T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 17-10-2011, n. 7966 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in date 15/05/04 e 17/05/04 P.A. ha impugnato la determinazione dirigenziale n. 642 del 16 marzo 2004 con cui il Comune di Roma (poi divenuto Roma Capitale), sulla base del verbale di sequestro del 5 marzo 2004 (anch’esso gravato), ha ordinato la demolizione d’ufficio delle opere ivi indicate.

Il Comune di Roma, costituitosi in giudizio con memoria depositata il 3 giugno 2004, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 09/11/04 e depositato il 19/11/04 la P. ha impugnato la determinazione dirigenziale n. 1929 del 16 agosto 2004 con cui il Comune di Roma ha intimato alla ricorrente di pagare la somma di euro 17.773,11 quale rimborso per le spese della demolizione d’ufficio sostenute dall’ente locale.

Con ordinanza n. 6838/2004 del 17 dicembre 2004 il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla P. con il ricorso per motivi aggiunti.

Con atto depositato il 5 gennaio 2006 P.A. e P.I. si sono costituiti in giudizio in qualità di eredi di P.A., nelle more deceduta.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 12 gennaio 2006 P.A. e P.I. hanno impugnato la nota prot. n. 54084/04 del 1 dicembre 2004 a firma del Comandante del Gruppo VIII del Corpo di polizia municipale del Comune di Roma.

All’udienza pubblica del 6 ottobre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Con il ricorso principale P.A. impugna la determinazione dirigenziale n. 642 del 16 marzo 2004 con cui il Comune di Roma (oggi Roma Capitale), sulla base del verbale di sequestro del 5 marzo 2004 (anch’esso gravato), ha ordinato la demolizione d’ufficio delle opere ivi indicate e consistenti nella realizzazione di uno sterro di mq. 400 con cordolo di fondamenta in cemento armato e posizionamento di un capannone coperto in lamiera coibentata e tamponato su due lati avente dimensioni di mt. 12,00 x 30,00 ed altezza variabile da mt. 4 a mt. 6 circa.

Con le prime due censure la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 44 l. n. 47/85 e dell’art. 32 d. l. n. 269/03 in quanto l’amministrazione intimata avrebbe disposto la demolizione d’ufficio delle opere nonostante la condonabilità delle stesse, confermata dalla pendenza del termine per proporre la relativa istanza, e, comunque, nella vigenza del periodo di sospensione dei procedimenti sanzionatori previsto dall’art. 44 l. n. 47/85.

I motivi sono infondati.

L’applicabilità della normativa sul condono prevista dal decreto legge n. 269/03 e la correlata sospensione dei procedimenti sanzionatori stabilita dall’art. 44 l. n. 47/85 presuppone che l’opera sia stata ultimata al 31 marzo 2003 (come stabilito dal comma 25 dell’art. 32 d. l. n. 269/03).

Secondo l’art. 31 l. n. 47/85, applicabile al c.d. "terzo condono" per effetto del richiamo operato dall’art. 32 comma 25 d.l. n. 269/03, "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente".

La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che l’esecuzione del rustico presuppone l’intervenuto completamento di tutte le strutture essenziali dell’opera, al fine di consentire alla stessa di assolvere alla sua funzione tipica, tra cui vanno ricomprese tutte le tamponature esterne (Corte Cost. n. 54/09; Cass. n. 8064/08; Cons. Stato sez. V n. 7547/04; TAR Campania – Salerno n. 1745/06).

Nella fattispecie, dal verbale di sequestro del 5 marzo 2004 e dalla relazione tecnica e dalla documentazione fotografica allegati allo stesso atto introduttivo emerge che, al momento dell’accertamento, l’opera era in corso di costruzione, si presentava allo stato grezzo e non aveva tutte le tamponature laterali (ma solo due).

Dalla nota della polizia municipale dell’11 giugno 2004 emerge, poi che dopo un primo sequestro del 5 marzo 2004 la P. ha proseguito la realizzazione delle opere con conseguente ulteriore sequestro del 15 marzo 2004.

La circostanza è confermata dalla stessa documentazione depositata l’11 luglio 2011 nell’interesse degli eredi della ricorrente da cui emerge che i materiali utilizzati per la costruzione del manufatto abusivo sono stati acquistati nel periodo che va dall’ottobre 2003 al marzo 2004.

