T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 17-10-2011, n. 7965 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 02/10/06 e depositato il 10/10/06 la "G.H.V.V." s.p.a. ha impugnato la determinazione dirigenziale n. 1908 del 31 agosto 2006 con cui il Comune di Roma ha ordinato la demolizione delle opere ivi indicate.

Il Comune di Roma (poi diventato Roma Capitale), costituitosi in giudizio con comparsa depositata il 25 ottobre 2006, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 6168/2006 del 10 novembre 2006 il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente.

All’udienza pubblica del 6 ottobre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Prima di valutare il merito del ricorso il Tribunale ritiene necessario esaminare la richiesta del Comune di Roma (formulata nella memoria datata 6 novembre 2006) di cancellazione ex art. 89 c.p.c. di alcune espressioni contenute nel ricorso e prospettate come sconvenienti ed offensive del sig. M.M..

La richiesta non può essere accolta perché, se è vero che, in astratto, il potere di cancellazione è esercitabile d’ufficio dal Giudice (Cass. n. 3487/09), è, pur vero, che nella fattispecie il Comune di Roma, in relazione al peculiare svolgimento dei fatti ricostruito nel ricorso e alla concreta articolazione dello stesso, avrebbe dovuto specificamente indicare quali termini, a suo dire, rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 89 c.p.c. onde consentire al Tribunale di apprezzare l’assenza di un significativo rapporto degli stessi con l’oggetto del giudizio e, quindi, di valutare l’esistenza del potere di cancellazione previsto dalla norma.

Ciò posto, nel merito, il ricorso è fondato secondo quanto in prosieguo specificato.

La "G.H.V.V." s.p.a. impugna la determinazione dirigenziale n. 1908 del 31 agosto 2006 con cui il Comune di Roma ha ordinato la demolizione delle opere ivi indicate che hanno portato ad una "diversa distribuzione interna degli edifici, ad una modifica essenziale di alcuni spazi al piano interrato, alla realizzazione di nuove camere al piano terrazza ed infine ad una sostituzione dei collegamenti verticali con altri dotati di caratteristiche fisiche e strutturali diverse"; ciò si sarebbe verificato, secondo il provvedimento impugnato, per effetto di alcune dichiarazioni d’inizio attività "mirate ad alterare sensibilmente il complesso allo scopo di:

a) realizzare degli incrementi di superficie al piano interrato (per 250 mq.) sfruttando le strutture di fondazione;

b) modificare il sistema di collegamento verticale con lo spostamento dalla sede originaria dei blocchi delle scale ricavando così un indebito incremento di superficie utile per tutti i piani (che ammonta globalmente a circa 500 mq.);

c) creare delle nuove camere al piano terrazzo, laddove esistevano dei volumi tecnici e due piccoli spazi abitativi; a questo piano il progetto approvato prevedeva un roof – garden ed alcuni volumi tecnici".

Dall’esame degli atti risulta che gli abusi contestati sono stati oggetto di ben quattro denunce d’inizio di attività presentate il 18/02/04, il 22/07/04, il 10/03/05 ed il 03/08/06.

Tali denunce hanno ad oggetto opere coincidenti con lo stato di fatto accertato dagli organi competenti e posto a base della gravata demolizione.

La circostanza è confermata dalla relazione prot. n. 062649 del 27/10/06 redatta dal Comune di Roma e depositata l’08/11/06 (ove si evidenzia che "da un esame complessivo degli interventi descritti nelle tre d.i.a….emerge, con palese evidenzia, un totale stravolgimento dell’organismo edilizio"), dalla consulenza tecnica espletata per conto del P.M. nel proc. penale n. 54259/05 (pag. 20: "si registra una sostanziale coincidenza delle opere ai progetti presentati con le dia per quel che riguarda la parte strettamente strutturale"), e dalle sommarie informazioni testimoniali rese dai consulenti del P.M. nel corso del giudizio penale e riportate nella sentenza di assoluzione del 19 marzo 2009 emessa dal Tribunale di Roma.

