Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-06-2011) 26-09-2011, n. 34738

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Mediante il difensore l’imputata D.B.S. impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello degli Abruzzi del 24.9.2010, che ha confermato la sentenza resa all’esito di giudizio ordinario dal Tribunale di Chieti sezione di Ortona in data 26.6.2008, con la quale è stata ritenuta responsabile del reato di calunnia e condannata – concessele le attenuanti generiche – alla pena condizionalmente sospesa di un anno e quattro mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile S.P..

Reato posto in essere con denuncia presentata ai Carabinieri di Francavilla al Mare il 17.12.2003, con la quale affermava falsamente di aver subito il furto di un assegno bancario (custodito nella borsetta sottrattale dall’autovettura) firmato in bianco all’ordine proprio e tratto sul conto bancario della società Ciofani s.a.s., di cui era socia accomandataria e amministratrice. Assegno postdatato al 19.12.2003, che in realtà era stato consegnato dal socio C. L. (prosciolto dal concorso nel reato per non aver commesso il fatto) a tale S.P. in pagamento delle sue competenze quale agente della società e per il cambio in contanti (assegno emesso per Euro 3.000,00, di cui Euro 1.000,00 spettanti al S. ed Euro 2.000,00 da questi versate in contanti al C. prima della scadenza del titolo). Denuncia con cui, quindi, la D.B. accusava il S., pur sapendolo innocente, del reato di ricettazione del titolo di credito.

La Corte di Appello, adita dall’impugnazione della D.B., fondata sulla asserita ignoranza che l’assegno da lei firmato in bianco (firma non disconosciuta) fosse stato prelevato a sua insaputa dal socio C. e consegnato al S., ha ritenuto l’assunto difensivo dell’imputata privo di pregio sul piano storico e sul piano logico.

In particolare la sentenza di appello si è richiamata – da un lato – alle condivise deduzioni espresse dalla sentenza di primo grado a sostegno dell’affermata responsabilità dell’appellante, con le quali si è evidenziato il carattere strumentale del denunciato furto dell’assegno (calunniosità) in ragione della avvenuta presentazione della denuncia appena due giorni prima della scadenza del titolo postdatato con il palese scopo di impedirne il regolare incasso per verosimile assenza di provvista ed altresì la totale implausibilità della tesi difensiva dell’imputata, non trovando alcuna logica spiegazione che ella, proprio se non vera amministratrice della società (gestita dal C.), portasse in giro con sè un assegno prefirmato in bianco. Da un altro lato la sentenza impugnata aggiunge il rilievo della palese irragionevolezza della tesi difensiva della D.B. (non conoscenza della avvenuta utilizzazione del titolo da parte del già coimputato C.), quando si osservi che la stessa ha sostenuto di essere solita sottoscrivere i titoli soltanto quando ve ne era necessità ed a specifica richiesta del C..

Di guisa che non è credibile che non sia stata perfettamente a conoscenza di aver sottoscritto anche l’assegno poi denunciato come rubato e che quanto meno – stante l’indicata prassi societaria – non si sia informata della sorte di quell’assegno presso il socio C. prima di denunciarne il furto.

2.- Con il ricorso per cassazione si deducono i seguenti due motivi di censura.

1. Carenza o insufficienza della motivazione.

Le argomentazioni della Corte di Appello confermative della condanna sono apparenti, poichè l’imputata non ha asserito che era solita sottoscrivere gli assegni societari in caso di bisogno e a specifica richiesta del C., ma che si limitava a sottoscrivere tutti i titoli del carnet, gli stessi venendo poi sempre riempiti e negoziati dal socio. La D.B. non sapeva che l’assegno denunciato sottratto era stato prelevato dal C. e in perfetta buona fede ne ha denunciato il furto, trovandosi il carnet nella borsetta sottrattale dall’auto.

2. Erronea applicazione dell’art. 368 c.p..

La responsabilità della D.B. per il reato di calunnia avrebbe potuto ravvisarsi "solo in presenza di un accordo con il C. diretto ad accusare falsamente di ricettazione del titolo il S.". L’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ravvisa nella falsa denuncia di furto di un assegno bancario gli estremi del reato di calunnia in danno del prenditore del titolo è applicabile ai soli casi in cui sia stato lo stesso denunciante ad avere precedentemente negoziato il titolo. Ma questo non è il caso della ricorrente, in assenza di prova della reale conoscenza della D.B. della già avvenuta negoziazione del titolo ad opera del C.. Tale conoscenza è smentita dalla sentenza di primo grado, che ha riconosciuto non esservi elementi di prova per ravvisare una partecipazione criminosa del C. nel reato di calunnia ascritto alla D.B.. Sicchè, "se non vi è la partecipazione del C., non si vede come possa ravvisarsi in capo alla D. B. la consapevolezza della precedente consegna dell’assegno al S., della quale era del tutto ignara". 3.- L’impugnazione di D.B.S. deve essere dichiarata inammissibile per la genericità e la manifesta infondatezza dei due delineati motivi di ricorso, costituenti in realtà articolazioni di un unico motivo di censura basato sulla assenza del dolo del reato di calunnia nella condotta di denuncia tenuta dalla donna. Censura che, venendo meno al canone di specificità dell’impugnazione, riproduce le omologhe doglianze avverso la decisione del Tribunale già sottoposte ai giudici di secondo grado, che le hanno idoneamente vagliate e disattese con argomenti giuridicamente corretti.