Ne consegue che il manufatto in esame non rientra nell’ambito applicativo del condono introdotto dal decreto legge n. 269/03 essendo stato realizzato ben oltre il limite temporale (31 marzo 2003) previsto dalla norma in esame per l’ammissibilità al beneficio.

Da ciò deriva l’infondatezza delle prime due censure basate sulla pretesa applicabilità della normativa sul condono.

Con il terzo motivo la P. prospetta la violazione degli artt. 27 e 31 d.p.r. n. 380/01 in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto ordinare la demolizione ex art. 31 e non provvedere direttamente d’ufficio con le modalità effettivamente seguite.

La doglianza è infondata.

L’art. 27 d.p.r. n. 380/01 consente la demolizione d’ufficio, tra gli altri, in "tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici", ipotesi che sicuramente ricorre nella fattispecie in esame in cui l’opera contestata, qualificabile come "nuova costruzione" in ragione del significativo aumento di volumetria ad essa riconducibile, è stata realizzata in assenza del necessario titolo edilizio abilitativo da individuarsi nel permesso di costruire, secondo quanto previsto dagli artt. 3 e 10 d.p.r. n. 380/01.

Pertanto, l’amministrazione ben poteva disporre la demolizione d’ufficio laddove la sospensione dei lavori prevista dall’art. 27 comma 3° d.p.r. n. 380/01, la cui mancanza è stata anch’essa oggetto di doglianza, costituisce espressione di un potere cautelare il cui esercizio si configura come discrezionale come si evince dall’inciso iniziale della disposizione che fa salva "l’ipotesi prevista dal precedente comma 2".

Per quanto attiene alla mancata comunicazione dell’abuso alle autorità competenti alla tutela del vincolo, essa è da ritenersi ininfluente ai fini della valutazione della legittimità del procedimento repressivo avendo nella fattispecie il Comune disposto la demolizione con riferimento alla violazione della normativa edilizia e non già di quella vincolistica.

In ogni caso la censura, in parte qua, può, al più, concretizzare un vizio procedimentale che può essere fatto valere solo dal soggetto (l’autorità preposta alla tutela del vincolo) nel cui interesse la formalità partecipativa è prevista, ferma restando, in ogni caso, la preclusione all’annullamento prevista dall’art. 21 octies comma 2° l. n. 241/90 ed applicabile alla fattispecie in ragione della correttezza sostanziale del provvedimento impugnato.

Con la quarta censura la ricorrente lamenta che il provvedimento di demolizione non avrebbe accertato né indicato la natura dei vincoli esistenti, da ritenersi importanti ai fini della valutazione della condonabilità dell’abuso, e che il verbale di sequestro avrebbe evidenziato (contrariamente al vero) che il manufatto sarebbe stato in corso di realizzazione.

Il motivo è infondato dovendosi sul punto richiamare quanto in precedenza evidenziato circa la data di realizzazione dell’opera (e la conseguente veridicità delle circostanze riportate nel verbale di sequestro) e la non condonabilità della stessa con conseguente irrilevanza di ogni questione circa i vincoli esistenti nell’area.

Per le stesse ragioni (non riconducibilità della fattispecie nell’ambito applicativo del condono previsto dal decreto legge n. 269/03) è inaccoglibile il quinto motivo con cui si lamenta la violazione della circolare del Ministero dell’Interno del 19/02/04 nella parte in cui prevede la sospensione del procedimento edilizio sanzionatorio in riferimento alla pendenza dei termini per la proposizione della domanda di condono.

Infondata è, poi, la sesta censura in quanto l’eccesso di potere per disparità di trattamento, ivi dedotto, è vizio tipico della funzione discrezionale e, come tale, giuridicamente inconfigurabile con riferimento agli atti vincolati quale è l’ordinanza di demolizione impugnata con il ricorso principale.

Per altro, l’eventuale esistenza di manufatti abusivi nella zona impone all’amministrazione di esercitare anche nei confronti degli stessi i poteri repressivi ad essa attribuiti dalla normativa vigente ma non legittima alcuna pretesa alla conservazione dell’opera abusiva oggetto di causa.