Ciò premesso, il Collegio ritiene fondata ed assorbente la censura, formulata al punto I.6 del ricorso (pag. 69 e ss.) con cui si contesta l’illegittimità dell’azione repressiva del Comune che avrebbe dovuto previamente annullare in autotutela i titoli edilizi formatosi a seguito del silenzio intervenuto sulle denunce d’inizio di attività citate.

Ed, infatti, secondo un costante principio giurisprudenziale, che trova il proprio supporto normativo nell’art. 19 l. n. 2451/90, il silenzio formatosi in relazione alla denuncia d’inizio di attività comporta la formazione di un titolo edilizio abilitativo tacito per la rimozione del quale è necessario un provvedimento di annullamento in autotutela (Cons. Stato sez. IV n. 7730/09; Cons. Stato sez. IV n. 1474/09; Cons. Stato sez. IV n. 5811/08).

Il principio in esame, come ha avuto modo di precisare la Sezione, si applica solo a quegli interventi assentibili, in astratto, con la d.i.a. mentre nei casi in cui il titolo viene strumentalmente utilizzato al fine di conseguire la legittimazione di interventi (quali, ad esempio, quelli di "nuova costruzione") per i quali è necessario, in via esclusiva, il permesso di costruire, l’esercizio del potere di vigilanza e repressivo previsto dal D.P.R. n. 380/01 non è subordinato al previo annullamento in autotutela di un titolo assolutamente inidoneo a disciplinare la fattispecie (Cons. Stato sez. IV n. 781/10; Cons. Stato, sez. IV n. 6378/08; Cons. Stato sez. IV n. 4828/07; Cons. Stato sez. IV n. 3498/05).

Con riferimento alla fattispecie oggetto di causa, dagli atti processuali non emergono elementi alla luce dei quali è possibile, in maniera inequivoca, escludere che gli interventi contestati siano astrattamente assentibili attraverso la denuncia d’inizio di attività.

Infatti, le denunce in precedenza citate sono state presentate dalla "G.H.V.V. s.p.a." per alcune varianti al progetto assentito con concessione edilizia n. 1211/C del 29/12/99 prot. 32987.

Secondo l’art. l’art. 22 comma 2° d.p.r. n. 380/01, la denuncia d’inizio di attività è idonea a legittimare "le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire".

Nella fattispecie, il Comune nel provvedimento impugnato ha contestato l’intervenuto aumento di superfici al piano interrato, agli altri piani e sul terrazzo a ciò ricollegando l’inidoneità delle denunce d’inizio di attività a legittimare gli interventi contestati.

In realtà, l’aumento di superficie risulta, allo stato, smentito dalle risultanze processuali dovendosi tenere conto del contenuto della denuncia d’inizio di attività presentata il 3 agosto 2006 (avente ad oggetto la rinuncia a parte degli interventi al piano interrato) e degli accertamenti effettuati nell’ambito del procedimento penale conclusosi con le sentenze di assoluzione del Tribunale del 19 marzo 2009 e della Corte di Appello del 3 febbraio 2010 le quali hanno escluso il contestato aumento di volumetria e superficie ed affermato la legittimità delle denunce d’inizio di attività presenti in atti.

Contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente tali statuizioni giurisdizionali, però, non sono caratterizzate dall’efficacia del giudicato ai fini dell’esercizio del potere amministrativo repressivo in materia edilizia sia perché l’art. 654 c.p.p. presuppone, in proposito, che l’amministrazione si sia costituita parte civile nel processo penale (Cons. Stato sez. VI n. 8705/10; Cons. Stato sez. VI n. 1009/08), il che non è avvenuto in questo caso, sia perché l’effetto preclusivo del giudicato è escluso nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma 2, c.p.p. (in questo senso Cass. n. 3376/11) come è accaduto nella fattispecie (come si evince dall’esame della sentenza del Tribunale).

Allo stato, pertanto, l’astratta idoneità delle denunce d’inizio di attività a legittimare gli interventi contestati induce il Tribunale a ritenere fondata la censura avente ad oggetto la mancata previa rimozione, in autotutela, di tali titoli che, se espletata, dovrà avvenire nel rispetto delle garanzie procedimentali previste e tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie.

