Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-06-2011) 26-09-2011, n. 34803 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.G. è stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti di cui all’art. 219, L. Fall., alla pena di anni tre di reclusione, oltre alle pene accessorie, perchè in qualità di socio accomandatario ed amministratore della società fallita Ionica Trasporti Sas in tre diversi episodi sottraeva somme di pertinenza della società.

Contro la sentenza resa dal giudice monocratico del tribunale di Messina in data 8 aprile 2004 il prevenuto ha proposto appello, che è stato respinto dalla Corte d’appello di Messina, con integrale conferma della sentenza di primo grado.

Contro la predetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando tre motivi di censura:

1. con il primo motivo deduce inosservanza di norme processuali in relazione agli articoli 192 e 195 del codice di procedura penale; in particolare ritiene il ricorrente che sia stata violata la normativa processuale perchè sono state ritenute pienamente probatorie, e non semplice indizio necessario di riscontri, le dichiarazioni del curatore fallimentare;

2. con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’articolo 191 del codice di procedura penale per avere il tribunale fondato il proprio giudizio su una prova inutilizzabile;

3. con il terzo e ultimo motivo di ricorso si lamenta l’evidente illogicità della motivazione, incompleta con riferimento sia all’elemento materiale della fattispecie criminosa, sia all’elemento psicologico del reato.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato; sotto il primo profilo si osserva che il curatore non è teste de relato perchè non riferisce di cose apprese da altri, ma testimonia in ordine a circostanze apprese direttamente attraverso l’esame dei documenti societari; e ciò è sufficiente per rendere inutilizzabile il meccanismo di cui all’art. 195, il quale impone al giudice di chiamare a deporre, su richiesta di parte, le persone cui il teste si è riferito per la conoscenza dei fatti, mentre non è evidentemente possibile seguire la stessa procedura quando la conoscenza deriva dallo studio di un atto e non dalla dichiarazione di un terzo; senza contare che l’odierno ricorrente non ha fornito alcuna prova in ordine alla richiesta di cui all’art. 195 c.p.p., in mancanza della quale costituisce facoltà del giudice chiamare a deporre il teste di riferimento. Inoltre, risulta in modo inequivocabile dalla motivazione della sentenza impugnata che la Corte d’appello, e prima di essa il tribunale di primo grado, ha fondato la dichiarazione di responsabilità del prevenuto non solo sulle dichiarazioni del curatore, ma anche sui documenti contabili societari, mentre l’imputato non è stato in grado di giustificare in modo compiuto gli ammanchi riscontrati e tantomeno di fornire adeguata prova delle sue asserzioni. Va infine rilevato che questa stessa sezione ha già affermato che la relazione del curatore fallimentare costituisce documento utilizzabile come prova nel giudizio di responsabilità per bancarotta (cfr. Cassazione penale, sez. 5, 22 giugno 2006, n. 25039), e non semplice indizio, per cui analoga natura deve riconoscersi alla dichiarazione testimoniale del curatore stesso (si veda in termini, la sentenza citata, ove afferma che nel procedimento per i reati di bancarotta, laddove il curatore riferisca, in sede dibattimentale, del mancato rinvenimento dei beni nel patrimonio dell’imprenditore, si configura vera prova (testimoniale), certamente idonea a fondare il giudizio di colpevolezza allorchè l’imprenditore non risulti in grado di fornire alcuna giustificazione circa la sorte dei beni.

Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato violazione dell’articolo 191 del codice di procedura penale per avere il tribunale fondato il proprio giudizio su una prova inutilizzabile;

trattasi di censura generica ed incomprensibile, e quindi palesemente inammissibile, non essendo indicata dal ricorrente nè in modo compiuto la violazione contestata, nè la pretesa prova viziata da inutilizzabilità, nè ancora la norma che renderebbe inutilizzabile la prova su cui si fonda il giudizio di condanna.

Con il terzo e ultimo motivo di ricorso l’ A. ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione, asseritamente incompleta con riferimento sia all’elemento materiale della fattispecie criminosa, sia all’elemento psicologico del reato. Trattasi di censura generica e addirittura incomprensibile nella parte in cui viene citata una giurisprudenza di questa sezione che ritiene insussistente il reato quando l’indebito prelievo di una somma dalle casse fallimentari sia successivamente seguito, prima del fallimento, da una reintegra dell’attivo; non si comprende il senso di questa citazione, in quanto non risulta che l’imputato abbia provveduto a reintegrare la società delle somme indebitamente prelevate prima del suo fallimento, ne trattasi di deduzione (in quanto di mero fatto) che poteva essere effettuata per la prima volta in questa sede di legittimità. Vale la pena notare che la sentenza risulta correttamente ed adeguatamente argomentata, con motivazione logica, coerente e specifica, avendo la Corte di secondo grado trattato in più punti sia dell’elemento oggettivo che dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta in relazione agli episodi contestati e sotto questo profilo si osserva ancora che la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune; l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando inlnfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009, n. 24847). Dunque non è possibile per questa Corte procedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti, sovrapponendo a quella compiuta dai giudici di merito una diversa valutazione del materiale istruttorio. In definitiva, la censura del ricorrente non scalfisce l’impostazione della motivazione e non fa emergere profili di manifesta illogicità della stessa, finendo per risolversi in prospettazioni di diverse interpretazioni del materiale probatorio non proponibili in questa sede. E il ricorso non supera al proposito il livello della genericità, omettendo di indicare elementi non considerati in positivo, decisivi ai fini di una diversa valutazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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