Con la settima censura la ricorrente prospetta il difetto di motivazione dell’atto impugnato e la violazione dell’art. 7 l. n. 241/90 per non avere ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento.

Con riferimento al primo profilo va evidenziato che il provvedimento di demolizione ha natura vincolata e deve ritenersi congruamente motivato con il richiamo, presente nella fattispecie, alla mancanza del titolo edilizio abilitativo e all’oggetto dell’abuso con conseguente superfluità dell’indicazione dell’interesse pubblico ulteriore da ritenersi in "re ipsa" non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare (in questo senso Cons. Stato sez. V n. 79/11; Cons. Stato sez. IV n. 3955/10).

Per quanto attiene alla violazione dell’art. 7 l. n. 241/90 essa concerne un vizio procedimentale e, come tale, inidoneo, secondo quanto previsto dall’art. 21 octies comma 2° l. n. 241/90, a comportare l’annullamento giurisdizionale dell’atto impugnato stante la natura vincolata e la correttezza sostanziale dello stesso (di cui si è già dato atto).

Infondato è anche il ricorso per motivi aggiunti notificato il 09/11/04 e depositato il 19/11/04 con cui la P. ha impugnato la determinazione dirigenziale n. 1929 del 16 agosto 2004 avente ad oggetto l’intimazione di pagamento della somma di euro 17.773,11 quale rimborso per le spese della demolizione d’ufficio sostenute dall’ente locale.

In proposito deve, innanzi tutto, rilevarsi che non sussistono i vizi d’illegittimità derivata prospettati alle pagg. 9 e seguenti del ricorso che, sul punto, si limita a riproporre pedissequamente le censure formulate con il ricorso principale avverso l’ordinanza di demolizione in relazione alla cui infondatezza si rinvia a quanto in precedenza evidenziato.

Con il primo motivo aggiunto, poi, la P. evidenzia che l’intimazione di pagamento del 16 agosto 2004 si fonda su un presupposto, quale la constatazione del mancato adempimento a demolire, nella realtà insussistente e, comunque, non reca alcuna motivazione in ordine all’esistenza di vincoli e alla condonabilità dell’abuso.

La censura è infondata in quanto il provvedimento gravato risulta essere stato correttamente emesso per conseguire il rimborso delle spese sostenute per la demolizione d’ufficio disposta con la determinazione dirigenziale n. 642 del 16 marzo 2004 come risulta dalla parte dispositiva della determinazione dirigenziale n. 1929 del 16 agosto 2004 (ove si specifica che la somma ivi indicata è quantificata "quale rimborso a fronte per la spesa sostenuta per la demolizione delle opere abusive realizzate in via Campo Grazia n. 79 – Roma").

Il riferimento, nella motivazione, all’inottemperanza della P. all’ordinanza di demolizione è probabilmente frutto di un errore materiale, riferibile alla diversa figura della "demolizione in danno" (che prevede anch’essa il rimborso delle spese da parte del responsabile), che, però, non incide sulla correttezza sostanziale del provvedimento.

Irrilevante, poi, è la mancata indicazione, nella determinazione dirigenziale n. 1929 del 16 agosto 2004, della natura dei vincoli esistenti, della presenza di altri immobili condonati e della mancata valutazione dell’interesse del privato alla conservazione dell’opera abusiva.

Trattasi, infatti, di doglianze che attengono più propriamente alla presupposta ordinanza di demolizione del 16 marzo 2004 (per l’infondatezza delle quali si rinvia a quanto in precedenza evidenziato) e, comunque, attinenti a circostanze prive di rilevanza giuridica, quale la prospettata situazione di bisogno che non legittima la conservazione dell’abuso.

Inaccoglibili, poi, sono la seconda e la terza censura del ricorso per motivi aggiunti con cui si lamenta l’inesistenza del presupposto, ovvero il ripristino dello stato dei luoghi, richiamato a fondamento dell’ingiunzione di pagamento.

Ed, infatti, la nozione di "ripristino dello stato dei luoghi" deve ritenersi coincidente con l’eliminazione dell’opera abusiva ed il ripristino della legalità violata che nella fattispecie risultano realizzati per effetto della demolizione del manufatto, confermata dalle fotografie presenti in atti.

