.p. contestati ai capi 5 e 7 il ricorrente eccepisce l’incompetenza del G.i.p. distrettuale di Catanzaro una volta che il Tribunale del riesame ha escluso l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. Nel merito sostiene che non vi siano elementi per ritenere che B. abbia partecipato alle rapine commesse materialmente dal fratello F..

Anche in relazione al tentativo di violenza privata di cui al capo 22 si rileva la mancanza di elementi per affermare il coinvolgimento dell’imputato, dal momento che le minacce risultano essere state rivolte a M.L. solo da L..

Carenti sarebbero i gravi indizi in rapporto al reato di riciclaggio contestato al capo 25.

Per quanto riguarda il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies si rileva che l’ordinanza impugnata non avrebbe offerto alcuna motivazione in ordine all’esistenza del dolo.

Il vizio di motivazione viene denunciato anche per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, la cui esistenza viene affermata mutuandone la struttura e l’organizzazione da quella contestata al capo 1; il ricorso alle intercettazioni non riesce ad indicare le modalità operative dell’associazione e i giudici attribuiscono ad un programma della società criminale episodi singoli di cessione di stupefacenti che non possono essere attribuiti all’organizzazione;

inoltre, le dichiarazioni dei collaboratori non risultano riscontrate.

Successivamente il difensore dell’imputato ha depositato motivi aggiunti con cui eccepisce l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni effettuate presso l’abitazione della convivente del B. – K.E. – in quanto la polizia giudiziaria avrebbe sostituito le originarie apparecchiature di captazione con nuovi apparecchi noleggiati da una ditta privata senza alcuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria.

Inoltre, si deduce la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare ex art. 310 c.p.p. per la mancata trasmissione integrale dell’atto di convalida del decreto di intercettazione.

Infine, si censura l’ordinanza del Tribunale con riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori S.G., D.N.O. e Be.Fr. ritenute erroneamente tra esse riscontrate, nonostante si tratti di racconti contraddittori e disomogenei.

Motivi della decisione

4. – L’ordinanza deve essere annullata con rinvio per quanto riguarda il capo 1 dell’imputazione provvisoria, relativa al reato associativo, in quanto il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione i contenuti delle doglianze difensive, limitandosi a richiamare integralmente per relationem l’ordinanza genetica.

Deve rilevarsi che sebbene la motivazione per relationem sia di regola ammessa in presenza di determinare condizioni, tuttavia il vizio di mancanza di motivazione, con specifico riferimento all’ordinanza del riesame, sussiste qualora, nel fare riferimento a quanto indicato in altri provvedimenti, il tribunale accolga acriticamente le valutazioni ivi contenute, senza alcun apporto rielaborativo, tanto più se necessitato da specifiche doglianze delle parti interessate, senza alcuna valutazione in ordine alla bontà o meno delle censure mosse (Sez. 2, 25 novembre 2010, n. 44378, Schiavulli).

La difesa dell’indagato aveva contestato, tra l’altro, la sussistenza dei riscontri alle accuse dei collaboratori e il ruolo di capo dell’organizzazione attribuito a B.M., ma su tali specifiche doglianze l’ordinanza impugnata non argomenta, ma rinvia ad un materiale probatorio che assume imponente, ma di cui non fornisce alcun elemento di valutazione in rapporto alle critiche della difesa, in un vuoto motivazionale che appare ingiustificato soprattutto in considerazione della gravità dell’accusa contenuta nel capo in oggetto.

5. – Analogo annullamento deve essere disposto con riferimento al capo 1 ter dell’imputazione, relativo al reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies.

Si tratta di una fattispecie a forma libera, funzionale ad evitare l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o beni per eludere, tra l’altro, le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali e la giurisprudenza ne ha esteso l’ambito operativo alla condotta che ponga in essere non solo una simulazione assoluta, ma anche un’interposizione fittizia. Peraltro, la stessa giurisprudenza segnala che l’ampiezza e l’indeterminatezza materiale della fattispecie, trova un limite nella necessaria presenza del dolo specifico, cui è attribuito il compito di qualificare selettivamente i comportamenti antidoverosi.

Ebbene, nel caso in esame il Tribunale non ha operato alcuna valutazione circa la sussistenza, seppure a livello di gravi indizi, del dolo specifico, che corrisponde allo scopo elusivo della condotta incriminata dal reato. Tale indagine sul profilo soggettivo appariva tanto più necessaria in considerazione del fatto che B.M. non era sottoposto a nessuna misura di prevenzione patrimoniale, sicchè appariva essenziale verificare la sussistenza di indizi che dimostrassero che la fittizia intestazione del locale a G. E. fosse finalizzata allo scopo elusivo richiesto dall’art. 12 quinquies cit.