Proprio ai fini dell’effetto conformativo derivante dal giudicato in relazione all’eventuale riedizione del procedimento amministrativo sanzionatorio il Tribunale ritiene necessario pronunciarsi su alcune delle ulteriori censure proposte.

Va, innanzi tutto, evidenziato che, in ordine alla normativa applicabile, ratione temporis, alla fattispecie oggetto di causa, il riferimento alla legge regionale n. 20/97 è irrilevante ai fini della valutazione della legittimità della pretesa di parte ricorrente.

Come correttamente rilevato dal Comune di Roma nella citata relazione prot. n. 062649 del 27/10/06, la normativa regionale in questione (art. 14 l. r. n. 20/97) deroga a quella ordinaria solo in relazione alle modifiche di destinazione d’uso (profilo non contestato nel provvedimento impugnato) e ad altre procedure (quelle di variante urbanistica e di realizzazione di strutture in zone diverse da quella A) non conferenti con la fattispecie e, quindi, non anche agli altri parametri urbanistici ed edilizi oggetto di contestazione con il provvedimento impugnato.

Assolutamente infondata, poi, è la seconda censura con cui è stata contestata la violazione dell’art. 27 comma 4° d.p.r. n. 380/01 e delle norme che hanno ad oggetto gli accertamenti degli abusi in materia edilizia.

Per quanto attiene ai profili strettamente attinenti al diritto amministrativo, delineati nella censura, va rilevato che le modalità di accertamento dell’abuso risultano conformi alla normativa vigente laddove l’art. 27 comma 4° d.p.r. n. 380/01 non costituisce parametro idoneo di valutazione della fattispecie in quanto riguarda i soli accertamenti effettuati dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria.

Nessun effetto, poi, producono sulla legittimità dell’atto impugnato le modalità di espletamento del sopralluogo del 25/10/05, la dedotta nullità dell’acquisizione della notizia di reato (che, al più, può influire sull’utilizzabilità delle relative risultanze in sede penale) e il prospettato cumulo di ruoli (organo accertatore e consulente del P.M.) del sig. Miglio, non precluso dalla normativa vigente.

Dall’esame degli atti depositati dal Comune di Roma in data 08/11/06 (si vedano, in particolare, le determinazioni dirigenziali n. 566 del 1 agosto 2006 e n. 212 del 09/03/05) emerge, poi, che il Miglio era competente all’espletamento degli accertamenti posti a base del provvedimento di demolizione.

Altresì infondata si rivela la terza censura con cui viene prospettata la violazione dell’art. 107 d. lgs. n. 267/00 in quanto l’atto impugnato sarebbe stato emesso sulla base di un accertamento effettuato da un consulente nominato fiduciariamente dall’organo politico dell’ente.

Ed, infatti, nella fattispecie la competenza dirigenziale prevista dall’art. 107 d. lgs. n. 267/000 risulta rispettata in quanto l’atto irrogativo della sanzione demolitoria è stato emanato da un organo amministrativo (il Dirigente dell’Unità Organizzativa Tecnica del Municipio) sulla base di un’autonoma valutazione degli accertamenti effettuati da un altro organo amministrativo (il Miglio nella qualità di consulente dell’attività di direzione dell’Unità Operativa Decoro Urbano) la cui natura non è influenzata dal carattere fiduciario della relativa nomina.

La fondatezza della censura in precedenza esaminata comporta l’accoglimento del ricorso (previa declaratoria di assorbimento degli ulteriori motivi non valutati in questa sede) e l’annullamento dell’atto impugnato con salvezza degli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione riterrà di adottare nell’esercizio dei poteri di vigilanza e repressione ad essa riconosciuti dalla normativa edilizia ed urbanistica vigente.

La peculiarità della fattispecie oggetto di causa giustifica, ai sensi degli artt. 26 comma 4° d. lgs. n. 104/2010 e 92 c.p.c., la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) respinge la richiesta ex art. 89 c.p.c. formulata da Roma Capitale;

2) accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione;

3) dispone la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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