Con la quarta censura del ricorso per motivi aggiunti viene prospettata la violazione dell’art. 41 d.p.r. n. 380/01, della deliberazione del Consiglio Comunale n. 10/99 e della circolare del Ministero dell’Interno del 19/02/04 in quanto nel provvedimento impugnato non vengono indicati i criteri di scelta dell’impresa esecutrice della demolizione che dovrebbe essere individuata attraverso una gara.

Il motivo è infondato in quanto l’articolo 41 d.p.r. n. 380/01, ivi richiamato, si applica alle sole demolizioni in danno dei responsabili disposte ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01, in conseguenza dell’inottemperanza degli stessi, e non alla demolizione d’ufficio ex art. 27 del medesimo testo normativo.

Inoltre la circolare del Ministero dell’Interno riguarda le demolizioni eseguite dai Prefetti e non quelle dei Comuni laddove, in ogni caso, l’espletamento di una gara per la scelta dell’impresa esecutrice non costituisce condizione di legittimità del procedimento potendo risultare incompatibile con la tempistica che caratterizza la demolizione d’ufficio ex art. 27 d.p.r. n. 380/01.

Inaccoglibile e inammissibile, poi, è il ricorso per motivi aggiunti notificato il 12 gennaio 2006 e depositato il 19 gennaio 2006 con cui P.A. e P.I., in qualità di eredi di P.A., impugnano la nota prot. n. 54084/04 del 1 dicembre 2004 a firma del Comandante del Gruppo VIII del Corpo di polizia di Roma Capitale.

Nel gravame i ricorrenti prospettano l’alterazione della nota del 1 dicembre 2004 che sarebbe di identico contenuto ad una precedente nota della polizia municipale dell’11/06/04 ma recherebbe "palesi profili di alterazione o meglio contraffazione quanto ai numeri di protocollo, fascicolazione, data, riferimento del protocollo e relativa datazione, nonché diverso timbro e firma del presunto autore" (pag. 3 del ricorso per motivi aggiunti depositato il 19 gennaio 2006).

Il Collegio osserva, innanzi tutto, che con la nota del 1 dicembre 2004 la polizia municipale ha riprodotto integralmente il contenuto della nota dell’11 giugno 2004 con cui è stata rappresentata l’evoluzione dei fatti ed i due sequestri del 5 marzo 2004 e del 15 marzo 2004.

La prospettata alterazione dell’atto del 1 dicembre 2004 non influisce, pertanto, sul merito della controversia essendo lo stato degli immobili descritto in maniera specifica nei verbali di sequestro del 5 e del 15 marzo 2004 le cui risultanze debbono, allo stato, essere assunte come vincolanti ai fini della decisione sia perché confermate dalle ulteriori risultanze processuali sia per la fede privilegiata connessa alla natura di atti pubblici di tali verbali.

Tutte le ulteriori censure proposte sono inammissibili in quanto meramente ripetitive di doglianze già formulate con il ricorso principale e con il primo ricorso per motivi aggiunti avverso gli atti ivi impugnati e, come tali, da ritenersi tardive.

Per altro, l’alterazione della nota prot. n. 54084/04 del 1 dicembre 2004 redatta dalla polizia municipale, prospettata con il ricorso per motivi aggiunti depositato il 19 gennaio 2006, impone al Tribunale, in ossequio al disposto dell’art. 331 c.p.p., di trasmettere copia degli atti del fascicolo al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma per quanto di eventuale competenza.

Al rigetto delle domande caducatorie proposte con il ricorso principale e con il ricorso per motivi aggiunti depositato il 19 gennaio 2006 consegue la reiezione delle consequenziali istanze risarcitorie ivi formulate.

Per questi motivi il ricorso è infondato e deve essere respinto.

I ricorrenti, in quanto soccombenti, debbono essere condannati al pagamento delle spese del presente giudizio il cui importo viene liquidato come da dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) respinge il ricorso;

2) condanna i ricorrenti a pagare, in favore di Roma Capitale, le spese del presente giudizio il cui importo si liquida in complessivi euro duemila/00, per diritti ed onorari, oltre IVA e CPA come per legge;

3) dispone, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., la trasmissione di copia del fascicolo al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ai fini di quanto di eventuale competenza in relazione alle circostanze indicate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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