6. – Per quanto riguarda i reati contestati ai capi 5 e 7 deve essere accolta l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Catanzaro, in quanto una volta esclusa l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e non potendo più i reati essere ritenuti espressione di un contesto criminale mafioso, non trova applicazione l’art. 51 c.p.p., comma 3 bis che attribuisce la competenza al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito a sede il giudice competente e, conseguentemente, la competenza deve essere individuata secondo le regole generali. In questo caso, la vis attractiva del citato art. 51 c.p.p., comma 3 bis non opera con riferimento ai delitti di cui ai capi 5 e 7, trattandosi di episodi che, in base alla stessa ricostruzione dei fatti contenuta nell’ordinanza impugnata, non hanno alcuna connessione con il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, che ha determinato la competenza distrettuale.

Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio per i reati di cui agli artt. 605 e 628 c.p. e l’annullamento deve essere disposto anche in relazione all’ordinanza del G.i.p. di Catanzaro del 26.11.2010, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Cosenza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 27 c.p.p..

7. – Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

7.1. – Quanto al reato di tentata violenza privata di cui al capo 22, il Tribunale ha ritenuto che il pieno coinvolgimento dell’indagato nei fatti contestati risulta provato dalle conversazioni intercettate con i fratelli L., da cui emerge l’interesse di B. M. a gestire i servizi funebri dei pazienti deceduti presso la casa per anziani (OMISSIS), interesse che viene coltivato facendo minacciare gli amministratori della clinica, M. G. e L., e tentando di imporre loro l’affissione, presso la casa di cura, di un invito rivolto ai parenti dei degenti a rivolgersi, per i servizi di onoranze funebri, alla ditta Naccarato, collegata al B..

Il Tribunale ha esaminato e valutato con estrema attenzione il contenuto delle intercettazioni, motivando in maniera logica e coerente i contatti esistenti tra B. e i fratelli L., cioè gli autori materiali delle pressioni e delle minacce nei confronti dei M..

7.2. – Infondato è il motivo riguardante il reato di riciclaggio di cui al capo 25. Anche in questo caso il Tribunale ha ritenuto il concorso del B. nel reato sulla base dei risultati di alcune conversazioni intercettate, da cui risulta che l’indagato abbia partecipato, seppure episodicamente, ad alcune operazioni di riciclaggio di autovetture rubate svolte prevalentemente dal F., tra cui l’operazione oggetto dell’episodio contestato.

7.3. – Infondati sono pure i motivi con cui si contesta la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

L’ordinanza impugnata ha fatto riferimento all’intercettazione ambientale del 12.1.2007 e alle conversazioni oggetto di captazione tra A.L. e B.F., da cui risulta il ruolo di vertice assunto da B.M. all’interno di questa associazione.

8. – Manifestamente infondate sono, infine, le doglianze contenute nei motivi aggiunti.

8.1. – La dedotta inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni presso la convivente dell’indagato per la sostituzione delle originarie apparecchiature di captazione non trova fondamento in alcuna norma processuale; inoltre, il ricorrente non rappresenta la rilevanza che la denunciata inutilizzabilità avrebbe sulla decisione impugnata.

8.2. – Deve escludersi che la mancata trasmissione integrale dell’atto di convalida del decreto di intercettazione comporti la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, in quanto l’effetto caducatorio previsto dall’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10 consegue solo alla mancata trasmissione al tribunale del riesame di tutti gli atti a suo tempo presentati al g.i.p. ex art. 291 c.p.p. e per trasmissione mancante deve intendersi quella riguardante l’atto nella sua integralità, in quanto ciò che si vuole assicurare è che in sede di riesame il controllo abbia ad oggetto lo stesso materiale probatorio utilizzato dal g.i.p. per disporre la misura cautelare.

Inoltre, non risulta dal ricorso se il detto atto di convalida sia già stato depositato ai sensi dell’art. 293 c.p.p., comma 3 e se, di conseguenza, la difesa sia stata già posta in grado di venire a conoscenza dell’atto che costituisce un presupposto dell’attività intercettativa.

8.3. – Infine, le critiche sui mancati riscontri delle dichiarazioni rese dai collaboratori devono ritenersi assorbite dal disposto annullamento del reato associativo di cui al capo 1.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi 1 e 1 ter e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.

Ritenuta l’incompetenza territoriale del Tribunale di Catanzaro per i reati di cui ai capi 5 e 7, annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e l’ordinanza del Gip del Tribunale di Catanzaro del 26.11.2010 in riferimento a detti reati, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Cosenza ai sensi e per gli effetti dell’art. 27 c.p.p..

Rigetta nel resto il ricorso.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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