Va innanzitutto ribadita la stabilità dell’indirizzo di questa S.C. (rammentato, per altro, dallo stesso ricorso), per cui integra il reato di calunnia la falsa denuncia di furto o smarrimento di un assegno bancario che preceda la negoziazione per l’incasso del titolo, il cui prenditore è implicitamente accusato dei possibili reati di furto o appropriazione indebita o ricettazione del titolo di credito (v., ex multisi Cass. Sez. 6, 7.2.2008 n. 10400, Carlisi, rv.

239017), ed altresì che la natura di reato di pericolo della calunnia richiede unicamente l’astratta possibilità dell’inizio di indagini o di un procedimento penale nei confronti della persona falsamente incolpata.

Tanto precisato, l’illustrata tesi difensiva fa perno sulla asserita ignoranza della negoziazione del titolo firmato in bianco compiuta dal socio C., attesa l’assenza di dati asseveranti un previo accordo tra l’imputata e il suo socio C. finalizzato alla falsa denuncia dell’assegno (non consta che la D.B. abbia denunciato il furto di altri titoli, sì che deve ritenersi che il carnet d assegni in suo possesso recasse il solo titolo, già firmato in bianco, in precedenza ceduto al S.). Paradossalmente il difetto dell’elemento soggettivo del reato di calunnia consumato dalla ricorrente dovrebbe desumersi dall’avvenuto proscioglimento dell’originario coimputato C., indicativo dell’assenza di un accordo criminoso tra i due soci.

Si tratta, come sembra chiaro, di una palese anfibologia ricostruttiva, che muove dalla tautologica premessa per cui l’avvenuta assoluzione del coimputato dovrebbe di per sè implicare il proscioglimento della D.B. per difetto dell’elemento soggettivo del reato di calunnia ascrittole. Ma, non essendo questa la sede per sindacare le ragioni che hanno indotto il primo giudice di merito a ritenere il C. estraneo al reato materialmente realizzato dalla D.B., è agevole osservare che la tesi difensiva della ricorrente appartiene al genere degli argomenti che provano troppo. Perchè una simile tesi finisce per smentire all’evidenza il presupposto dell’assunto difensivo della ricorrente, in buona sostanza incentrato sul carattere puramente formale della sua carica di socia accomandataria e amministratrice della società Ciofani s.a.s., della gestione della stessa occupandosi soltanto l’altro socio C., e -come si sostiene nell’atto di appello contro la sentenza del Tribunale- e, quindi, proiettato su un preteso "difetto di comunicazione tra i soci determinante il disguido" sulla già avvenuta cessione dell’assegno prefirmato dalla D.B. e compilato nell’importo e postdatato dal C..

E’ perfino ovvio che, se le cose fossero state nei termini descritti in ricorso, la D.B. non avrebbe avuto alcuna ragione di portare con sè il carnet degli assegni societari da lei prefirmati (per di più, come è dato capire, contenente un unico residuo assegno, quello di cui la donna ha denunciato il furto), sebbene i titoli occorressero – per stare alla sua prospettazione – al socio C. per le esigenze di amministrazione della comune società rimesse alla sua esclusiva cura.

Va da sè, allora, che le deduzioni critiche sviluppate da entrambe le sentenze di merito e soprattutto – per quanto rileva in questa sede – dalla sentenza di appello ("la tesi dell’inconsapevolezza non regge sul piano logico") sulla totale inattendibilità della pretesa buona fede della D.B., che (essendo ella ignara del già avvenuto uso dell’assegno da parte del socio) varrebbero ad eliderne la volontà criminosa (dolo), sono dotate di piena coerenza e linearità sul piano argomentativo, sì da essere immuni dalle aporie o discrasie denunciate con l’odierno ricorso. Non senza rimarcarsi il congiunto significativo spessore indiziario dell’avvenuta presentazione della denuncia di furto dell’assegno appena due giorni prima della scadenza della sua "postdatazione", benchè -ancora per restare alla narrazione dei fatti offerta dall’imputata- l’assegno sarebbe stato consegnato molto tempo prima al S. e la D. B. avrebbe dovuto avvedersi della sua sottrazione in epoca ben anteriore a quella del patito furto della borsetta (a tacere del fatto, giova ripetere, che il furto riguarderebbe un unico assegno, proprio quello ceduto al S. e negoziabile per l’incasso solo due giorni dopo il denunciato furto).

Per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione la ricorrente va onerata del pagamento delle spese processuali e del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in misura di Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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