Cass. civ. Sez. VI, Sent., 07-02-2012, n. 1721 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- V.N. e gli altri cinque ricorrenti indicati in epigrafe hanno adito la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Lazio con ricorso del gennaio 1995, definito in appello dal Consiglio di Stato con sentenza del marzo 2006.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 24.9.2009, pronunciato nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fissato il termine di durata ragionevole del giudizio in anni sei, ha liquidato in favore di ciascuna delle parti ricorrenti, per il danno non patrimoniale per il ritardo di 5 anni, la somma di Euro 5.000,00 e le spese del giudizio. Per la cassazione di questo decreto le parti attrici hanno proposto ricorso affidato a tre motivi. La P.D.C.M. non ha svolto difese.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.1.- Con il primo motivo le parti ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto ragionevole la durata di sei anni anzichè cinque come imposto dagli standards europei.

2.2.- Con il secondo motivo le parti ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2; art. 1173 c.c.), in relazione al capo del decreto che ha omesso di attribuire gli interessi legali sulla somma liquidata.

2.3.- Con il terzo motivo le parti ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge ( artt. 90 e 91 c.p.c., D.M. n. 127 del 2004) e delle tariffe professionali, nella parte in cui il decreto ha liquidato le spese del giudizio, in violazione dei minimi di tariffa e senza tenere conto che si trattava di due ricorsi riuniti.

3. – La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, dispone che la ragionevole durata di un processo va verificata in concreto, facendo applicazione dei criteri stabiliti da detta norma all’esito di una valutazione degli elementi previsti da detta norma (per tutte, Cass. n. 6039, n. 4572 e n. 4123 del 2009; n. 8497 del 2008) e in tal senso è orientata anche la giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, sentenza I sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio, rispettivamente, in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità;

siffatto parametro va osservato dal giudice nazionale e da esso è possibile discostarsi, purchè in misura ragionevole e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, restando comunque escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez.un., n. 1338 del 2004; in seguito, tra le tante, Cass. n. 4123 e n. 3515 del 2009).

Nella concreta fattispecie la corte di merito ha adeguatamente motivato il proprio accertamento circa la ragionevolezza della durata di sei anni per due gradi di giudizio facendo riferimento al numero elevato di ricorrenti e delle questioni trattate, così tenendo conto della "complessità" della causa. Motivazione che appare idonea a giustificare il discostamento dagli standards europei.

Talchè il primo motivo è infondato.

Fondata è invece la censura relativa all’omessa attribuzione degli interessi sulla somma liquidata (Sez. 1, Sentenza n. 24756 del 24/11/2005).

Assorbito il terzo motivo relativo alla liquidazione delle spese del giudizio di merito, la Corte deve cassare il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condannare l’Amministrazione a corrispondere gli interessi legali sulla somma liquidata ai ricorrenti dalla data della domanda giudiziale.

Le spese del giudizio di merito sono liquidate, nel dispositivo, in base allo scaglione pertinente alla somma capitale riconosciuta dovuta; nei minimi, considerata la natura ripetitiva delle questioni trattate e l’identità del giudizio presupposto (Sez. 1, Ordinanza n. 10634 del 03/05/2010).

L’esito complessivo della lite induce il Collegio a dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità in ragione di 2/3.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere ai ricorrenti gli interessi legali sulla somma liquidata per indennizzo dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50 per esborsi, Euro 768,00 per diritti e Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

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